La piattaforma di newsletter Substack deve gestire una crisi

Alcuni giornalisti molto seguiti hanno abbandonato il servizio come forma di protesta per il modo in cui l'azienda ha deciso di gestire i contenuti neonazisti, che sono parecchi e portano soldi

Il 10 gennaio Ryan Broderick, giornalista e autore statunitense di una newsletter sulla cultura di internet molto seguita che si chiama Garbage Day, ha annunciato che entro la fine del mese smetterà di affidarsi a Substack, il servizio di newsletter che aveva scelto quando decise di avviare il suo progetto. Il giorno dopo anche Casey Newton, autore di Platformer, una delle newsletter più lette tra quelle di Substack, ha detto che avrebbe fatto lo stesso, spostando tutti i propri contenuti e l’intera lista di persone che lo seguono e che pagano per leggere Platformer su un altro servizio, Ghost.

Altri autori – come Meg Conley, che scrive di economia domestica da una prospettiva femminista nella newsletter Pocket Observatory, seguita da 14mila persone – hanno fatto lo stesso, spostandosi su altri servizi o creando dei siti web personali da cui inviare i prossimi numeri delle proprie newsletter. Ben Whitelaw, uno dei massimi esperti di moderazione dei contenuti, ha scritto che si aspetta che nelle prossime settimane molti altri annunceranno la stessa cosa.

Substack è una piattaforma fondata nel 2017 che permette a qualsiasi azienda o singolo autore di creare una newsletter e chiedere soldi ai lettori per finanziarla su base mensile o annuale, trattenendo il 10 per cento delle entrate. I giornalisti che hanno smesso di usarla lo hanno fatto tutti per lo stesso motivo: a dicembre un articolo dell’Atlantic ha mostrato che su Substack ci sono decine di newsletter neonaziste, o che incitano all’odio in un modo o nell’altro, anche con molti lettori e iscritti paganti.

Secondo una recente analisi, alcuni personaggi di estrema destra guadagnano anche centinaia di migliaia di dollari l’anno grazie alle proprie newsletter sulla piattaforma. Poco meno di 250 persone che pubblicano la propria newsletter su Substack hanno scritto una lettera all’azienda per chiederle di chiarire la propria posizione sul tema: molti, tra cui Broderick e Newton, hanno trovato insoddisfacente la risposta ricevuta.

Negli ultimi anni Substack ha attirato moltissima attenzione, soprattutto tra giornalisti che si occupano di temi di nicchia, spesso snobbati dai giornali per mancanza di spazio o sensibilità, ma che invece dispongono di un pubblico affezionato e disposto a pagare pur di ricevere storie e aggiornamenti. Benché esistessero già diverse altre piattaforme di successo per creare newsletter, come TinyLetter e Mailchimp, Substack piacque subito perché offriva un sistema particolarmente efficiente e intuitivo per ottenere soldi dai lettori.

Negli anni successivi, Substack ha aggiunto al proprio servizio diverse funzionalità che l’hanno fatto assomigliare sempre di più a un social network e sempre di meno a una semplice infrastruttura digitale per inviare email a molte persone. Al momento, per esempio, gli utenti possono discutere tra loro nella sezione commenti delle varie newsletter, ma anche pubblicare e condividere brevi post (in un modo che ricorda abbastanza Twitter), gli autori possono scegliere altre newsletter da consigliare ai propri lettori al momento dell’iscrizione, e la piattaforma stessa ha un algoritmo di raccomandazione basato sui gusti dell’utente per fargli scoprire nuove pubblicazioni che potrebbero piacergli.

L’evoluzione di Substack da semplice infrastruttura a piattaforma social, però, ha portato l’azienda a dover affrontare un tema che si presenta, prima o poi, a tutti i social network: la moderazione dei contenuti. La questione era già stata sollevata all’inizio del 2022, quando Substack non aveva ancora introdotto gran parte delle proprie funzionalità più social, per via della presenza di diversi autori fortemente transfobici sulla piattaforma. All’epoca, i fondatori dell’azienda avevano difeso la decisione di continuare a moderare il meno possibile i contenuti pubblicati dicendo che ci tenevano a «prendere decisioni basate su principi e non su pubbliche relazioni» e a «difendere la libertà di espressione». Alla base della loro posizione c’era l’idea che prendere delle posizioni più forti su quali contenuti fossero o meno benvenuti su Substack fosse una forma di censura, e che censurare qualsivoglia contenuto, per quanto offensivo o violento, erodesse la fiducia dei lettori nei confronti dei media.

La direzione di Substack ha espresso opinioni simili a dicembre, dopo la pubblicazione dell’articolo dell’Atlantic e in risposta alla lettera dei 247 “Substacker contro i nazisti” che chiedevano all’azienda di prendere una posizione più netta su cosa fosse o non fosse permesso sulla piattaforma. Il 21 dicembre il fondatore Hamish McKenzie ha scritto che Substack avrebbe rimosso gli autori che condividevano minacce credibili di violenza, ma che altrimenti non sarebbe intervenuto per censurare nessuno, né per impedire loro di monetizzare i loro contenuti.

«Non pensiamo che la censura (anche attraverso la demonetizzazione delle pubblicazioni) risolva il problema, anzi, lo peggiora» ha scritto. «Crediamo che sostenere i diritti individuali e le libertà civili sottoponendo le idee a un dibattito aperto sia il modo migliore per privare le cattive idee del loro potere».

Casey Newton, che da anni come giornalista si occupa delle politiche di moderazione dei contenuti delle piattaforme social, ha scritto che è stata la lettera di McKenzie a fargli pensare per la prima volta che Platformer avrebbe dovuto lasciare Substack. «In precedenza credevo che Substack avrebbe rimosso gli elogi per i nazisti in base alle proprie linee guida attuali, che dicono che “Substack non può essere utilizzato per pubblicare contenuti o finanziare iniziative che incitano alla violenza contro categorie protette”», ha scritto. «Che io sappia, nessun’altra grande piattaforma statunitense permette di pubblicare elogi al nazismo, e tantomeno invita chi lo fa a vendere abbonamenti attraverso il loro servizio».

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Dato che Newton aveva sempre avuto un rapporto privilegiato con Substack, che nel 2020 l’aveva molto aiutato a sostenere i costi di lasciare il suo lavoro precedente (per il giornale The Verge) e avviare Platformer, prima di prendere una decisione ha cercato di discuterne direttamente con i fondatori. Dopo qualche ricerca, ha presentato loro come esempio dei contenuti che si potevano facilmente trovare su Substack sei diverse newsletter che sostenevano apertamente la Germania nazista e l’Olocausto e ne ha chiesto la rimozione. Substack ne ha rimosse cinque su sei, ma non ha annunciato nessuna modifica sostanziale alle proprie pratiche di moderazione né si è impegnata esplicitamente a rimuovere contenuti filonazisti in futuro. L’azienda ha detto soltanto che prenderà decisioni caso per caso, se gli utenti segnaleranno specifici contenuti che ritengono violare le linee guida della piattaforma.

«È certo che questa posizione controversa dell’azienda porterà altri personaggi di estrema destra a trasferirsi su Substack, e che l’infrastruttura della piattaforma permetterà a quelle pubblicazioni di crescere rapidamente. (…) Gli strumenti di Substack sono progettati per aiutare le pubblicazioni a crescere rapidamente e a guadagnare molti soldi, soldi condivisi con Substack. Tale progettazione richiede una riflessione responsabile su quali contenuti promuovere e come farlo», ha scritto Newton nella mail in cui annuncia la decisione di andarsene. Il giornalista ha anche detto di non condividere l’idea di Substack secondo cui censurare i contenuti filonazisti porterebbe le persone a cercarli più intensamente, spinta dalla curiosità, perché «l’antisemitismo genocida non è certo una conoscenza proibita; si trova praticamente ovunque. La visione del mondo nazista viene insegnata nelle scuole, occupa un posto di rilievo nella cultura pop e persiste nei forum di Internet. Credo che l’ideologia nazista sia resa più attraente dalle persone che la diffondono, non da chi sceglie di non ospitarla». Anche Broderick ha condiviso ragionamenti simili. «Mi sentirei meglio se Substack dicesse apertamente qualcosa come “i conservatori ci fanno fare più soldi, quindi facciamo quello che vogliono loro”», ha scritto.

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