Le proposte di legge più clamorose sono anche quelle più inutili

Servono ai partiti per motivi elettorali e per fare polemica sui giornali, ma quasi mai vengono effettivamente discusse in parlamento

Foto di parlamentari e funzionari della Camera che si accapigliano
Un momento di zuffa alla Camera, 28 dicembre 2018 (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Capita spesso che si discuta in maniera accalorata, per qualche giorno, su proposte di legge roboanti. Nel racconto un po’ sbrigativo che talvolta se ne fa, di queste iniziative si dice che la maggioranza, o il governo, o un certo partito, vuole introdurre una norma. Tuttavia le proposte di legge in parlamento seguono un percorso molto lungo e complesso che può durare mesi o anni, e nel corso di questo percorso la proposta può essere modificata anche sensibilmente. Oppure, semplicemente, la discussione della proposta di legge può non iniziare affatto, cosa che succede spesso nei casi delle iniziative più clamorose e provocatorie.

L’attenzione di giornali e commentatori è particolarmente alta nel momento della presentazione della proposta, che però è solo il primo passo di un processo complesso e per nulla prevedibile. Un esempio recente è la proposta sui presepi a scuola: un gruppo di senatori della maggioranza di destra, guidati da Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia, ha presentato un disegno di legge che prevede un divieto di impedire nelle scuole pubbliche l’allestimento di presepi o l’organizzazione di recite e manifestazioni per celebrare il Natale e la Pasqua cristiana, con conseguente provvedimento disciplinare per i dirigenti scolastici che non rispettano questa norma.

La proposta è stata presentata a ridosso delle feste natalizie, quando gli addobbi e i presepi sono in qualche modo d’attualità. I giornali ne hanno subito dato notizia, poi hanno intervistato i presidi per sapere cosa ne pensassero, hanno chiesto un commento ai docenti, e hanno riportato le reazioni dei parlamentari d’opposizione. Un grande clamore per una proposta che con ogni probabilità non porterà a nulla.

Il normale funzionamento dell’iniziativa legislativa sarebbe proprio questo, deputati e senatori possono presentare nelle loro camera di appartenenza dei progetti di legge. C’è un primo firmatario, che è il principale promotore dell’iniziativa, e poi altri parlamentari possono aggregarsi sottoscrivendo il testo. Alla Camera questi progetti si chiamano proposte di legge, per distinguerle da quelli presentati dal governo che si indicano come disegni di legge (spesso abbreviato in ddl). Al Senato invece non si fa questa distinzione: tutti i progetti normativi, che siano avanzati da membri del governo o da semplici senatori, vengono definiti disegni di legge. Ma è una distinzione solo nominale, il principio è esattamente lo stesso.

Le proposte in entrambe le camere hanno una forma convenzionale. C’è una prima parte di nota illustrativa, in cui cioè si spiega e si contestualizza il senso e il contenuto della norma, e una seconda parte in cui viene riportato il dettato o l’articolato, cioè il testo effettivo del progetto di legge diviso per articoli. La proposta viene registrata e protocollata dagli uffici della Camera o del Senato, in questo modo risulta depositata e può essere assegnata alla commissione parlamentare competente.

A quel punto inizia il procedimento di formazione della legge. Ma il destino della proposta dipende da logiche essenzialmente politiche, e solo in parte tecniche. Sono le valutazioni e gli accordi tra i gruppi parlamentari, infatti, a stabilire quale progetto di legge ha la priorità sugli altri. L’organo più importante in questo senso è la conferenza dei capigruppo, cioè la riunione tra il presidente della camera e i presidenti dei vari gruppi parlamentari (i capigruppo) insieme a un rappresentante del governo: in questi incontri periodici si definisce, tra l’altro, il calendario dei lavori che stabilisce quali provvedimenti e quali argomenti verranno trattati dall’aula nella settimana e nel mese seguenti.

Un processo simile avviene poi nelle singole commissioni, che devono comunque lavorare in sintonia con le decisioni prese dalla conferenza dei capigruppo, quindi esaminando per primi i progetti di legge inseriti nel programma dei lavori dell’aula. Nelle commissioni, a stabilire l’ordine dei lavori è l’Ufficio di presidenza, cioè un organismo composto dal presidente, dai due vicepresidenti e dai due segretari della commissione, e che può essere talvolta integrato per garantire una rappresentanza ai gruppi più piccoli. Talvolta la commissione può anche decidere di unire più progetti di legge simili assorbendo quello che prevede interventi più mirati in quello più organico, oppure scrivere un testo nuovo che incorpori varie proposte. Dopo l’eventuale approvazione in commissione, il testo va poi discusso e votato in aula. A quel punto va trasmesso all’altra camera, dove riparte un procedimento analogo a quello già descritto.

In un percorso così strutturato, le iniziative estemporanee dei singoli parlamentari trovano ben poco spazio. I lavori del parlamento devono assicurare priorità ai provvedimenti urgenti, i decreti-legge scritti dal governo che devono essere convertiti, cioè approvati, entro 60 giorni da entrambe le camere. Questa componente, a cui spesso si fa riferimento con l’espressione decretazione d’urgenza, negli ultimi quindici anni ha assunto nei lavori del parlamento una centralità sempre maggiore, al punto da essere stata più volte segnalata come un’anomalia anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Dopo i decreti, tradizionalmente vengono affrontati i disegni di legge organici, che riguardano riforme complesse più o meno strutturali. Spesso anche questi sono scritti da esponenti del governo, o comunque supervisionati e coordinati dai ministeri. È il caso di due importanti disegni di legge in discussione al Senato: quello sull’autonomia differenziata promosso dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli e quello sulla riforma della giustizia promosso dal ministro Carlo Nordio. In un’ipotetica scala di priorità, insomma, i progetti di legge su questioni più puntuali e marginali finiscono inevitabilmente in fondo.

Nel marzo del 2023 ci fu un certo clamore intorno a una proposta di legge del deputato Fabio Rampelli, storico dirigente di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Camera. La proposta prevede l’introduzione dell’obbligo di usare la lingua italiana per enti pubblici e privati, e una multa fino a 100mila euro per chi ricorra a espressioni straniere negli atti ufficiali. La proposta era stata depositata il 23 dicembre del 2022 e assegnata alle commissioni Affari costituzionali e Cultura il 31 marzo seguente. Se ne parlò molto sui giornali per qualche giorno, ci furono polemiche e dibattiti in televisione sul tema. A distanza di un anno dalla sua presentazione, quel progetto di legge è fermo.

Nel presentare un progetto di legge controverso, un parlamentare sa bene che avrà pochissime speranze di vederlo trasformato in legge, quindi il motivo per cui lo fa ha proprio a che fare con questo circolo vizioso che si innesca tra politica e mezzi di informazione. Il suo obiettivo è avere titoli sui giornali, “alzare polveroni”, generare polemiche e ottenere visibilità, mostrando allo stesso tempo il proprio impegno all’elettorato di riferimento o alle categorie professionali interessate dal provvedimento. Si spiega anche così il fatto che al Senato ci siano oltre 900 disegni di legge depositati, la maggior parte dei quali senza speranza di essere non solo approvati, ma anche soltanto discussi.

Il deputato del PD Alessandro Zan interviene nell’aula della Camera (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Talvolta c’è anche un motivo più politico, perché le proposte di legge sono un modo per le opposizioni di posizionarsi ed eventualmente mettere in difficoltà il governo. Se il Movimento 5 Stelle deposita alla Camera una proposta di legge in favore del suicidio medicalmente assistito, pur consapevole che la maggioranza di destra sia risolutamente contraria a questa ipotesi, lo fa per potere poi attaccare il governo su quel tema lì e rivendicare al contrario il proprio attivismo (un classico del campionario di frasi di circostanza dei partiti di opposizione è “noi abbiamo presentato una proposta di legge, se la maggioranza non ha paura venga in aula a discuterla”).

Lo stesso discorso vale per le proposte di legge contro l’omotransfobia depositate dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan. È praticamente impossibile che queste iniziative che non sono state approvate quando c’erano maggioranze e governi progressisti possano avere più fortuna ora che al governo c’è la destra: ma per chi porta avanti una battaglia politica su certi temi è comunque importante ribadire il proprio impegno in nome delle persone che lo hanno eletto, anche solo come forma di testimonianza.

Nel 2018, quando era un’esponente dell’opposizione, Giorgia Meloni da semplice deputata presentò a sua prima firma molte proposte di legge provocatorie e altisonanti. Una mirava a trasferire al ministero dell’Economia e delle Finanze, quindi al governo, le quote di Banca d’Italia detenute da banche private, con una sorta di statalizzazione coatta. Un’altra proposta voleva modificare la Costituzione per stabilire la preminenza delle leggi italiane sul diritto dell’Unione Europea.

Entrambe hanno una particolarità: come data di presentazione riportano il primo giorno di seduta parlamentare della legislatura passata, il 23 marzo del 2018.

Non è un caso. Come prassi, infatti, i vari gruppi parlamentari depositano i loro progetti di legge nei primissimi giorni della legislatura, riproponendoli ogni volta uguali a quelli già presentati nella legislatura precedente. Sono procedure curate spesso dagli uffici legislativi dei vari partiti, con un automatismo più o meno identico per tutti. Questa prassi serve in parte per fare sì che i parlamentari e le parlamentari possano intestarsi di essere artefici di quelle proposte, rivendicando di essere stati i primi a depositarle. In teoria serve anche a garantirsi un’ipotetica priorità nella programmazione dei lavori, ma in pratica abbiamo visto come i calendari di aula e commissioni seguano logiche ben diverse.

L’utilità di queste proposte, se bisogna trovargliene una, è più che altro di mostrare le intenzioni e il posizionamento dei partiti, specie sulle questioni più identitarie che potrebbero poi essere affrontate in modo diverso da quei partiti quando passano dall’opposizione al governo. Restando al caso di Meloni, nessuna delle due proposte sulla Banca d’Italia e sul diritto dell’Unione Europea da lei depositate nel 2018 ha trovato finora seguito in questo anno di governo, e lo stesso vale per la maggior parte delle proposte più ardite depositate da altri esponenti del suo partito nella scorsa legislatura.

Non sempre va così: sulla questione della gestazione per altri, la tecnica di procreazione assistita in cui una persona porta avanti una gravidanza per conto di altre persone, c’è stato un seguito. L’introduzione del reato cosiddetto “universale”, cioè della possibilità di perseguire per legge un cittadino italiano che è ricorso alla gestazione per altri anche all’estero, era previsto da una proposta di legge depositata da Meloni nel marzo del 2018. Il progetto era rimasto latente per anni, poi era stato esaminato in maniera preliminare dalla commissione Giustizia tra l’aprile e il maggio del 2022. La proposta di legge è stata presentata sostanzialmente analoga in questa legislatura, col favore del governo e della ministra per la Famiglia Eugenia Roccella: è stata approvata dalla Camera e ora è in discussione al Senato.