I motori di ricerca come li conosciamo spariranno?

Gli esperimenti con le intelligenze artificiali potrebbero mettere in discussione il monopolio di Google e cambiare radicalmente la nostra esperienza di internet, oppure niente di tutto ciò

Uno screenshot da uno spot di Perplexity (@perplexity_ai/X)
Uno screenshot da uno spot di Perplexity (@perplexity_ai/X)
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Lo scorso anno Google ha iniziato a fare esperimenti con le intelligenze artificiali (IA) per arricchire e migliorare la ricerca sul web. Negli ultimi mesi la società ha anche presentato Gemini, un chatbot pensato per accompagnare gli utenti nelle loro ricerche online, generando testi di risposta di vario tipo alle loro domande. Ma Gemini è solo uno dei molti motori di ricerca di questo tipo nati negli ultimi due anni, da quando ChatGPT, il chatbot gratuito di OpenAI, ha reso i servizi basati sulle intelligenze artificiali più accessibili e quindi più discussi e finanziati.

Questa generale mobilitazione, orientata a cambiare radicalmente il modo in cui facciamo le ricerche sul web, rischia di stravolgere la navigazione in rete per come è stata finora. È ancora presto per dire se succederà, o se invece l’interesse per questo tipo di servizi non si sgonfierà: nel caso però, tra le realtà più minacciate da questa trasformazione ci sarebbe proprio Google.

Da circa vent’anni, infatti, il modello di business di Google si basa sull’inserimento di pubblicità tra i risultati delle ricerche e sui siti. Questo modello ha avuto conseguenze profonde nell’evoluzione del web, che si è dovuto adeguare allo strapotere di Google, che oggi controlla il 91,4 per cento del mercato delle ricerche online e nel 2023 ha avuto introiti pubblicitari per 237 miliardi di dollari. La recente ascesa delle IA generative, cioè in grado di generare testi e immagini sulla base di richieste (dette prompt) scritte, ha però ben presto messo in discussione questo primato.

Il timore è che servizi come ChatGPT possano di fatto sostituirsi ai motori di ricerca tradizionali: invece di digitare parole chiave nella speranza che Google ci dia la risposta corretta, alle IA si possono infatti fare domande precise per ottenere risposte discorsive e link a corredo. Il tutto, almeno per ora, aggirando Google e le sue pubblicità.

Negli ultimi mesi sono nati nuovi servizi che promettono di “rivoluzionare” l’esperienza comune degli utenti online, risolvendo quello che per molti utenti è tra l’altro diventato ormai un problema, ovvero la qualità dei risultati offerti da Google, che secondo molti ormai da anni sembra essere calata. Alcuni motivi di questa regressione sono il maggiore peso dato da Google alla pubblicità (che dà spazio e priorità a risultati di ricerca che non sarebbero mai finiti organicamente così in alto) e il fatto che sempre più siti applichino alle loro pubblicazioni le regole del SEO (search engine optimization, una serie di norme e raccomandazioni che permettono ai siti di ottenere più visibilità nei motori di ricerca). La situazione è peggiorata con la diffusione di servizi di IA, che permettono a chi gestisce siti di produrre velocemente articoli e foto ottimizzati in ottica SEO senza badare alla qualità (e al senso) di quanto pubblicato, per fare click e ricavare soldi grazie al traffico.

La stessa Google lo scorso anno ha reso disponibile un suo chatbot, Bard, che è stato poi ribattezzato Gemini. Secondo il sito The Information, inoltre, anche OpenAI starebbe lavorando a un prodotto per la ricerca sul web sfruttando la collaborazione già attiva con Bing, motore di ricerca di Microsoft. Ma non sono solo le aziende più grandi a muoversi proponendo nuovi motori di ricerca.

Perplexity è una delle startup più discusse del periodo: nata nel 2022, ha sviluppato un chatbot pensato per la ricerca sul web e per fare da assistente personale ai suoi utenti. L’azienda lo definisce “un coltellino svizzero potenziato con le IA per la curiosità e la scoperta di informazioni”. Un altro esempio è Arc Search, un’applicazione (solo per iPhone) sviluppata da The Browser Company, società che, come suggerisce il nome, aveva finora prodotto solo un browser chiamato Arc. Arc Search è invece un tentativo di combinare browser, motore di ricerca e assistente IA in un unico servizio, che promette di “navigare il web al posto dell’utente”, “eliminare il disordine” e “mantenere distanti le distrazioni”. Una delle funzionalità più discusse dell’app permette di far riassumere da un’intelligenza artificiale le pagine web.

Il sito di news tecnologiche Engadget ha scritto che Arc aveva ricevuto un plauso quasi universale per il suo browser, ma che la presentazione di Arc Search ha sollevato diverse preoccupazioni. Permettere alle IA di navigare su internet al posto degli umani è una cosa che minaccia non solo l’esistenza di Google ma anche quella dei creatori di contenuti: «Monetizzare il traffico è uno dei principali modi con cui la maggior parte dei creatori di contenuti sul web continua a guadagnare soldi». Se il traffico dovesse precipitare a causa delle IA nessuno avrebbe più interesse a pubblicare contenuti online.

Allo stesso tempo però le aziende che stanno sviluppando questo tipo di servizi hanno un costante bisogno di nuove informazioni – commenti, testi, immagini, video – da cui attingere per migliorare le loro risposte agli utenti. Alla base di queste IA ci sono infatti dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), un tipo particolare di rete neurale artificiale in grado di generare contenuti dall’analisi di enormi moli di dati. L’accesso ai contenuti del web è quindi essenziale per lo sviluppo di queste tecnologie – specie per dare risposte aggiornate sull’attualità – e sta generando un nuovo tipo di business. La scorsa settimana, ad esempio, il social network Reddit ha fatto un accordo da 60 milioni di dollari l’anno con Google, a cui ha dato il permesso di usare i suoi contenuti per lo sviluppo delle IA.

La situazione corrente mette entrambe le parti – i motori di ricerca tradizionali e i nuovi servizi basati sulle IA – in una situazione paradossale. I primi (soprattutto Google) potrebbero perdere la rilevanza e le entrate assicurate in questi decenni, mentre i secondi rischiano con la loro esistenza di limitare la produzione di risorse (i contenuti del web) necessarie al loro funzionamento. In tutto questo, inoltre, non è chiaro a chi siano rivolti prodotti come Perplexity e quanto grande sia il loro mercato. Secondo il giornalista esperto di internet Ryan Broderick, il problema è che il generale entusiasmo per le intelligenze artificiali sta spingendo aziende di ogni dimensione nella stessa direzione, senza un piano preciso.

A giudicare da alcuni dati emerge comunque il sospetto che le possibilità della tecnologia e dell’applicazione delle IA siano state sopravvalutate. Il Wall Street Journal ha recentemente raccolto reazioni tra alcune grandi aziende che hanno utilizzato sin da subito la suite di prodotti basati sulle IA di Microsoft: dopo un’iniziale curiosità, l’entusiasmo è scemato e molte aziende si stanno chiedendo se valga la pena spendere 30 dollari al mese per impiegato per usare versioni “potenziate” di Excel e PowerPoint. Il problema riguarda anche i motori di ricerca: Microsoft è stata tra le prime a muoversi nella direzione delle IA, presentando una versione speciale di Bing che, nonostante un grande evento di lancio, non ha tolto molte quote di mercato a Google. «I dirigenti si aspettavano miliardi di dollari in nuove entrate potenziali (…) e, dopo quasi un anno, Bing ha guadagnato solo l’1% di mercato».