L’impazienza aumenta quando l’attesa è quasi finita

Emerge da una ricerca che l’ha misurata durante la pandemia e in altre circostanze: quindi se siete in ritardo meglio dirlo prima e stare larghi con le stime

Un gruppo di persone in fila in un campeggio, ciascuna con un rotolo di carta igienica in mano
(Alexander Koerner/Getty Images)
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L’impazienza è uno stato d’animo che può manifestarsi in circostanze molto varie e creare, in alcuni casi, anche qualche disagio. Può accrescere il nervosismo prima dell’inizio di una gara, per esempio, o rendere insopportabile l’attesa di un mezzo pubblico.

Una ricerca condotta da una coppia di ricercatrici della University of Texas e della University of Chicago ha analizzato come l’esperienza dell’impazienza evolva nel tempo prima di determinati eventi, notando che il disagio aumenta man mano che la fine reale o presunta dell’attesa si avvicina, indipendentemente dalla durata dell’attesa.

Pubblicata a dicembre sulla rivista Social Psychological and Personality Science, la ricerca ha utilizzato tre studi longitudinali (quelli che effettuano ripetute osservazioni dello stesso fenomeno in un lungo periodo di tempo) basati su sondaggi rivolti a diversi campioni di popolazione statunitense, che descrivono la variazione dei livelli di impazienza riferiti dalle persone intervistate. Uno fu condotto nei tre giorni prima di conoscere i risultati delle elezioni presidenziali americane del 2020. Un altro nei mesi trascorsi tra l’annuncio del successo della sperimentazione del primo vaccino per il Covid-19 e la comunicazione della disponibilità del vaccino per la popolazione. Un terzo studio misurò infine un’impazienza di tipo completamente diverso: quella provata da diversi gruppi di pendolari in attesa di salire su un autobus a una fermata.

Ai partecipanti degli studi sulle elezioni e sul vaccino fu chiesto in più momenti durante l’attesa di valutare quanto si sentissero impazienti. I risultati mostrarono che mediamente l’impazienza aumentava a ridosso del momento in cui era prevista la fine dell’attesa: l’annuncio dei risultati dell’elezione e la comunicazione della data prevista per ricevere il vaccino.

Il terzo studio suggerì che l’impazienza aveva più a che fare con un senso di frustrazione tipico di quella fase dell’attesa, la fine, che non con la quantità di tempo atteso nel complesso. Le persone più impazienti erano infatti quelle che aspettavano l’arrivo dell’autobus da un momento all’altro, non necessariamente quelle che attendevano da molto tempo. I risultati del terzo studio, secondo le ricercatrici, potrebbero spiegare perché l’impazienza per la fine della pandemia misurata nel secondo studio è rimasta costante nel tempo ed è aumentata soltanto dopo che le persone, una volta appresa la data della disponibilità del vaccino, hanno intravisto concretamente la fine dell’attesa.

In generale l’impazienza è un fenomeno molto studiato nella psicologia del marketing, l’insieme di ricerche che si occupano dell’analisi dei comportamenti dei consumatori. Questa ricerca è stata condotta da Ayelet Fishbach, professoressa di scienze comportamentali e marketing alla Booth School of Business della University of Chicago, e Annabelle Roberts, professoressa di marketing alla McCombs School of Business della University of Texas a Austin. Secondo entrambe uno dei fattori che contribuiscono ad accrescere l’impazienza man mano che ci avviciniamo alla fine dell’attesa è il nostro desiderio di concludere un’attività: il desiderio «di cancellarla dalla lista di cose da fare», ha detto Roberts alla rivista Psyche.

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I risultati della ricerca sono in parte coerenti con l’“effetto gradiente della meta”, una teoria nota del comportamentismo (lo studio scientifico degli aspetti direttamente osservabili e misurabili del comportamento) formulata nel 1932 dallo psicologo statunitense Clark Hull. In base a questa ipotesi le persone investono più risorse nel raggiungere i propri obiettivi, e cioè sono più motivate, quanto più sono vicine a una ricompensa o a un qualche tipo di traguardo, e la loro velocità tende ad aumentare man mano che l’obiettivo è vicino.

In un’altra ricerca condotta con Alex Imas, anche lui professore di scienze comportamentali della University of Chicago, Fishbach e Roberts hanno analizzato come il desiderio della conclusione influenzi anche i processi decisionali, condizionando per esempio la scelta di completare un’attività subito anziché in seguito.

In una serie di esperimenti hanno scoperto che, a parità di ricompensa economica, le persone preferivano lavorare un po’ di più (il 15 per cento in più) ma prima, anziché lavorare un po’ di meno ma più tardi. Erano anche tendenzialmente disposte a rinunciare a una parte minima di profitto economico pur di completare in tempi più rapidi un’attività la cui mancata conclusione sarebbe altrimenti rimasta nei loro pensieri. E preferivano fare un’ora di straordinario non retribuito pur di finire un lavoro prima delle ferie, anziché essere pagati per finirlo dopo.

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Da questo punto di vista, secondo Roberts, l’impazienza può essere descritta come la frustrazione che proviamo in una circostanza in cui saremmo tendenzialmente portati a investire più risorse nel raggiungere un traguardo, ma non possiamo farlo perché raggiungerlo non dipende dai nostri sforzi. È possibile di solito avere un’idea approssimativa del tempo che è necessario attendere prima che arrivi l’autobus che stiamo aspettando, o che si liberi un tavolo al ristorante, per esempio. Ma non c’è niente che possiamo fare in questi casi per raggiungere l’obiettivo più velocemente.

La ricerca di Fishbach e Roberts fornisce indicazioni potenzialmente utili anche a chi nel marketing si occupa di gestione delle esperienze di attesa. In una serie di studi supplementari l’impazienza riferita dai partecipanti che immaginavano di ricevere un pacco entro un certo numero di giorni (6) era più alta nel giorno previsto per la ricezione del pacco che nei giorni precedenti. L’impazienza riferita tendeva inoltre a variare anche in relazione alla distanza fisica dall’oggetto atteso: era maggiore quanto più il pacco era vicino.

Sulla base dei risultati della ricerca, secondo le ricercatrici, sovrastimare i tempi di attesa al momento dell’invio di un pacco può essere utile a ridurre l’impazienza della persona destinataria. Ma può essere utile anche in altre circostanze, come per esempio quando serve far sapere a una persona che dobbiamo incontrare quanto tempo manca all’incontro.

Sapere che l’impazienza è massima nel momento in cui presumiamo che una certa attesa debba finire può essere di aiuto anche nella gestione delle esperienze in cui prevediamo che l’impazienza possa crearci un eventuale disagio. Negli ultimi minuti prima di un certo evento su cui non abbiamo alcun controllo – la partenza di un treno, per esempio – può essere una buona idea, secondo Roberts, distrarsi con un’attività che non c’entra niente con l’evento: ascoltare un podcast, per esempio, anziché controllare compulsivamente l’orologio in attesa dell’orario di partenza.

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