Come si studia la lava

Un gruppo di scienziati di cui fa parte un geologo italiano ha raccolto i campioni di quella di Grindavík usando lunghi bastoni e varie protezioni

Il prelievo di un campione di lava dall'eruzione islandese
Alberto Caracciolo preleva un campione di lava a Grindavík, in Islanda, il 15 gennaio 2024 (Geochemistry and Petrology Group, University of Iceland, @rockhardIES)

Le eruzioni vengono considerate fenomeni interessanti e per certi versi affascinanti anche in paesi come l’Islanda, dove sono molto meno rare che altrove, e continuano a darci informazioni su come funziona l’interno del pianeta nonostante secoli di osservazioni e studi dei vulcani. Per questo anche l’ultima eruzione avvenuta tra domenica e lunedì a Grindavík, nel sud-ovest del paese, è stata seguita con attenzione da vulcanologi e altri scienziati, e non solo per ragioni di sicurezza. Un gruppo di ricerca dell’Università dell’Islanda che si occupa di geochimica e petrologia ad esempio è andato sul sito dell’eruzione per raccogliere dei campioni di lava, per poi analizzare quali sostanze contiene in laboratorio.

«La composizione chimica della lava è importante per comprendere i processi magmatici nelle profondità della crosta o del mantello superiore della Terra», spiega Alberto Caracciolo, geologo italiano che fa parte del gruppo, «che sono luoghi normalmente inaccessibili all’osservazione diretta». Sapere quali minerali sono presenti nel magma, cioè nella lava finché si trova sottoterra, permette di determinare a quale pressione era sottoposto lo stesso magma prima dell’eruzione e quindi a quale profondità si trovava. Dunque di capire qualcosa in più sulle ragioni di un’eruzione.

La lava appena fuoriuscita in superficie ha una temperatura di 1.000-1.200 °C: è per questo che Caracciolo e i suoi colleghi le si avvicinano indossando abiti e guanti resistenti alle alte temperature. «Il calore diventa molto intenso quando ci avviciniamo ai fronti lavici attivi, simile alla sensazione di aprire un forno molto caldo in casa. Nel caso della lava, questa sensazione è costante, cosa che in Islanda, con le sue rigide temperature, viene apprezzata!». Si usano anche caschi protettivi dotati di visiera e, per via dei gas tossici che accompagnano la lava, delle maschere antigas: «Gli odori variano a seconda della quantità di gas rilasciati e della presenza o assenza di vegetazione in combustione. Domenica si percepiva prevalentemente l’odore di zolfo e di erba bruciata».

Anche la concentrazione di gas viene registrata. Come precauzione di sicurezza si usano misuratori della quantità di diossido di zolfo (SO2) e anidride carbonica (CO2) nell’aria e si ha a portata di mano una bombola di ossigeno, da usare in caso di emergenza.

La raccolta dei campioni poi si fa mantenendosi a una certa distanza: «Usiamo un palo lungo circa due metri con un “cucchiaio” all’estremità», continua Caracciolo, «ci avviciniamo alla colata di lava e preleviamo campioni di lava ancora fluida con questo lungo cucchiaio, raffreddandoli rapidamente in un secchiello di metallo riempito con acqua del rubinetto». Raffreddandosi la lava si solidifica e quello che si ottiene sono dei pezzi di roccia nera. Gli scienziati cercano di farli raffreddare il più in fretta possibile per limitare le contaminazioni della lava da parte dell’atmosfera: provocando una rapida solidificazione ottengono una buona approssimazione della composizione chimica del magma.

L’eruzione di Grindavík, e in generale le eruzioni dell’estremo sud-ovest dell’Islanda, cioè nella penisola di Reykjanes, sono diverse da quelle che avvengono in Italia e che sono legate a vulcani che nel corso del tempo hanno creato delle montagne, come Etna e Stromboli. Queste differenze sono dovute al fatto che ciò che succede sotto Reykjanes è diverso da ciò che succede sotto i vulcani italiani. La penisola islandese si trova lungo la dorsale oceanica medio-atlantica, la congiuntura tra due placche della crosta terrestre che si allontanano. I fenomeni vulcanici italiani invece sono legati a una placca che si immerge sotto un’altra. Per via di questa differenza la composizione chimica della lava dell’Etna è diversa da quella della lava di Reykjanes: la prima contiene più sodio e potassio, quella islandese più magnesio.

Teoricamente, dice Caracciolo, anche vicino a Grindavík «potrebbe formarsi un vulcano a scudo, ossia una montagna. Ma affinché ciò accada, le eruzioni dovrebbero continuare per moltissimo tempo».

Intanto l’eruzione degli ultimi giorni si sta esaurendo. Potrebbero verificarsene altre nelle prossime settimane o mesi, ma non è possibile prevederlo con certezza. Nella penisola di Reykjanes l’attività vulcanica è ricominciata solo negli ultimi anni dopo quasi 800 anni di quiescenza. Dal 2021 ci sono state quattro eruzioni prima dell’ultima, tutte lontano da infrastrutture o centri abitati. Non è possibile dire quanto durerà il nuovo ciclo di attività.