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  • Martedì 30 gennaio 2024

Il sistema giudiziario dell’Ungheria di Orbán è messo molto male

Se ne parla per le condizioni in cui è apparsa Ilaria Salis al suo processo: la situazione è grave soprattutto nelle carceri, inadeguate e infestate dalle cimici

Un richiedente asilo fotografato in un centro di detenzione a Nyirbator, in Ungheria (AP Photo/Bela Szandelszky)
Un richiedente asilo fotografato in un centro di detenzione a Nyirbator, in Ungheria (AP Photo/Bela Szandelszky)
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Le foto dell’attivista antifascista Ilaria Salis arrivata in catene a un’udienza del processo in cui è imputata a Budapest, in Ungheria, hanno generato moltissime reazioni in Italia, dove ormai da decenni non si usano più trattamenti del genere nei confronti di una persona detenuta. In Italia il codice di procedura penale prevede che una persona imputata, anche se detenuta, assista «all’udienza libero nella persona […] salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza». Un’eventualità quindi piuttosto rara, utilizzata in casi particolari.

L’Ungheria però ha un sistema giudiziario e detentivo non adeguato agli standard europei. La situazione è peggiorata ulteriormente sotto il mandato del primo ministro Viktor Orbán, di estrema destra, che negli anni ha trasformato l’Ungheria in un paese semi-autoritario e per certi versi più vicino alla Russia di Vladimir Putin che all’Unione Europea, di cui pure fa parte.

Ormai da diversi anni Orbán e il suo partito, Fidesz, mantengono un saldo controllo dei tribunali e della magistratura. Dal 2012 le promozioni dei giudici vengono decise da un organo controllato di fatto da Orbán: solo di recente il governo ungherese ha accettato di rafforzare i poteri dell’organismo indipendente di autogoverno dei giudici, come parte di un accordo con l’Unione Europea per ottenere alcuni fondi, ma ci sono dubbi sul fatto che questo organismo rafforzato sarà davvero indipendente.

In un rapporto del 2020 Amnesty International racconta inoltre che i giudici non allineati al governo o a Fidesz hanno percepito «un aumento nel numero e nella durezza degli attacchi da parte dei politici e dei giornali contro singoli giudici e sentenze» (in Ungheria i media rimasti davvero indipendenti sono pochissimi).

Soltanto qualche settimana fa il governo ha creato una nuova agenzia per la protezione della sovranità nazionale che secondo i critici, fra cui anche l’amministrazione statunitense di Joe Biden, permetterà di avviare processi sommari a giornalisti, attivisti e oppositori politici. E anche la situazione delle carceri è ritenuta particolarmente problematica.

Secondo un rapporto diffuso a dicembre dallo Hungarian Helsinki Committee (HHC), una ong che si occupa di diritti umani in Ungheria, a ottobre del 2023 nelle carceri ungheresi erano detenute 18.407 persone a fronte di una capacità massima di 17.998, con un’occupazione pari al 102 per cento. La situazione è ancora più grave nelle strutture di Budapest, la capitale, dove il dato varia dal 104 al 107 per cento: da circa un anno Salis è detenuta proprio in una struttura di Budapest. Secondo una recente inchiesta del collettivo di giornalisti Atlatszo in Ungheria «non ci sono mai state così tante persone dietro le sbarre».

Il sovraffollamento delle carceri arriva da lontano, esattamente come in Italia dove l’occupazione vale in media il 110,6%, ma negli ultimi anni si è fatto più grave per alcune tendenze ritenute preoccupanti dalle ong: per esempio la scarsissima disponibilità di pene alternative al carcere, unita al numero enorme di persone detenute in attesa di processo. A ottobre erano 4.407, quasi una persona su quattro fra quelle detenute in tutto il sistema: è un dato che aumenta dal 2019, quando era sceso fino al 19 per cento (in Italia la stima è del 14 per cento).

Le condizioni in cui vivono i detenuti sono pessime, molto al di sotto degli standard europei. In un rapporto del 2018 del Consiglio d’Europa, la più importante organizzazione che si occupa di diritti umani nell’Europa geografica, si legge che alcuni detenuti intervistati raccontano di essere stati picchiati all’arrivo nelle stazioni di polizia, prima di essere trasferiti in carcere. «I presunti abusi consistono in pugni in faccia, calci negli stinchi, pestoni fatti con l’obiettivo di infliggere dolore, generalmente in assenza di testimoni o fuori dalle inquadrature delle telecamere di sicurezza», dice il rapporto.

Un enorme problema riguarda poi le cimici dei letti. Lo Hungarian Helsinki Committee dice di aver ricevuto segnalazioni da 20 carceri ungheresi su infestazioni prolungate di questi insetti. Anche Salis in una delle sue lettere dal carcere ha raccontato di essere «tormentata» da cimici da letto, scarafaggi e topi.

Un altro problema ricorrente è l’assenza di impianti di riscaldamento funzionanti e di acqua calda. La legge ungherese impone che nelle strutture pubbliche la temperatura non superi i 18 gradi, ma nelle carceri spesso è molto inferiore. Lo Hungarian Helsinki Committee dice che diversi detenuti si lamentano delle «temperature insopportabilmente basse», e di «insufficiente quantità di acqua calda disponibile». In estate, il problema è opposto: l’assenza di impianti di condizionamento rende i detenuti particolarmente vulnerabili alle ondate di calore.

L’Unione Europea e varie organizzazioni internazionali chiedono da tempo all’Ungheria di rafforzare il proprio sistema giudiziario e le condizioni nelle carceri: finora però gran parte delle richieste non ha avuto seguito.

Nel 2020 la ministra della Giustizia, Judit Varga, promise di risolvere il problema del sovraffollamento dei detenuti costruendo nuove carceri: una soluzione simile a quella proposta dal governo italiano di Giorgia Meloni, di cui Orbán è un alleato politico. A distanza di quasi quattro anni soltanto una piccola parte dei posti promessi da Varga si sono materializzati.

Del resto anche in Italia c’è un grave sovraffollamento nelle carceri, e le condizioni di vita delle persone detenute sono spesso complicate e disumane anche qui: nel 2009 e nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) condannò l’Italia proprio per il sovraffollamento. Nel 2022 ci fu un’altra condanna per aver trattato «in modo inumano» un detenuto con disturbi psichiatrici.

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