Non è una vostra impressione, ci sono più sigarette nei film

Nonostante nell'industria del cinema statunitense sia ancora poco raccomandabile mostrarle, o forse proprio perché è diventato un modo per stupire lo spettatore

Bradley Cooper e Carey Mulligan in una scena di Maestro (Netflix)
Bradley Cooper e Carey Mulligan in una scena di Maestro (Netflix)

Negli ultimi mesi critici cinematografici e addetti ai lavori hanno notato come le sigarette siano tornate a essere più presenti all’interno dei film, dopo un lungo periodo in cui sono state rare. Gli esempi più famosi nel cinema americano recente sono quelli di Cillian Murphy in Oppenheimer e Bradley Cooper in Maestro, dedicati rispettivamente alle vite del fisico teorico Robert Oppenheimer e del direttore d’orchestra Louis Bernstein. È un fumatore anche Saúl Armendáriz (Gael García Bernal), protagonista di Cassandro, film che racconta la storia di uno dei pochi lottatori di wrestling dichiaratamente omosessuali degli anni Ottanta. Ma ce ne sono diversi altri.

Rebecca Ford ha raccontato su Vanity Fair che questo fenomeno è piuttosto sorprendente, anche perché va in controtendenza rispetto alle indicazioni fornite dai produttori cinematografici statunitensi. A partire dal 2007, anche per via delle forti pressioni di diverse associazioni antifumo, la MPA (Motion Picture Association, l’organizzazione statunitense dei produttori cinematografici) ha infatti incoraggiato i registi a diminuire al minimo la presenza delle sigarette all’interno di film e serie televisive, ed è arrivata a inserire le scene con fumatori nei parametri presi in considerazione dal sistema che classifica i film in base a quanto sono adatti ai minori.

In alcuni casi le sigarette sono necessarie alla caratterizzazione di personaggi realmente esistiti, e che furono fumatori: per esempio, è noto che Oppenheimer fumasse sigarette in continuazione e saltasse spesso i pasti, soprattutto nei periodi di studio più intensi. Anche la dipendenza dalle sigarette di Bernstein è un fatto piuttosto acclarato: in un’intervista data al New York Times nel 1990, un turnista che suonò in più occasioni con lui disse che «Lenny è l’unico direttore d’orchestra che contemporaneamente ansima in un respiratore e si accende una sigaretta non appena scende del palco».

– Leggi anche: Cosa è vero e cosa no in Oppenheimer

Roger Ross Williams, il regista di Cassandro, ha raccontato che le sigarette hanno avuto una certa importanza non soltanto per raccontare il passaggio del protagonista alla vita adulta, ma anche per contestualizzare meglio il periodo storico in cui il film è ambientato: gli anni Ottanta, un decennio in cui fumare era molto più comune di adesso.

Un caso simile è quello di Saltburn, film diretto da Emerald Fennell e ambientato tra il 2006 e il 2007 in Inghilterra, quando era ancora legale fumare nei luoghi pubblici. Fennell ha detto a Ford che, dal suo punto di vista, evidenziare quanto fumare fosse un’abitudine diffusa era importante per rendere la storia credibile, anche perché «per chi ha vent’anni o è adolescente, è impensabile entrare in un bar e accendersi una sigaretta». Sono fumatori anche diversi personaggi di altri quattro film usciti lo scorso anno: The Holdovers – Lezioni di vita,  Estranei, Anatomia di una caduta e La zona d’interesse, il cui protagonista, il comandante nazista Rudolf Hösstiene spesso un sigaro in bocca.

(Saltburn)

Intervistata da Ford, la storica del cinema della Wesleyan University di Middletown (Connecticut) Jeanine Basinger ha spiegato che, per molti anni, i registi hanno mostrato le sigarette all’interno dei film per assolvere alla funzione di «descrizione del personaggio». Nei vecchi film di Hollywood però le sigarette erano anche un elemento con un forte significato simbolico, che alludeva a un’intimità sessuale tra due persone in un periodo in cui non si potevano mostrare scene di sesso esplicite.

Per esempio, Basinger cita una delle scene più famose di Perdutamente tua (1942), quella in cui Paul Henreid tira fuori dalla tasca due sigarette, le accende entrambe e ne passa una a Bette Davis.

Basinger ha anche spiegato che le sigarette venivano concepite come elementi utili a far risaltare il carisma di un personaggio («significava che eri sofisticato»), e che «le vergini non fumavano nei film, e questo era uno dei modi in cui capivi che erano vergini».

Tra gli anni Settanta e Ottanta le sigarette divennero molto presenti all’interno dei film, spesso come conseguenza di accordi di “product placement” (la pratica attraverso cui i marchi e i prodotti vengono inseriti a pagamento in film e serie tv come forma di pubblicità). Per esempio, nel 1983 la Philip Morris pagò 350mila dollari per far fumare le sue sigarette a James Farentino e Penny Fuller, protagonisti del film Licence to Kill. Un altro caso molto famoso fu quello di Margot Kidder, che interpretò Lois Lane nel film del 1978 Superman, fumando sigarette Marlboro in diverse scene. 

È probabile che molti registi siano tornati a utilizzare le sigarette come espediente narrativo anche perché l’atto di fumare una sigaretta risulta molto più “trasgressivo” oggi rispetto al passato, perlomeno agli occhi del pubblico a cui viene destinata la stragrande maggioranza dei film prodotti a Hollywood, ossia quello statunitense.

Negli Stati Uniti infatti lo stigma negativo che accompagna i fumatori è maggiore di quello che c’è nella cultura europea. Le politiche per scoraggiare il tabagismo hanno iniziato a diffondersi in tutti negli Stati Uniti già agli inizi degli anni Novanta, e da allora la quota di fumatori è diminuita moltissimo. Tra il 2019 e il 2023 la percentuale di fumatori in età adulta è scesa al 10 per cento, il suo minimo storico (per fare un paragone, in Italia i fumatori rappresentano il 20,5 per cento della popolazione italiana sopra i 15 anni). In questo contesto, un personaggio che fuma ha più possibilità di rimanere impresso nella memoria degli spettatori.