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  • Lunedì 29 gennaio 2024

A Città del Messico sono ricominciate le corride

Non venivano organizzate da più di un anno, e stanno provocando nuove proteste contro una pratica ritenuta da molti crudele e anacronistica

Il pubblico attende l'inizio della corrida a Città del Messico, 28 gennaio 2024 (AP Photo/Fernando Llano)
Il pubblico attende l'inizio della corrida a Città del Messico, 28 gennaio 2024 (AP Photo/Fernando Llano)
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Domenica a Città del Messico alcuni attivisti per i diritti degli animali si sono riuniti davanti all’ingresso dell’arena Plaza de México per protestare contro l’inizio della stagione della corrida, una tradizione spagnola molto radicata anche in diversi paesi dell’America Latina.

Nella capitale messicana non veniva organizzata una corrida dal giugno del 2022, quando un tribunale federale accolse il ricorso presentato da Justicia Justa, un’associazione per la difesa dei diritti degli animali, stabilendo la sospensione a tempo indeterminato di questo tipo di eventi sulla base del trattamento «degradante» riservato ai tori. A dicembre la Corte Suprema di Giustizia, la massima magistratura messicana, aveva però revocato la sospensione sulla base di alcuni inconvenienti tecnici, stabilendo che le corride potessero tornare a essere organizzate a Città del Messico in attesa di una decisione sul merito della questione.

La decisione della Corte ha rianimato un dibattito che divide da anni l’opinione pubblica messicana. Come in tutti i paesi che organizzano eventi di questo tipo, c’è chi ritiene che le corride siano un’inutile e crudele barbarie e chi le considera parte del patrimonio dell’identità culturale.

In Messico la corrida è una tradizione secolare che però da tempo è sempre più contestata, in particolare per un motivo: è uno dei pochi paesi in cui questi eventi si svolgono nella loro forma più antica, vale a dire quella in cui durante lo spettacolo il toro viene istigato al combattimento e poi ucciso dal torero (in spagnolo “matador”), che lo infilza con apposite spade. In alcuni paesi, come per esempio il Portogallo (dove questa tradizione si chiama “toruada”), il toro non viene ucciso, ma soltanto domato.

A dicembre, due giorni dopo la decisione della Corte Suprema di Giustizia, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador aveva proposto di organizzare una consultazione popolare a Città del Messico per permettere ai cittadini di pronunciarsi direttamente sulla possibilità di vietare le corride in modo permanente.

Chi sostiene la proposta ritiene infatti che questa non sia una forma di cultura, ma di tortura. Secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano Reforma, il 59 per cento dei messicani sarebbe a favore dell’abolizione della corrida, che il 73 per cento degli intervistati considera un «atto di crudeltà» nei confronti degli animali. Solo un quarto delle persone intervistate sostiene che faccia parte dell’arte e della tradizione del paese. Due terzi delle persone che hanno risposto al sondaggio ritengono inoltre che sia prioritario tutelare gli animali piuttosto che gli interessi economici del settore. Le corride sono già state vietate in singole città e in alcuni stati federali messicani, tra cui Guerrero, Sonora e Coahuila.

Stando alle cifre stimate dall’Associazione nazionale degli allevatori di tori da combattimento, citate da El Mundo, in Messico il settore ha un giro di affari annuo attorno ai 300 milioni di euro e impiega in maniera più o meno diretta più di 220mila persone. Uno degli aspetti più contestati da chi si oppone al possibile divieto delle corride a Città del Messico riguarda proprio le conseguenze economiche su tutto il settore, da chi lavora negli allevamenti a chi è impiegato nelle arene. Secondo l’organizzazione non governativa Humane Society International, ogni anno nel mondo vengono uccisi circa 250mila tori durante le corride.