Non ci sarà alcuno stato palestinese dopo la fine della guerra a Gaza, secondo Netanyahu

Il primo ministro israeliano l'ha ripetuto in conferenza stampa, ma è il contrario di quello che vorrebbero gli Stati Uniti

Mezzi dell'esercito israeliano si muovono verso Gaza, il 17 gennaio 2024 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
Mezzi dell'esercito israeliano si muovono verso Gaza, il 17 gennaio 2024 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Giovedì sera, in conferenza stampa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di escludere la possibilità di creazione di uno stato palestinese autonomo nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania nel prossimo futuro. Secondo Netanyahu, anche una volta terminata la guerra nella Striscia di Gaza – che prosegue ormai da oltre tre mesi e ha causato, secondo le stime del ministero della Salute di Gaza, quasi 25mila morti – «in qualsiasi soluzione che potrà essere trovata nel prossimo futuro, con o senza un accordo, Israele manterrà il controllo su tutti i territori a ovest del fiume Giordano».

Questo renderebbe impossibile la formazione di un futuro stato palestinese, dato che sia la Striscia di Gaza che la Cisgiordania, il territorio governato in maniera semiautonoma da un’entità parastatale nota come Autorità Palestinese, si trovano a ovest del fiume. L’ha riconosciuto anche Netanyahu, che giovedì ha detto: «Questa è una condizione necessaria ed è in conflitto con l’idea di sovranità palestinese. Devo dire questa verità ai nostri amici americani, e fermare il tentativo di imporci una realtà che danneggerebbe la sicurezza di Israele».

Quella di Netanyahu è sembrata essere una risposta diretta al fatto che il giorno prima, mercoledì, il segretario di stato statunitense Antony Blinken aveva detto che Israele non sarebbe mai stato davvero sicuro se non si fossero fatti dei passi verso l’indipendenza palestinese. «È chiaro che la vediamo diversamente», ha commentato il portavoce per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby.

Le affermazioni di Netanyahu non sono particolarmente sorprendenti. Da una parte, è coerente con quello che a inizio gennaio il ministro degli Interni israeliano Yoav Gallant aveva già detto di voler fare dopo aver smantellato ogni capacità militare e organizzativa di Hamas. Secondo il programma di Gallant, dopo l’eliminazione di Hamas una «forza multinazionale» che comprende Stati Uniti, Europa e i paesi arabi moderati dovrebbe occuparsi della ricostruzione della Striscia di Gaza; un non meglio specificato organismo politico palestinese dovrebbe occuparsi del governo civile e Israele e l’Egitto dovrebbero collaborare assieme per la sicurezza dei confini e all’interno della Striscia. Il progetto non includeva però alcun riferimento a un’indipendenza dei territori palestinesi né alla creazione di uno stato.

A questo si aggiunge il fatto che Netanyahu ha trascorso gran parte della sua carriera politica a opporsi alla creazione di uno stato palestinese: solo il mese scorso ha detto di essere orgoglioso di averne impedito l’istituzione. La “soluzione a due stati”, che è stata per decenni la posizione ufficiale delle varie organizzazioni politiche palestinesi che si sono susseguite, nonché di tutti i negoziatori che si sono succeduti nel tempo per provare a trovare una soluzione, prevede appunto la creazione di due stati: uno palestinese e uno israeliano. Questa soluzione era comunque ritenuta impraticabile anche molto prima dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre, a causa delle politiche perseguite da Israele e dai coloni israeliani nel corso degli anni.

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