L’antica polemica sull’uso del maschile sovraesteso in parlamento

Si è rinnovata con la deputata del PD Guerra che si è rivolta a Giorgio Mulè al femminile, in segno di protesta per un episodio precedente

La deputata del PD Maria Cecilia Guerra (Mauro Scrobogna/LaPresse)
La deputata del PD Maria Cecilia Guerra (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Giovedì pomeriggio alla Camera c’è stato uno scambio di battute piuttosto vivace tra la deputata del Partito Democratico Maria Cecilia Guerra e il deputato di Forza Italia Giorgio Mulè. Durante la votazione sugli emendamenti al disegno di legge di bilancio, la legge con cui il governo stabilisce come usare le risorse pubbliche per l’anno seguente, Guerra ha preso la parola e si è rivolta così a Mulè, che è uno dei vicepresidenti della Camera e che in quel momento presiedeva l’aula:

Grazie, signora presidente.

Mulè si è un po’ risentito: «Insomma, io avrei qualcosa da ridire, però, prego», ha risposto, e poi ha proseguito: «La mia identità è quella, quindi, se si rivolge a me, è con “Presidente” o “signor”…».

Guerra a quel punto ha spiegato il senso della sua provocazione: «Faccio questa premessa, mi rivolgo a lei al femminile per scelta. In quest’aula l’onorevole Perissa Marco o Marco Perissa ha parlato della segretaria del mio partito chiamandola al maschile “segretario” e ritenendo che questa era una scelta che a lui competeva. Se a lui compete di rivolgersi a una donna con un appellativo maschile a me è permesso di rivolgermi a lei e a qualsiasi uomo in quest’aula con un appellativo femminile. E lo farò, a meno che lei non richiami anche l’onorevole Perissa e tutti gli altri che si rivolgono a noi donne al maschile allo stesso modo, perché se lei tiene al suo genere, guardi che io tengo al mio, va bene?».

Guerra faceva riferimento a un intervento del deputato di Fratelli d’Italia Marco Perissa, che il 14 dicembre scorso si era rivolto alla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein così: «Proprio ieri, la segretaria, anzi il segretario Schlein – perché io penso di poterlo continuare a chiamare come meglio ritengo – è venuta in quest’aula, esordendo il suo intervento con: “Viva l’Italia antifascista”». C’erano state delle proteste dai banchi del Partito Democratico, e Guerra aveva annunciato ai colleghi del gruppo che da quel momento in poi si sarebbe rivolta ai colleghi uomini usando il femminile.

Giovedì pomeriggio è stata la prima occasione in cui Guerra ha preso la parola su invito di un presidente di turno dell’aula maschio. Lo ha fatto per illustrare un emendamento (poi bocciato) di cui era la prima firmataria, cioè la promotrice, e che voleva introdurre una pensione di garanzia per i giovani destinati a non maturare in tempo una pensione adeguata. Da lì è nato lo scambio di battute, che ha agitato il dibattito in aula in una maniera che ha poi avuto uno strascico in chiusura di seduta.

Perissa infatti è intervenuto, dicendo che lo faceva «poiché sono stato chiamato in causa, tra l’altro, con un’eco mediatica davvero impressionante». Mulè ha commentato ironicamente («E lo dice a me, ho mia madre che mi continua a scrivere»), dandogli la parola. Perissa ha citato lo statuto del Partito Democratico, cioè il regolamento fondamentale che disciplina l’organizzazione e le attività del partito, evidenziando come nel testo del documento si faccia riferimento al segretario solo al maschile (l’indicazione al femminile c’è in effetti solo nell’intestazione di un articolo). Perissa si è dunque rivolto ai colleghi del Partito Democratico in modo provocatorio: «Facessero pace con loro stessi. Quando troveranno una quadra e metteranno una desinenza di genere sul loro statuto, probabilmente noi ci adegueremo alle indicazioni che loro ci daranno».

Subito dopo è intervenuta nuovamente Guerra, spiegando che non era sua intenzione «fare la morale a nessuno», e ribadendo il senso della sua provocazione: «Siccome il collega deputato Marco Perissa ha ribadito il suo diritto costituzionale a rivolgersi a una donna in carne e ossa con un appellativo maschile, io rivendico un diritto (che non definirei costituzionale) altrettanto paritario a continuare a trattare, se mi viene e se mi va, perché questo è ciò che lui ha detto, un collega maschio al femminile».

Il dibattito sull’utilizzo del maschile sovraesteso e del femminile va avanti da molti anni, in parlamento. Durante il suo mandato da presidente della Camera, tra il 2013 e il 2018, Laura Boldrini si spese molto per affermare l’uso del femminile in relazione alle deputate. In senso opposto era invece intervenuta la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli nel giugno del 2019, chiedendo al presidente della Camera Roberto Fico di essere chiamata deputato, al maschile.

Anche Meloni, assunta la carica di presidente del Consiglio nell’ottobre del 2022, ha specificato che preferisce essere chiamata «il presidente del Consiglio», generando nelle settimane e nei mesi successivi dibattiti e frequenti ironie sulla non concordanza. Tra i primi atti ufficiali emanati dal suo governo ci fu una circolare con cui il segretario generale di Palazzo Chigi Carlo Deodato, uno dei principali collaboratori di Meloni, segnalava a tutte le strutture e gli uffici tecnici che «l’appellativo da utilizzare per il presidente del Consiglio dei ministri è “Il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni”».

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