Da dove viene la tradizione della mimosa per l’8 marzo

È perlopiù italiana e si celebra dagli anni Quaranta: nacque su proposta di alcune ex partigiane perché era economica e fioriva in inverno

Elisabetta Belloni, direttrice del DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (cioè i servizi segreti), durante le celebrazioni della Giornata internazionale della donna al Quirinale. Roma, 8 marzo 2023
Elisabetta Belloni, direttrice del DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (cioè i servizi segreti), durante le celebrazioni della Giornata internazionale della donna al Quirinale. Roma, 8 marzo 2023 (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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In Italia per la Giornata internazionale della donna si usa regalare un ramoscello di mimosa: per alcune persone è un omaggio quasi doveroso da fare ogni 8 marzo e per altre è un semplice gesto gentile e consolidato, mentre altre ancora lo ritengono inappropriato. Sul perché per questa ricorrenza si regali proprio la mimosa esistono versioni romantiche o fantasiose, ma la sua storia è più che altro politica e risale all’Italia del secondo dopoguerra.

Anche se per l’8 marzo si regalano fiori alle donne in moltissimi paesi, infatti, la mimosa per la Festa della donna è una consuetudine celebrata quasi solo in Italia.

La prima festa della donna a essere celebrata un 8 marzo fu nel 1914, ma in Italia arrivò diversi anni dopo. Fino agli anni Settanta, infatti, quella dell’8 marzo è sempre considerata una “festa” di sinistra, strettamente legata al partito socialista e a quello comunista, e durante i vent’anni del regime fascista, quando erano illegali, non fu mai particolarmente considerata o celebrata. La prima volta che la si festeggiò in modo più o meno ufficiale fu nel 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, soprattutto per iniziativa del Partito Comunista Italiano (PCI) e dell’Unione delle Donne in Italia (UDI). La Democrazia Cristiana, che all’epoca era il principale partito in parlamento, era invece piuttosto ostile alle celebrazioni.

Secondo i racconti dell’epoca, come fiore simbolo della festa si voleva usare la violetta, un fiore con una lunga tradizione nella sinistra europea. Uno dei sostenitori di questa idea era il vice-segretario del Partito Comunista, Luigi Longo: alcune dirigenti del PCI però si opposero perché la violetta era un fiore costoso e difficile da trovare, soprattutto visto che l’Italia era appena uscita dalla guerra, le condizioni economiche del paese erano precarie e per persone sarebbe stato difficile procurarsi le violette.

Tra di loro c’era Teresa Mattei, una ex partigiana che negli anni successivi continuò a battersi a lungo per i diritti delle donne. Di Mattei è diventato leggendario uno scambio che ebbe con un deputato liberale a proposito della parità tra uomini e donne all’interno della magistratura: «Signorina, ma lei lo sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?», chiese il deputato. Lei rispose: «Ci sono uomini che non ragionano tutti i giorni del mese».

Mattei, insieme a Rita Montagnana e Teresa Noce, propose di adottare un fiore molto più economico, che fiorisse alla fine dell’inverno e che fosse facile da trovare nei campi: da qui nacque l’idea della mimosa. Anni dopo, in un’intervista disse: «La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente».

Anche se la Festa della donna non divenne una ricorrenza popolare fino agli anni Settanta, la tradizione della mimosa ebbe successo, e si mantiene ancora oggi. Come disse sempre Mattei, morta nel 2013 a 92 anni: «Quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».

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