10 anni senza Philip Seymour Hoffman

E senza i film-con-Philip-Seymour-Hoffman, che non importa quante battute avesse: erano tutti speciali

Philip Seymour Hoffman alla conferenza stampa di presentazione del film Moneyball all'International Film Festival di Toronto del 2011. (EPA/WARREN TODA)
Philip Seymour Hoffman alla conferenza stampa di presentazione del film Moneyball all'International Film Festival di Toronto del 2011. (EPA/WARREN TODA)

Ogni film con Philip Seymour Hoffman, anche quelli in cui la sua parte era molto marginale e secondaria, è rimasto come un film-con-Philip-Seymour-Hoffman. Ciascun suo personaggio ha avuto qualcosa di memorabile: rubava la scena anche con poche battute, poche inquadrature. Di film da protagonista ne ha fatti pochissimi, tre o quattro, ma gli bastarono per vincere il suo Oscar, per Truman Capote – A sangue freddo. Che forse non è nemmeno la sua interpretazione più ricordata. Non sono molti gli attori che con così pochi grandi ruoli sono ricordati tra i migliori della loro generazione. Ancora meno sono quelli che sono ricordati così essendo morti giovani, a 46 anni, una domenica mattina di dieci anni fa.

Fu trovato nel suo appartamento del West Village a Manhattan il 2 febbraio 2014, e la sua morte fu attribuita a un’overdose di sostanze diverse, eroina, cocaina, benzodiazepine e anfetamine. Aveva grossi problemi di dipendenza da oltre vent’anni, era stato spesso in comunità di recupero, ma senza mai ottenere risultati duraturi, ha raccontato poi la sua compagna Mimi O’Donnell. La sua morte scioccò e addolorò gli appassionati di cinema di tutto il mondo; O’Donnell ha detto che se l’aspettava, ma che non era riuscita a impedirla.

Quella di trasformare piccole parti in grandi interpretazioni era stata una sua caratteristica, dovuta forse anche al fatto che aveva il fisico più da comprimario che da star: ma che avesse la stoffa da protagonista lo aveva dimostrato, e soprattutto negli ultimi anni i ruoli grossi erano stati diversi. Meno di due anni prima che morisse era uscito The Master di Paul Thomas Anderson, in cui faceva il fondatore di Scientology L. Ron Hubbard, in quella che è rimasta forse la sua interpretazione più ricordata e amata.

Era spesso l’amico-del-protagonista: in La 25ª ora di Spike Lee, in …e alla fine arriva Polly, in Il talento di Mr. Ripley, in Patch Adams. Ma fu perfetto anche come sacerdote accusato di pedofilia in Il dubbio, come istrionico conduttore radiofonico in I Love Radio Rock, come fratello disperato e senza scrupoli in Onora il padre e la madre, come agente segreto anticonformista nella Guerra di Charlie Wilson, come allenatore di baseball in Moneyball. Per non parlare di come definì quello che ancora oggi è il più riuscito e citato modello di critico musicale, interpretando il leggendario Lester Bangs in Quasi famosi.

Hoffman era nato nel 1967 alla periferia di Rochester, nello stato di New York, e dopo il divorzio dei genitori fu cresciuto principalmente da sua madre, una maestra di scuola elementare che in seguito sarebbe diventata avvocata e giudice. Fu la madre che lo portò a vedere uno spettacolo teatrale di Arthur Miller a 12 anni, facendolo innamorare della recitazione. Cominciò a studiarla seriamente, partecipò a campi estivi, e fu ammesso infine alla scuola organizzata dalla New York University.

La sua prima parte fu in un episodio della serie Law & Order, e all’inizio degli anni Novanta ebbe i suoi primi ruoli al cinema, prima in film indipendenti e poi in qualche produzione più grande, finché nel 1992 si fece notare per i minuti che ebbe a disposizione in Scent of a Woman – Profumo di donna a fianco di Al Pacino. Da lì in poi le parti cominciarono ad arrivare con costanza, e tra quelli che prima e più di tutti si attaccarono al suo talento ci fu il regista Paul Thomas Anderson, che lo scelse per il suo primo film, Sydney del 1996, e non lo mollò più (e che per Licorice Pizza del 2021 volle come protagonista suo figlio, Cooper Hoffman, che oggi ha 20 anni).

Fu in quegli anni che Hoffman consolidò il suo status di attore capace di dare significato e profondità a parti da poche battute e pochi minuti, e in particolare di saper rendere grandi dei personaggi tristi dentro ma in qualche modo buffi fuori. Perché spiritosi, o ridicoli, o goffi, ma anche inetti, oppure dolci, incompresi, sopra le righe, geniali. A volte in realtà anche viscidi, antipatici, sgradevoli, manipolatori, spesso sudati, trasandati, ma in certi casi elegantissimi, distinti. Sapeva essere tante cose, e sapeva esserle benissimo.

In Twister del 1996 dimostrò di saper stare perfino in un blockbuster sui cacciatori di tornado, e in Boogie Nights – L’altra Hollywood mostrò il suo talento nell’interpretare i personaggi gay, cosa che gli sarebbe ricapitata in seguito. In Il grande Lebowski, come assistente del vero signor Lebowski, riuscì a distinguersi in un film che di personaggi secondari assurdi e formidabili era pieno, e poi in Flawless di Joel Schumacher tenne testa al co-protagonista Robert De Niro e soprattutto riuscì a interpretare con grazia una donna transgender in un film con una sceneggiatura un po’ stereotipata e confusa. Era il 1999, quando uscirono anche Il talento di Mr. Ripley e Magnolia di Paul Thomas Anderson, in cui Hoffman faceva un infermiere di buon cuore che finisce nei pasticci. Fu l’anno della sua consacrazione.

Negli anni Seymour Hoffman fece altri grossi blockbuster, da Mission: Impossible III a Hunger Games, ma continuò sempre a gravitare attorno al cinema più indipendente, per esempio come protagonista dell’assurdo e visionario Synecdoche, New York di Charlie Kaufman, un’altra sua interpretazione di culto. Film che tra loro non c’entrano niente, se non in una cosa: sono dei film-con-Philip-Seymour-Hoffman.