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  • Sabato 10 febbraio 2024

Israele si prepara a invadere anche Rafah, ma è complicato

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ordinato all'esercito di fare un piano per evacuare più di un milione di civili palestinesi che si trovano in città

Un carro armato israeliano a Rafah, vicino a molti palestinesi appena arrivati lì dalla città di Khan Yunis (AP Photo/Fatima Shbair)
Un carro armato israeliano a Rafah, vicino a molti palestinesi appena arrivati lì dalla città di Khan Yunis (AP Photo/Fatima Shbair)
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L’esercito israeliano si sta preparando da giorni a invadere anche Rafah, l’ultima grande città della Striscia di Gaza che non ha ancora attaccato via terra nell’ambito della guerra in corso ormai da quattro mesi con il gruppo armato palestinese Hamas. Da circa due settimane a Rafah si è rifugiata su richiesta di Israele più di metà della popolazione di tutta la Striscia di Gaza, oltre un milione di civili palestinesi, dopo l’intensificarsi degli attacchi israeliani su Khan Yunis, la principale città nel sud della Striscia. Rafah è ancora più a sud, al confine con l’Egitto: è già stata bombardata in questi mesi, ma non ancora invasa.

Venerdì sera il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha fatto sapere in un comunicato di aver ordinato all’esercito di preparare un piano per evacuare i civili che al momento si trovano a Rafah, e per «distruggere» quattro battaglioni di Hamas che secondo lui sarebbero stati schierati nella città. Il comunicato non dava altre informazioni su come dovrebbe avvenire l’evacuazione: diceva solo che Israele non può raggiungere il suo obiettivo di smantellare Hamas se quei battaglioni non verranno eliminati.

Da quando Israele a fine ottobre ha iniziato l’invasione della Striscia di Gaza, Netanyahu e il suo governo hanno di volta in volta ordinato l’evacuazione dei civili dalle principali città della Striscia, giustificandola con la necessità di smantellare le basi militari di Hamas e i suoi tunnel sotterranei (secondo alcune stime è ancora molto lontano dal raggiungimento di quest’obiettivo). Inizialmente l’esercito aveva invaso solo il nord della Striscia, ma si è via via spostato verso sud, e la gran parte della popolazione è fuggita dalle città invase, con conseguenze disastrose a livello umanitario.

Scappare da Rafah però è ancora più complicato, perché non ci sono altre grandi città dove poter andare. A Rafah la grandissima parte dei civili è sistemata in tende o per strada, e la città è in sostanza un gigantesco campo profughi in cui le organizzazioni umanitarie non riescono a garantire nemmeno i servizi più basilari. Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), ha detto che «le persone non hanno idea di dove andare» e che tra loro «c’è un crescente senso di ansia e panico».

Una delle grandi tendopoli di Rafah (AP Photo/Hatem Ali)

Secondo le organizzazioni umanitarie attive sul territorio, invadere Rafah potrebbe causare molti morti, perché non è detto che le persone riescano effettivamente ad andarsene. Venerdì sera, dopo il comunicato di Netanyahu, almeno 11 palestinesi sono stati uccisi in un bombardamento israeliano che ha colpito una casa a Rafah, secondo il ministero della Salute della Striscia di Gaza (controllato da Hamas). Nei giorni precedenti c’erano stati altri bombardamenti e altre persone uccise. Dall’inizio della guerra l’esercito israeliano ha ucciso almeno 28mila persone nella Striscia di Gaza, sempre secondo le stime del ministero della Salute.

Temendo che i civili palestinesi fuggano da Rafah nel suo territorio, l’Egitto ha rinforzato le misure di sicurezza alla frontiera con la Striscia di Gaza, tra le altre cose inviando 40 carri armati. A Rafah c’è l’unico varco di frontiera della Striscia che è stato più volte aperto dall’inizio della guerra, per far uscire persone o per far entrare aiuti umanitari.

Anche gli Stati Uniti, il più stretto alleato internazionale di Israele, negli ultimi giorni hanno fortemente criticato il piano israeliano di condurre operazioni militari più intense a Rafah: il portavoce del Consiglio di sicurezza John Kirby, per esempio, ha detto che attaccare Rafah in questo momento «sarebbe un disastro per quelle persone» e che quindi gli Stati Uniti «non lo sosterrebbero».

Due giorni fa Netanyahu aveva rifiutato una tregua di quattro mesi e mezzo alla guerra proposta da Hamas, che prevedeva la liberazione di tutti gli ostaggi detenuti dal gruppo nella Striscia in cambio del ritiro completo dell’esercito israeliano. Il primo ministro aveva definito le condizioni proposte «deliranti» e sostenuto che avrebbero permesso ad Hamas di riorganizzarsi per nuovi attacchi contro Israele, simili a quello che il 7 ottobre scorso ha dato inizio alla guerra attualmente in corso.