Perché le barbabietole proprio non ci vanno giù

A molte persone non piacciono e anche per questo si usano poco: c'entrano la chimica, la consistenza, il colore ma anche il modo in cui sono cambiati i nostri gusti nel tempo

di Susanna Baggio

(Novo Images/Glasshouse via ZUMA Press Wire)
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Alla fine del 2008 l’allora presidente eletto degli Stati Uniti Barack Obama disse ad Associated Press di non amare le barbabietole e che evitava «sempre di mangiarle». Circa due anni dopo, in un’intervista data al Ladies’ Home Journal, la first lady Michelle Obama raccontò di «credere nell’esistenza di un gene della barbabietola − le persone che la amano la amano, mentre quelle che la odiano la odiano».

In realtà, più che divisiva, la barbabietola (o meglio rapa rossa) sembra proprio un ortaggio poco apprezzato, visto con un certo pregiudizio e quindi mangiato malvolentieri, anche in Italia. Non è sempre stato così, e il fatto che a molte persone non piaccia potrebbe dipendere da ragioni chimiche ma anche culturali, oltre che dal fatto che, secondo alcuni, in cucina potrebbe essere sfruttata meglio.

Alberto Grandi, professore di Storia dell’alimentazione dell’Università di Parma e conduttore del podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata, dedicato ai falsi miti della cucina italiana, conferma che la barbabietola sembra effettivamente un ortaggio al quale siamo poco affezionati, anche in Italia. Eppure è autoctona dell’area del Mediterraneo, conosciuta fin dai tempi di greci e romani: in Italia oggi si coltiva perlopiù nella Pianura Padana, nelle province di Ferrara, Ravenna, Rovigo e Mantova.

La rapa rossa appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae, che comprende diverse varietà di piante erbacee usate per la coltivazione a scopo alimentare, di cui si mangiano sia le foglie che la radice. Le principali varietà coltivate nel nostro paese sono la Tonda di Chioggia (che ha una polpa con anelli concentrici rossi e rosa chiaro), la Detroit (con buccia e polpa rosso scuro) e la Nera egiziana (più appiattita, con polpa dalle sfumature nerastre). Fanno parte dello stesso genere della barbabietola da zucchero, nota invece per la grossa radice chiara e carnosa da cui si estrae il saccarosio.

Tra le ragioni citate da chi non apprezza le rape rosse ci sono che sono troppo dolci, e che dà fastidio il colore troppo intenso della loro polpa, dato da un pigmento naturale chiamato betanina. Secondo Silvia Goggi, medica specializzata in Scienza dell’alimentazione e fondatrice della Plant Based Clinic, che offre consulenza a persone che vogliono seguire un’alimentazione completamente vegetale, dipenderebbe anche dalla loro consistenza: uno dei motivi per cui a lei non piaceva quando era piccola.

Il motivo più citato è però quello ben descritto dalla giornalista statunitense Amy Sullivan in un articolo pubblicato sull’Atlantic nel 2010: «Il problema delle barbabietole, come sa mezzo mondo, è che sanno di terra. L’altra metà, cioè chi le ama, preferisce dire con un eufemismo che ‘vengono dalla terra’». Alcuni studi confermano questa ipotesi.

Una Tonda di Chioggia tagliata a metà

(Lianne Milton/ The New York Times/ Redux)

Nel 2018 la American Society for Horticultural Science (ASHS) ha fatto notare che il sapore di terra della barbabietola è dovuto alla geosmina, cioè un composto organico che diventa particolarmente odoroso quando aumenta l’umidità dell’aria, e responsabile per esempio dell’odore intenso e che sa di terriccio che si può sentire dopo un acquazzone. La ASHS ha ricordato che la geosmina viene prodotta nel terreno da batteri appartenenti al genere Streptomyces: nel caso della barbabietola però è stato ipotizzato che sia prodotta direttamente dall’ortaggio, dove comunque è presente in concentrazioni diverse a seconda della varietà.

Come ha ricordato Jo Robinson, autrice di diversi libri su salute e alimentazione, il naso umano è estremamente sensibile alla presenza di geosmina e ne distingue la presenza nell’aria anche quando è molto diluita, pari a 5 parti ogni mille miliardi. Il National Center for Biotechnology Information degli Stati Uniti ha notato che «a livello di percezione molti pochi individui sono immuni alla geosmina», e che anche se la sua intensità «cala molto rapidamente nell’olfatto, in bocca tende a restare un cattivo sapore persistente». È per questo, come ha notato sempre la ASHS, che «il sapore terroso della barbabietola, causato dalla geosmina, provoca reazioni forti da parte dei consumatori, favorevoli o contrarie».

Secondo Grandi è plausibile che la rapa rossa possa non piacere per questo motivo, ma bisogna tenere in considerazione anche fattori storici e culturali.

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Grandi ricorda che la barbabietola era citata dallo scrittore romano Lucio Giunio Moderato Columella, che visse nel primo secolo dopo Cristo, e che al tempo le venivano attribuite anche doti medicinali, per cui doveva essere considerata un ortaggio prezioso. Si sa che fino al Medioevo era apprezzata soprattutto per le foglie, e poi anche per la radice, che veniva perlopiù lessata e condita con olio e sale. Dopo il ritorno di Cristoforo Colombo dalle Americhe, nel 1492, i gusti delle persone europee però subirono cambiamenti molto drastici grazie all’introduzione di alimenti prima sconosciuti, come il pomodoro, la patata e il peperone.

Dal Rinascimento in poi la rapa rossa «non ha più incontrato i gusti di gran parte delle persone nel consumo di massa», ha riassunto Grandi. A partire dall’inizio dell’Ottocento, inoltre, è stata associata perlopiù alla coltivazione della barbabietola da zucchero, e quindi a una pianta difficile da consumare direttamente e probabilmente poco interessante rispetto alle alternative. «Anche quando consumiamo verdure oggi siamo abituati ad avere gusti un po’ standardizzati», dice sempre Grandi.

A suo dire, comunque, il fatto che la barbabietola venga coltivata in certe zone non sembra determinare che in quelle aree venga consumata o apprezzata di più rispetto ad altre: la sua impressione è anzi che questa «scarsa affezione» per la rapa rossa in Italia sia «omogenea», e quindi un’ulteriore dimostrazione di come sia percepita più come una pianta industriale, che non come un ortaggio da mettere in tavola tutti i giorni.

Come notava già Sullivan nel 2010, attorno alla metà del decennio precedente la rapa rossa aveva cominciato a comparire nei menù dei ristoranti di lusso degli Stati Uniti, così come in quelli “posh” inglesi.

Al momento per esempio viene servito un piatto a base di rapa rossa nel ristorante Reale di Castel di Sangro, in Abruzzo, che è gestito dallo chef Niko Romito e ha tre stelle Michelin. Romito sostiene che la rapa rossa sia «uno di quei prodotti spesso poco apprezzati semplicemente perché poco conosciuti, perché non se ne sono mai veramente esplorate le potenzialità». Per questo ritiene che sia «più presente nell’alta cucina che nel quotidiano, dove l’immaginario si limita alla rapa rossa precotta del supermercato».

Romito ha detto di aver deciso di «lavorare sulla rapa rossa per la sua dolcezza», che voleva «esplorare e capire come gestire», e nel menù degustazione del Reale propone appunto un piatto composto da “Rapa rossa, uva fragola e rucola”. La ricerca per questo piatto gli ha ricordato l’esperienza del cavolfiore gratinato, che qualche tempo fa aveva inserito nel menù alla carta del ristorante e inizialmente era stato un po’ snobbato. «Oggi mi chiedono di aggiungerlo e piace anche a chi generalmente non mangia il cavolfiore», dice Romito: «Questo perché magari lo si conosceva solo lesso o in preparazioni che non valorizzavano gusto e consistenza».

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Anche nell’esperienza di Goggi il fatto che non sappiamo prepararla nei modi ideali può influire sulla percezione della rapa rossa in cucina: «Quando ero piccola mi veniva proposta condita solo con olio e aceto, mentre ci si possono preparare cose molto più interessanti», dice.

Nella cucina a base vegetale la rapa rossa viene molto utilizzata, proprio come altre verdure che solitamente sono meno impiegate, come il sedano rapa, perché «cucinare senza cibi animali richiede di scatenare la fantasia», spiega Goggi. La barbabietola per esempio si può sfruttare per ricreare una tartare dal colore rossastro, mentre se frullata dona un colore rosa che lei definisce «irresistibile», e quindi si può impiegare per fare un hummus di legumi o più in generale per dare un tocco di colore ai piatti. La rapa rossa da «cruda si presta a carpaccio sottile oppure a essere grattugiata, da cotta in insalata oppure come condimento di pasta e risotto». Goggi dice che spesso la taglia a cubetti e la condisce con una salsa fatta con yogurt di soia, olio e menta, oppure la frulla con del tofu vellutato per ottenere sempre una crema fucsia per la pasta.

Goggi ricorda che la rapa rossa è una verdura ricca di nitrati, «che contribuiscono a tenere bassa la pressione arteriosa, favorendo la produzione di ossido nitrico» (monossido di azoto). Dal momento che favorisce la vasodilatazione, «il suo succo sembra anche migliorare le performance sportive, se consumato prima dell’esercizio», nota sempre Goggi. Proprio il succo di barbabietola potrebbe essere una novità interessante per stimolare la curiosità e imparare a conoscere questo alimento anche a fronte della recente «esplosione delle bevande vegetali», osserva Grandi.