Chi furono i CCCP

Una delle più importanti e amate band della storia del punk e del rock italiani tornerà insieme dopo oltre trent'anni per una serie di concerti

Dal documentario “Kissing Gorbaciov” di Andrea Paco Mariani e Luigi D'Alife. (SMK Factory)
Dal documentario “Kissing Gorbaciov” di Andrea Paco Mariani e Luigi D'Alife. (SMK Factory)
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Quasi trentaquattro anni dopo il loro ultimo vero concerto i CCCP – Fedeli alla linea, una delle band più amate e influenti della storia del rock e del punk italiani, torneranno a suonare insieme in una reunion organizzata negli ultimi mesi e che ha sorpreso ed esaltato moltissimi loro fan che non speravano più di vederli insieme. Dopo tre concerti speciali a Berlino a fine febbraio, i CCCP faranno nell’estate un tour italiano, le cui date non sono ancora state annunciate. A ottobre si erano già ritrovati per due serate al Teatro Valli di Reggio Emilia, in un evento per festeggiare la loro carriera in cui avevano già suonato alcune delle loro canzoni più famose.

Nel corso degli anni Ottanta i CCCP si affermarono come band unica nel rock italiano, costruendosi un’identità riconoscibilissima e originale sia dal punto di vista musicale sia da quello dell’immagine. Il carismatico leader Giovanni Lindo Ferretti e il creativo chitarrista Massimo Zamboni furono il nucleo essenziale attorno al quale si sviluppò la band, che pubblicò in tutto quattro dischi e che successivamente si sarebbe rimescolata in una formazione che sarebbe diventata tra le più importanti degli anni Novanta, il Consorzio Suonatori Indipendenti (CSI).

I CCCP fin dal nome si richiamavano all’Unione Sovietica (CCCP è SSSR, cioè la sigla dell’URSS in russo, scritto in cirillico) e sull’adesione dichiarata ai valori e agli slogan del comunismo più ortodosso costruirono la loro immagine e la loro poetica, strettamente legata all’Emilia e alla sua storica fede politica di sinistra. Musicalmente, furono tra le band che portarono in Italia i suoni ibridi del punk più d’avanguardia che si stava affermando all’inizio degli anni Ottanta, sostenuto dai ritmi elettronici delle drum machine e arricchito dalle idee più sperimentali della musica industriale. Nei circa sei anni di attività, il repertorio dei CCCP diventò una sorta di canone della musica alternativa italiana, amato e ascoltato ancora oggi da fan vecchi e nuovi, sia nelle sue declinazioni più pesanti e rumoristiche – il caso per esempio della canzone “Emilia Paranoica” – sia in quelle più struggenti e delicate – “Annarella”, tra le più celebri – sia ancora in quelle quelle più danzerecce – “Io sto bene”, per dirne una.

Furono una band di “punk filo-sovietico” e “musica melodica emiliana”, come amavano definirsi loro stessi, con un formidabile gusto per lo spettacolo che espressero anche grazie al contributo di Annarella Giudici, “benemerita soubrette”, e Danilo Fatur, “artista del popolo”, due performer locali che Ferretti e Zamboni coinvolsero stabilmente nella band per esibirsi sul palco con loro e che diventarono parte integrante dell’immagine dei CCCP.

 

Ferretti e Zamboni erano nati entrambi in Emilia, il primo a Cerreto Alpi, il paesino dell’Appennino reggiano dove sarebbe poi tornato a vivere anni dopo, e il secondo a Reggio Emilia. Ma si conobbero a Berlino nel 1982, in uno scalcinato locale chiamato Superfly. Ferretti ci era andato dopo aver studiato al DAMS e aver lavorato un po’ per caso come operatore psichiatrico, mentre Zamboni era lì per l’estate attirato dalla fiorente scena musicale della città.

La sottocultura punk era nata alcuni anni prima tra New York e Londra, e si era già diversificata in una grande varietà di interpretazioni culturali e musicali, accomunate dalla radicalità politica e dalla volontà di distruggere le fondamenta del rock e di quello che era diventato nelle sue interpretazioni più commerciali e conformistiche. Berlino era divisa dal muro, e si stava affermando come centro della cultura e della musica alternativa europea, grazie a una scena animata da band come gli Einstürzende Neubauten.

Tornati in Italia, Ferretti e Zamboni coinvolsero il batterista Zeo Giudici e il bassista Umberto Negri, componendo la prima formazione dei CCCP. Presto però decisero di fare a meno di Giudici, sostituendolo con una batteria elettronica: fu una scelta che definì il loro stile e che li avrebbe distinti dalla maggior parte delle altre band italiane. Quei primi strumenti elettronici avevano suoni sporchi e dozzinali, ma irresistibili nel creare basi ritmiche su cui muoversi, ballare, pogare. Uniti alle chitarre ossessive, distorte e taglienti di Zamboni, e al cantato monocorde e urlato di Ferretti, rappresentarono l’essenza del suono dei CCCP dei primi anni. I primi concerti della band furono nella provincia emiliana attorno a Fellegara, dove viveva Ferretti, e a Berlino, che la band aveva continuato a frequentare approfondendo la conoscenza della parte Est. Nacque in quei concerti lo slogan “Live in Pankow”, dal nome del quartiere dove si concentravano le attività della Repubblica Democratica Tedesca.

Ferretti e Zamboni erano cresciuti con il mito dell’URSS comunista, ma la decisione di fare un ricorso così esplicito all’immaginario sovietico non dipese tanto da un’adesione politica quanto dalla volontà di proporre un insieme di riferimenti diversi rispetto a quelli prettamente americani e britannici presenti nella musica italiana e internazionale. Ferretti aveva studiato etnomusicologia, a Berlino avevano conosciuto la cultura degli immigrati turchi, e lui e Zamboni condividevano una fascinazione per l’Est Europa e per l’Asia (in particolare per la Mongolia, che visitarono poi insieme anni dopo nell’esperienza che ispirò Tabula rasa elettrificata dei CSI). Ed entrambi erano contemporaneamente legatissimi ai valori e alla cultura contadina dell’Emilia, compresa la tradizione musicale popolare.

Lo stesso Ferretti all’inizio dei CCCP spiegò che «un anno fa quando decidemmo di usare questo nome ci muoveva solo la voglia di riportare un po’ di equilibrio in un’Europa sempre più e sempre solo filoamericana. Si badi bene il discorso non è mai politico, se non per conseguenza, è estetico ed etico. Siamo filosovietici non perché siamo di sinistra, se mai lo siamo stati, ma perché siamo legati all’esperienza umana da interessi che non esistono, non sono contemplati nell’impero americano e quindi piano piano, a volte con disappunto e sempre in maniera imprevedibile come solo le cose vissute realmente possono essere, ci siamo lasciati affascinare dall’impero sovietico».

Su questi elementi si fondarono i CCCP, che fin da subito furono oltre che una band un progetto più ampio, basato su una chiara connotazione estetica che fu arricchita un paio di anni dopo la formazione del gruppo dall’aggiunta di Annarella Giudici e Danilo Fatur. La prima agghindata con eleganti vestiti lunghi e cappelli, il secondo conciato con bizzarri ornamenti scenici e succinti completi in pelle nera, iniziarono ad accompagnare sul palco i concerti della band, che integrarono elementi teatrali e cabarettistici dell’intrattenimento popolare, reinterpretati in chiave surrealista.

Il primo singolo pubblicato dai CCCP, Ortodossia del 1984, incluse una delle loro canzoni più celebri, “Punk Islam”, ispirata a una scritta letta da Ferretti su un muro della metropolitana di Kreuzberg e che tra gli altri includeva il verso: “Allah è grande e Gheddafi è il suo profeta”. Pochi anni prima, il dittatore libico aveva pubblicato il suo Libro verde, in cui aveva esposto il suo manifesto per coniugare socialismo e panarabismo, come terza via rispetto al capitalismo e al comunismo sovietico. “Spara Jurij”, altra celebre canzone di quella primissima raccolta, faceva invece riferimento al segretario del PCUS Jurij Andropov, e fu improvvisata in studio dopo aver letto la notizia dell’abbattimento da parte dell’Unione Sovietica del volo di linea coreano KAL007 sopra al mar del Giappone. “Live in Mosca, live in Budapest, live in Varsavia, live in Sofia, live in Praga, live in Pankow” esordiva invece “Live in Pankow”, la terza canzone contenuta in Ortodossia.

Inizialmente le vendite non furono granché, come quelle dei due EP successivi, Ortodossia II e Compagni, cittadini, fratelli, partigiani. Ma alcune di quelle canzoni furono incluse nel primo vero disco della band, 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età, un titolo che si ispirava a un editoriale uscito nel 1962 sul quotidiano ufficiale del Partito Comunista cinese. Il disco ebbe un grande successo, ed è diventato uno di quelli fondamentali nella storia della musica italiana. Conteneva tra le altre “Curami”, “Io sto bene” e “Morire”, oltre alle già uscite “Mi ami?” e “Emilia paranoica”, diventate tutte inni della band.

Il successo del disco spinse i CCCP a lasciare la loro prima etichetta, l’indipendente Attack Punk Records, per firmare con una major, la Virgin: la cosa gli attirò forti critiche da parte dei fan più militanti, che per l’occasione li accusarono di essere “Fedeli alla lira”, che sarebbe diventato il titolo di una loro canzone alcuni anni dopo. Il secondo disco, Socialismo e barbarie, storpiava la massima di Rosa Luxemburg, che invece poneva i due concetti in contrapposizione come unici destini possibili per l’umanità. In copertina aveva l’immagine della catena di montaggio di una Fiat 124, che in quegli anni veniva costruita nello stabilimento di Togliatti, in Unione Sovietica.

Il disco si apriva con “A ja ljublju SSSR”, una reinterpretazione dell’inno sovietico, e proseguiva più avanti con “Manifesto”, che cominciava con un ribaltamento del principio leniniano per cui “I soviet più l’elettricità non fanno il comunismo”. Conteneva diverse canzoni assai cantabili e ballabili come “Per me lo so”, “Tu menti” e “Oh! Battagliero”, assieme ad altre più dissonanti e simili a quelle degli esordi come “Stati di agitazione” e a nuovi riferimenti alla cultura musulmana, come “Sura”, “Radio Kabul” e “Inch’Allah – Ça va”.

C’era anche “Libera me domine”, una canzone in cui Ferretti cantava una preghiera in latino recitata tradizionalmente prima delle sepolture. La sua educazione era stata cattolica, e dopo una gioventù di militanza comunista, anche in Lotta Continua, si era riavvicinato alla religione negli anni Ottanta. Soprattutto a partire dagli anni Duemila emerse quanto fosse conservatrice la sua interpretazione della fede cristiana e più in generale la sua visione del mondo e della società. Le sue posizioni su temi come l’immigrazione o l’aborto sarebbero stati argomenti di accese ed estese discussioni, tra appassionati della band e non solo. Molti ne rimasero sorpresi, considerando il posto nell’immaginario della sinistra radicale italiana che ebbero i CCCP, ma altri nel tempo hanno sottolineato come le sue uscite più reazionarie siano a loro modo coerenti con la sua personale ideologia così legata alle tradizioni e al comunitarismo contadino.

I CCCP erano in quel momento un fenomeno enorme nella musica alternativa italiana. Raramente si erano viste band con una tale forza espressiva e così originali rispetto a qualunque cosa fosse in circolazione, in Italia ma anche in Europa. Si erano costruiti un’immagine inconfondibile, credibile anche se mescolava le balere emiliane ai dervisci turchi ai piani quinquennali sovietici. Tenevano insieme elementi del rock e del punk più d’avanguardia e altri più accessibili della new wave fino ad avvicinarsi al pop, sembravano fortemente politicizzati, ma rifacendosi all’URSS più che altro dal punto di vista estetico non erano retorici. Apparivano insieme schierati e ambigui, ortodossi e dissacranti. Ai loro concerti si cantava, si ballava, si pogava, si urlavano slogan comunisti e si inneggiava alla prima intifada palestinese, ma si ascoltavano anche canzoni come “Madre”, dedicata alla Vergine Maria, o canzoni popolari della Prima guerra mondiale come “Il testamento del capitano”.

Il loro pubblico era diventato grosso, erano sempre più conosciuti anche fuori dalla scena alternativa e di sinistra, ma non cercarono mai davvero di raggiungere il grande pubblico. Non passarono quasi mai in televisione, e rimasero fondamentalmente una band punk che amava esibirsi alle feste dell’Unità, pur attirando l’attenzione di chi nel mondo del pop aveva gusto e attenzione per l’originalità e la ricerca, come nel caso di Amanda Lear, che con i CCCP registrò una versione del suo celebre singolo “Tomorrow”, nel 1988.

Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa, il loro terzo disco, uscì nel 1989 e aveva in copertina una Madonna con bambino che aveva scolpito il padre di Zamboni, marmista. Conteneva tra le altre “Svegliami”, “Huligani Dangereux”, “Fedele alla Lira?”, “Palestina” e “And the Radio Plays”. È rimasto probabilmente il loro disco meno ricordato, ma corrispose a un momento storico per la band, un tour di otto giorni tra Mosca e Leningrado a cui parteciparono anche i Litfiba, organizzato dopo che l’anno precedente a Melpignano, nel Salento, si erano esibite per la prima volta in Occidente delle band rock sovietiche. Quel tour, nel quale i CCCP suonarono la loro versione dell’inno sovietico davanti ai soldati russi pochi mesi prima dell’abbattimento del muro di Berlino, è stato recentemente raccontato nel documentario Kissing Gorbaciov.

Nel 1990 l’Unione Sovietica stava per smettere di esistere, e di conseguenza i CCCP. Il loro ultimo disco, Epica Etica Etnica Pathos, è rimasto però come uno dei più amati della band, il più maturo e ricco anche per la presenza di musicisti nuovi che sarebbero peraltro poi confluiti nei CSI, come il bassista Gianni Maroccolo, il chitarrista Giorgio Canali, il tastierista Francesco Magnelli e il batterista Ringo De Palma. Oltre a ballate che negli anni hanno raggiunto un pubblico molto ampio, come “Amandoti” e “Annarella”, il disco conteneva anche lunghi pezzi strumentalmente articolati come “Aghia Sophia”, “Narko’$” e “Maciste contro tutti”, che anticipavano quello che sarebbero stati i CSI. Il disco fu registrato in una villa settecentesca abbandonata nella campagna reggiana, in un ritiro della band che fu seguito anche da Luigi Ghirri, le cui fotografie finirono in copertina e sul libretto del disco.

Il disco uscì il 13 settembre 1990, e poco dopo, in contemporanea con la riunificazione tedesca, i CCCP si sciolsero. Fu poi su impulso di Maroccolo che due anni dopo Ferretti e Zamboni formarono i CSI, il cui nome si ispirava a quello della Comunità degli Stati Indipendenti, l’organizzazione costituita nel 1991 da nove ex repubbliche sovietiche. Fu una band meno iconica, ma enormemente influente per la musica alternativa italiana degli anni Novanta, e i suoi tre dischi – Ko de Mondo, Linea Gotica e Tabula rasa elettrificata – sono considerati tra i più belli e importanti della storia del rock italiano. Senza Zamboni, i CSI si riformarono poi nel 2001 nei PGR, Per Grazia Ricevuta, pubblicando quattro dischi che ottennero però un successo molto più limitato.

– Leggi anche: Luca Sofri: Una canzone dei CSI

Dopo i CSI Zamboni e Ferretti non ebbero a lungo grandi rapporti, ma di recente sono tornati a frequentarsi e nel 2023 hanno deciso di festeggiare i 40 anni dall’uscita di Ortodossia progettando una mostra in cui sono esposti cimeli e documenti sulla storia della band, aperta ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia fino al 10 marzo. Dopo la partecipazione alle riprese di Kissing Gorbaciov, a ottobre si sono ritrovati con Giudici e Fatur per due serate al Teatro Valli, in cui oltre a raccontare aneddoti e a mostrare video d’epoca hanno suonato alcune canzoni dei CCCP, per la prima volta insieme dopo diversi decenni. Ai tre concerti di Berlino, che si terranno all’Astra Kulturhaus a fine febbraio, seguiranno alcune date estive in Italia, ancora da annunciare.