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  • Martedì 12 dicembre 2023

Un’importante condanna per violenze sessuali nell’esercito giapponese

Tre ex soldati sono stati condannati per aver molestato una loro collega, in un caso che è diventato celebre nel paese

(Kyodo News)
(Kyodo News)
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Martedì un tribunale giapponese ha condannato a due anni di carcere e a quattro anni di sospensione dal servizio Shutaro Shibuya, Akito Sekine e Yusuke Kimezawa, tre soldati dell’esercito giapponese colpevoli di avere molestato Rina Gonoi, una loro collega: la sentenza è stata ampiamente discussa e commentata, anche perché rappresenta un caso piuttosto eccezionale in un paese profondamente conservatore come il Giappone, dove le denunce di violenze sessuali sono ancora relativamente rare, ancor di più nell’esercito.

Secondo la sentenza del tribunale, i tre hanno utilizzato delle tecniche di arti marziali per costringere Gonoi a sdraiarsi su un letto e poi le sono saliti sopra per simulare un rapporto sessuale. L’aggressione è avvenuta il 3 agosto 2021, all’interno di una struttura di addestramento dell’esercito che si trova a Hokkaido.

Durante il processo Gonoi ha detto che, subito dopo l’aggressione, aveva denunciato l’accaduto ai suoi superiori, che però non avevano preso alcun provvedimento: aveva quindi deciso di lasciare l’esercito e di denunciare pubblicamente le molestie subite. Negli ultimi anni il caso di Gonoi ha ricevuto parecchia attenzione da parte dei media giapponesi, e ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di denunciare le molestie subite sul luogo di lavoro.

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In seguito alla denuncia di Gonoi, il ministero della Difesa giapponese aveva fatto un’indagine indipendente che aveva rilevato più 1.300 casi di molestie sessuali all’interno dell’esercito. L’indagine aveva anche mostrato che gli incidenti denunciati spesso venivano nascosti dai superiori, che dopo averli scoperti facevano pressioni sulle vittime per indurle alle dimissioni.

In Giappone da anni sono in corso notevoli cambiamenti per quanto riguarda la gestione dei crimini sessuali, anche grazie a un movimento femminista e di protesta che è diventato sempre più forte.

Fino a qualche mese fa il Giappone era lo stato con l’età del consenso – ovvero la soglia al di sotto della quale si considera che la minore o il minore non possano aver acconsentito all’atto sessuale – più bassa tra i paesi del G7: l’articolo di legge che la determinava non era stato cambiato per più di un secolo. A giugno è stata definitivamente approvata una legge che ha innalzato l’età del consenso dai 13 ai 16 anni, ampliando inoltre la definizione di stupro da «rapporto sessuale forzato» a «rapporto sessuale non consenziente», allineando la definizione del Giappone a quella di diversi altri paesi.

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La legge era molto attesa, e la discussione sui suoi contenuti era nata soprattutto dalle proteste organizzate negli ultimi anni a seguito di alcune controverse sentenze di assoluzione per stupro. Prima dell’approvazione della legge, in Giappone per provare che fosse stato commesso uno stupro non bastava dimostrare che fosse stato negato il consenso, ma bisognava anche dimostrare che la persona che lo aveva compiuto avesse usato «violenza e intimidazioni» per impedire a chi lo subiva di resistere. Un principio simile a quello previsto dall’articolo 609 bis del codice penale italiano.

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In Giappone, nel 2019, era nato anche un movimento, Flower Demo, che si riunisce da allora l’11esimo giorno di ogni mese per manifestare e protestare contro le assoluzioni ritenute ingiuste e per mostrare solidarietà alle donne che hanno subìto violenza: negli ultimi anni Gonoi, l’ex soldata, è diventata una delle leader del movimento, assieme alla giornalista Shiori Ito, che nel 2017 aveva intentato una causa contro Noriyuki Yamaguchi, un collega considerato molto vicino all’ex premier giapponese Shinzō Abe, per denunciare uno stupro subito due anni prima.