• Italia
  • Giovedì 22 febbraio 2024

La rassegnazione di Lona Lases

Domenica nel comune in provincia di Trento un unico candidato alle elezioni proverà a recuperare la fiducia degli elettori, dopo la scoperta di un sistema criminale governato dalla 'ndrangheta nelle cave di porfido

La frazione di Lona nel comune di Lona Lases
La frazione di Lona nel comune di Lona Lases (Syrio/Wikimedia)
Caricamento player

A Lona Lases, un comune di circa 900 abitanti in Val di Cembra, in provincia di Trento, alle ultime tre elezioni quasi nessuno è andato a votare: per tre volte il comune è stato commissariato perché non c’erano candidati oppure perché non è stato raggiunto il quorum, cioè almeno il 50 per cento dei voti. Il quarto tentativo è previsto domenica 25 febbraio e anche stavolta c’è un solo candidato, Antonio Giacomelli. Anche senza avversari, però, per Giacomelli non sarà semplice essere eletto: negli ultimi anni Lona Lases è stato al centro di un processo per infiltrazioni di ’ndrangheta nel comune e soprattutto nelle cave di porfido, la principale economia della Val di Cembra.

Le indagini hanno ricostruito la rete di potere basata sullo sfruttamento dei lavoratori, le intimidazioni, i favori e gli affari illeciti tra amministratori e cavatori, molti dei quali condannati in primo grado lo scorso luglio. È stato una sorta di tradimento istituzionale che ha reso gli elettori sfiduciati e rassegnati, almeno finora.

Il porfido è una pietra rossa estratta dalle cave. Viene ridotto a cubetti utilizzati poi per la pavimentazione di strade e piazze nei centri storici delle città. La Val di Cembra è dove se ne estrae di più in Italia – 639mila tonnellate all’anno, secondo gli ultimi dati – e circa il 40 per cento finisce all’estero. Nelle cave lavorano migliaia di persone, molte delle quali di origine straniera. È un lavoro pesante e con poche tutele.

L’organizzazione del lavoro si basa sul cottimo individuale: oltre i 28 quintali di porfido prodotto si viene pagati in base a quanti quintali di pietra in più si riesce a spaccare. Un operaio può arrivare a lavorarne 100 quintali in un giorno, ma molto dipende dalla qualità del materiale che riceve dall’imprenditore. Con questo sistema i guadagni dei lavoratori dipendono direttamente dai cavatori, che in questo modo riescono a tenere a bada rivendicazioni e scioperi.

Una cava di porfido

(il Post)

La ’ndrangheta si è infiltrata senza troppa fatica perché lo sfruttamento delle cave e dei lavoratori è un contesto ideale per fare affari illeciti, controllando facilmente anche i comuni. I magistrati che hanno indagato negli ultimi anni sono partiti da lontano, dalla fine degli anni Ottanta, quando iniziò a essere evidente il conflitto di interessi tra amministratori e concessionari. Le cave sono pubbliche, vengono date in concessione ai cavatori che pagano canoni di locazione ai comuni. Ma in quasi tutte le amministrazioni della valle i cavatori erano anche sindaci, assessori o consiglieri comunali. I controlli erano sporadici, prevedibili, i canoni irrisori e i guadagni alti.

Questo sistema ha retto per molto tempo e soltanto negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato: sono state fatte denunce e segnalazioni alla procura e alla direzione distrettuale antimafia. Molte sono state presentate dal “Coordinamento lavoro porfido”, un comitato di lavoratori nato nel 2014 per tutelare i lavoratori da sfruttamento e irregolarità. La ’ndrangheta si è anche esposta di più rispetto al passato: ci sono state aggressioni e intimidazioni che hanno attirato l’attenzione non solo all’interno delle cave, ma anche nella procura di Trento.

Il 15 ottobre 2020 sono state arrestate 18 persone. Nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Marco La Ganga ha scritto di intimidazioni, assoggettamento e di omertà, ha dato conto dei reati commessi per acquisire la gestione di attività economiche, di concessioni, di appalti e servizi. Tra le altre cose, le indagini hanno accertato lo sfruttamento di lavoratori del porfido, la detenzione illegale di armi, hanno scoperto diversi reati contro il fisco e hanno ricostruito come erano state influenzate le elezioni nel comune di Lona Lases.

– Leggi anche: Come la ’ndrangheta ha spolpato le cave di porfido in Trentino

Secondo l’accusa il capo della “locale” della ’ndrangheta, come viene chiamata la cosca trentina, era Innocenzio Macheda. Originario di Cardeto, uno dei primi paesi calabresi nell’Aspromonte partendo da Reggio, Macheda arrivò in Trentino nel 1987 e avrebbe rapporti con la cosca Serraino. La prima udienza del processo nei confronti di Macheda, escluso dal rito abbreviato, inizierà il 20 marzo.

(il Post)

Secondo la sentenza del primo processo noto come “processo Perfido”, due delle persone più coinvolte nell’intreccio tra crimine e istituzioni erano i fratelli Giuseppe e Pietro Battaglia. Sono anche loro di Cardeto. Si trasferirono in Val di Cembra all’inizio degli anni Ottanta e da allora, acquisizione dopo acquisizione, Battaglia è diventato un cognome importante a Lona Lases.

Nel 2001 Giuseppe Battaglia venne eletto consigliere comunale, mentre dal 2005 al 2010 fu assessore alle cave dello stesso comune. Il fratello Pietro nel 2011 divenne consigliere comunale. Giuseppe e Pietro Battaglia, secondo l’accusa, hanno sfruttato i lavoratori e falsificato fatture per vendere il porfido in nero. Lo scorso luglio Giuseppe Battaglia è stato condannato a 12 anni di carcere, la moglie Giovanna Casagranda a 9 anni e 4 mesi, il fratello Pietro Battaglia a 9 anni e 8 mesi.

Secondo i lavoratori del Coordinamento lavoro porfido, la lista che si presenta alle elezioni di domenica 25 febbraio è tutt’altro che in discontinuità con il sistema emerso dal processo. Mara Tondini, candidata al ruolo di vicesindaca, è stata sindaca di Lona Lases tra il 2002 e il 2005. Con lei c’erano anche Letizia Campestrini e Piermario Fontana, all’epoca entrambi assessori, ora candidati, e soprattutto in maggioranza c’era anche Giuseppe Battaglia.

Nelle ultime settimane il Coordinamento lavoro porfido ha ricostruito alcune vicende giudiziarie in cui fu coinvolta quell’amministrazione: una condanna della Corte dei Conti per alcuni passaggi di proprietà proprio relativi alle cave. «Il fatto è che ci chiediamo quale sia il senso di votare una lista nella quale sono candidate delle persone che il “Bene comune” l’hanno calpestato», dice Vigilio Valentini del Coordinamento lavoro porfido. «Con le varie amministrazioni che si sono succedute c’è stato un decadimento della situazione economica, tanto che Lona Lases è diventato uno dei Comuni più poveri del Trentino».

Vigilio Valentini fu sindaco nei dieci anni tra il 1985 e il 1995, gli unici in cui a Lona Lases furono alzati i canoni di concessione. Nell’aprile del 1986 l’auto dell’allora assessore alle cave, un’Alfetta, venne bruciata nella piazza del municipio durante un consiglio comunale. Un mese dopo 12 chili di tritolo vennero fatti esplodere vicino alla casa dello stesso assessore.

Negli ultimi anni il Coordinamento lavoro porfido ha chiesto più volte alla prefettura di istituire una commissione d’accesso, una sorta di commissione antimafia locale per ricostruire tutti i passaggi amministrativi degli ultimi 25 anni che hanno favorito l’infiltrazione mafiosa a Lona Lases. La richiesta non è mai stata presa in considerazione. «L’opacità è nemica della libertà e della democrazia, chiediamo trasparenza», dice Walter Ferrari, tra i coordinatori del comitato. «Come minimo sindacale vorremmo che i candidati rifiutassero pubblicamente i voti di chi oggi è a processo e di chi dopo tre anni continua a negare che ci sia un problema nelle nostre comunità. Siccome non è successo, da parte nostra invitiamo gli elettori a non consentire il raggiungimento del quorum, i cittadini non devono cadere nella trappola di un’elezione che si svolgerà nella totale opacità».

Il candidato sindaco Antonio Giacomelli punta al 70% dei voti. È sostenuto da quasi tutti i partiti, da Fratelli d’Italia al PD, schierati per tentare di convincere gli elettori dopo tre elezioni andate a vuoto. Giacomelli sembra avere un certo sostegno anche dall’associazionismo e dalla parrocchia, aiuti che erano mancati ai candidati che ci avevano provato nelle ultime volte.

Giacomelli dice di essere ottimista e risponde alle accuse del Coordinamento lavoro porfido assicurando che nel futuro di Lona Lases non potranno esserci nuove infiltrazioni. «Si sono creati tutti gli anticorpi necessari, con un’attenzione talmente alta che sarebbe pazzesco anche solo ipotizzare che qualcuno ci ritenti», ha detto al Corriere del Trentino. «Quello che mi preoccupa piuttosto è la demotivazione di una parte della popolazione che si è sentita messa da parte. Vedersi descritti come il covo della mafia ha depotenziato l’entusiasmo delle persone per bene». Secondo Giacomelli lo stigma della ’ndrangheta pesa ancora molto, ma il comune deve riuscire a svincolarsi dal legame che si è creato in questi anni e per farlo serve una nuova amministrazione che tra le altre cose dovrebbe far ripartire l’economia del porfido, ora in declino.