Le serie tv turche vanno anche meglio di quelle sudcoreane

Da una decina d'anni stanno avendo un successo enorme in Turchia e nei paesi mediorientali, ma anche in Russia, Cina, Spagna e in gran parte dell'America Latina

Un fermo immagine della serie tv Yargi (Ay Yapım)
Un fermo immagine della serie tv Yargi (Ay Yapım)
Caricamento player

Da almeno una decina d’anni le serie tv turche (che in Turchia sono chiamate dizi, abbreviazione di televizyon dizileri, serie televisive) stanno riscuotendo un successo internazionale notevole. Questi prodotti di intrattenimento hanno dato vita a un’industria di proporzioni enormi, al punto che, secondo le stime di Parrot Analytics (una società di analisi di dati) citate dall’Economist, attualmente la Turchia è il terzo paese al mondo nell’esportazione di serie tv, dietro a Regno Unito e Stati Uniti.

Sempre secondo questi dati, tra il 2020 e il 2023 la domanda globale di serie televisive turche sarebbe aumentata del 184 per cento, più del doppio di quella delle serie sudcoreane, diventate popolari in tutto il mondo (e anche in Italia, più di quelle turche) negli ultimi tre anni, grazie a produzioni come Squid Game e Avvocata Woo. Il valore di mercato di questa industria è in forte crescita: gli ultimi dati pubblicati dall’İstanbul Ticaret Odası (la Camera di Commercio di Istanbul) nel 2022 lo stimavano in 600 milioni di dollari, e diversi analisti sostengono che nei prossimi anni potrebbe superare il miliardo. Oltre che in Turchia e in Medio Oriente, questi prodotti di intrattenimento sono molto apprezzati in Russia, Cina, Corea del Sud, Spagna e in gran parte dei paesi dell’America Latina.

Le prime serie dizi uscirono nei primi anni del Duemila. Presero il posto che in gran parte del mondo arabo era stato occupato fino a quel momento dalle serie egiziane e poi dalle serie siriane, la cui produzione era stata molto ridimensionata dagli sviluppi rispettivamente delle primavere arabe e della guerra civile.

Izzet Pinto, fondatore della società di distribuzione turca Global Agency, ha detto che il mondo arabo apprezza il fatto che questi prodotti offrano una rappresentazione diversa delle persone arabe, che nelle serie statunitensi vengono caratterizzate spesso in modi negativi e stereotipati. Pinto ha legato parte del successo delle serie tv turche anche al fatto che il pubblico arabo considera la Turchia un paese «con uno stile di vita moderno» ma legato al rispetto di alcuni valori tradizionali (per esempio, nelle serie vengono spesso oscurate bottiglie di vino e scene di sesso), una caratteristica che è praticamente impossibile ritrovare nelle produzioni occidentali.

– Leggi anche: Le serie tv turche stanno andando forte

La prima dizi a farsi conoscere oltre i confini turchi, e anche oltre il Medio Oriente, fu Gümüş (2005), una serie che prende spunto dalle tipiche soap opere spagnole o argentine. Gümüş fu prodotta per il mercato interno e inizialmente senza troppe pretese, anche perché andava in onda in una fascia oraria non particolarmente ambita (il primo pomeriggio). Nel 2008 MBC, una società di distribuzione con sede a Riyad (Arabia Saudita) acquisì i diritti della serie per esportarla in diversi paesi arabi e dei Balcani. Gümüş divenne prima un fenomeno di costume in Egitto, Siria, Libano, Marocco, Qatar, Arabia Saudita, Macedonia, Bulgaria e Albania e successivamente, grazie al doppiaggio in spagnolo, in Argentina.

La popolarità della serie crebbe al punto che si iniziò a parlare di Gümüş-mania, per rendere l’idea dell’ossessione del pubblico per la serie. Parlando della popolarità della serie Jana Jabbour, docente di Scienze politiche dell’American University of Beirut specializzata nello studio delle dinamiche di soft power, ha scritto che nei paesi arabi l’impatto della serie fu così profondo che «le donne si precipitarono a comprare magliette e poster con le foto dei loro personaggi preferiti», «i neonati venivano chiamati come gli attori» e «furono registrati casi di divorzio perché le mogli non erano più soddisfatte dei loro mariti, e chiedevano che fossero romantici come Mehmet (il protagonista della serie)».

Dopo Gümüş, l’altra dizi a farsi notare a livello internazionale fu Binbir Gece (2006), una sorta di versione per la tv della raccolta di fiabe Le mille e una notte, che fu distribuita in più di 80 paesi. Né Gümüş né Binbir Gece sono mai uscite in Italia.

La popolarità delle dizi aumentò ulteriormente nel 2011 con Il secolo magnifico (Muhteşem Yüzyıl), serie dedicata alla vita del sultano ottomano Solimano il Magnifico, vissuto nel Sedicesimo secolo. Andata in onda per quattro stagioni (e 139 episodi totali), Il secolo magnifico parlava di una storia d’amore tra il sultano e una delle sue concubine e arrivò ad avere costantemente uno share superiore al 30 per cento. Fu la prima serie turca a essere largamente apprezzata negli Stati Uniti, dove fu elogiata da alcune personalità del mondo dello spettacolo. Per esempio, la rapper statunitense Cardi B (pseudonimo di Belcalis Marlenis Almánzar) ha parlato in più occasioni della sua passione per Il secolo magnifico. Fu distribuita anche in Italia sottotitolata.

Nel suo libro Nuovi re del mondo, che analizza il successo mondiale (almeno in certi pezzi di mondo) dei film indiani di Bollywood, del K-pop coreano e, appunto, delle dizi turche, la scrittrice pakistana Fatima Bhutto ha scritto che i grossi sforzi produttivi della serie (che aveva una troupe di 100 persone, 25 soltanto per i costumi) hanno spinto alcuni critici turchi a paragonarla a Game of Thrones. Bhutto ha anche sottolineato che Il secolo magnifico ebbe effetti piuttosto evidenti sull’aumento del turismo dall’Arabia Saudita verso la Turchia, in particolare verso i luoghi di Istanbul in cui erano state fatte le riprese.

Ci sono anche dizi molto apprezzate in patria ma difficili da esportare in Medio Oriente, principalmente per motivi politici. Vale in particolare per quelle che rientrano nel genere dizi militari: vanno molto forte in Turchia e fanno molto piacere al governo, ma Timur Savcı, fondatore di Tims Productions, una delle più grandi case di produzione di serie turche, ha spiegato che «non molti paesi sono interessati a vedere i soldati turchi glorificati».

In alcuni casi, quindi, anziché vendere i diritti di trasmissione all’estero si vendono i diritti per permettere ad altri di fare dei remake, tenendo la trama ma adottando alcuni accorgimenti, come per esempio cambiare nazionalità ai soldati. Le dizi più facili da esportare nei mercati esteri sono quelle che possono essere incasellate in generi tradizionali (commedia, poliziesco, giallo, drammatico, romantico) e quelle storiche, che nella stragrande maggioranza dei casi sono ambientate durante l’impero Ottomano.

Un altro motivo che porta alcuni paesi mediorientali a guardare con un certo sospetto le dizi è che negli ultimi anni sono state pubblicate diverse ricerche accademiche che hanno analizzato quanto il successo delle dizi abbia rappresentato uno strumento di soft power, cioè che ha permesso alla Turchia di esercitare una forte influenza culturale in paesi come Bangladesh, Qatar e Algeria.

Il paese europeo in cui le dizi hanno riscosso maggior successo è la Spagna. Secondo Glance, una società che si occupa di analizzare gli ascolti televisivi, nella prima metà del 2023 le tre serie più viste nel paese erano turche. La popolarità che le dizi hanno ottenuto in Spagna dipende anche da una ragione economica: doppiare una serie turca in spagnolo è piuttosto conveniente, perché consente di esportare con pochi sforzi il prodotto a gran parte dell’America Latina, dove le telenovelas (che, per temi e struttura, hanno diversi punti di contatto con le dizi) sono notoriamente molto apprezzate dal pubblico.

Le dizi stanno iniziando a farsi conoscere anche negli Stati Uniti, dove nel 2023 la serie Yargi, che racconta la storia di due avvocati chiamati a risolvere intricati casi giudiziari, aveva vinto il premio come miglior telenovela agli Emmy, i più importanti premi della televisione americana.

Tuttavia, al netto delle eccezioni come Yargi, le dizi faticano ancora a trovare spazio nel mercato statunitense, in particolare per un motivo: la loro durata. In Turchia queste serie vanno in onda sulle reti nazionali una volta alla settimana, spesso in prima serata. Nel loro formato originale, quello pensato per la messa in onda sulle emittenti turche, le puntate hanno una durata che può superare anche le tre ore (la visione di una serie completa ne richiede in media più di 200).

Dei tempi così lunghi sono poco adatti alle abitudini di fruizione degli spettatori statunitensi e più in generale occidentali. Anche per questo, in Turchia alcuni produttori stanno sperimentando nuove modalità di distribuzione: nella gran parte dei casi, prima di essere esportate all’estero, le puntate vengono rimontate e spezzettate in maniera tale da essere suddivise in più episodi della durata di 50 minuti, che rappresenta lo standard dei cataloghi delle principali piattaforme di streaming.