È stato un buon anno per l’economia dell’India

È tra i grandi paesi che crescono di più al mondo, grazie ad alcune riforme strutturali avviate da tempo e all'aumento degli investimenti stranieri

(AP Photo/Ajit Solanki)
(AP Photo/Ajit Solanki)
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Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’India è il paese che crescerà di più nel 2023, tra le grandi economie del mondo. Sebbene questo sia stato un anno positivo per il paese, in realtà la sua crescita è stata molto buona anche negli scorsi anni: nel 2022 il suo Prodotto Interno Lordo è cresciuto del 7,2 per cento, quest’anno dovrebbe crescere del 6,3, così come nel 2024. L’economia del paese è in forte espansione, il suo mercato azionario è vicino ai massimi storici, ci sono sempre più aziende straniere pronte a investire sul territorio, la sua popolazione è in crescita ed è considerata uno dei mercati più promettenti visto che la classe media con potenzialità di spesa si sta allargando.

L’India dunque sta diventando sempre più rilevante e connessa a livello internazionale, tanto che quest’anno ha anche ospitato il G20. Ma nonostante questo, restano ancora gravi problemi sociali, di povertà e disuguaglianze tra cittadini e tra territori del paese.

L’economia indiana sta beneficiando delle riforme messe in atto dal governo di Narendra Modi, primo ministro nazionalista e conservatore. Il governo è in carica dal 2014 ed è a capo dello stato più popoloso al mondo: da tempo però ci sono numerose limitazioni di molti diritti e libertà, tra cui un notevole controllo di internet. Nonostante l’impostazione a tratti autoritaria dal punto di vista politico e sociale, in economia il governo indiano ha avviato ambiziose riforme per la liberalizzazione del mercato del lavoro, per la semplificazione fiscale e per l’attrazione degli investimenti stranieri.

Soprattutto sul fronte degli investimenti le politiche di Modi hanno portato buoni risultati. Tra queste c’è l’iniziativa Make in India, un programma che comprende sgravi e incentivi per favorire l’arrivo di investitori esteri, alcune misure per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori e la riduzione dei costi amministrativi delle attività commerciali. Sono stati introdotti alcuni incentivi per incoraggiare gli investimenti diretti esteri in settori specifici e promettenti, come quello dei pannelli solari. Gli investimenti diretti esteri non sono puramente finanziari, e hanno un grosso impatto nell’economia reale perché comprendono tutti quelli di lungo periodo nelle aziende: sono legati per esempio ad acquisire le quote di una società del territorio per svilupparla, o per creare nuove aziende e impianti.

Sebbene siano ancora meno della metà di quelli verso la Cina (all’incirca 189 miliardi di dollari nel 2022), gli investimenti diretti esteri in India nel 2023 sono raddoppiati rispetto a dieci anni fa: nel 2013 erano 34,3 miliardi di dollari, mentre quest’anno sono quasi 71 miliardi. I principali paesi dai quali provengono sono i grandi paesi industrializzati, tra cui l’Italia.

Anche grazie a questo crescente afflusso di fondi dall’estero, il settore produttivo indiano si è sviluppato ed è diventato più moderno: stanno acquisendo sempre più importanza i settori che necessitano di alte competenze e lavoro qualificato, come il settore dei servizi, dell’ingegneria e finanziario. Quest’anno l’India ha firmato con gli Stati Uniti alcuni accordi per la fornitura di motori dei caccia e di chip semiconduttori, e  il numero di aziende quotate in borsa è stato uno dei più alti di sempre, segno che le aziende prosperano, crescono e hanno bisogno di capitali.

L’India quest’anno si è distinta anche perché la sua moneta è stata una di quelle che hanno risentito di meno dell’aumento dei tassi di interesse e del rafforzamento del dollaro. Dopo aver perso oltre il 10 per cento del suo valore rispetto al dollaro lo scorso anno, diventando una delle grandi valute con le peggiori performance al mondo, la rupia ha dimostrato una notevole forza nel 2023: quest’anno ha perso meno dell’1 per cento del suo valore rispetto al dollaro, a fronte di un calo di oltre il 3 per cento per lo yuan cinese, un calo di circa il 9 per cento del rand sudafricano e un calo dell’11 per cento dello yen giapponese.

Questo è un segnale che l’economia va bene, perché semplificando molto le valute sono lo specchio dello stato di un’economia: tipicamente economie forti hanno una moneta forte, e viceversa. Ma anche un segnale che la banca centrale del paese, la Reserve Bank of India, è stata capace di tenere stabile la moneta, grazie alle grandi riserve di valuta straniera che si era costruita negli anni: a metà del 2022 aveva 600 miliardi di dollari di riserve, tra le più grandi al mondo. Le sono servite lo scorso anno per difendere il valore della rupia: semplificando, quando le banche centrali vogliono tenere alto il valore della propria moneta ne acquistano in grande quantità sul mercato delle valute vendendo le riserve di monete estere.

Tutti questi successi si riflettono anche sul benessere della popolazione. Il tasso di disoccupazione è piuttosto basso (intorno al 7 per cento, paragonabile all’Italia), i redditi medi stanno salendo e con questi anche la capacità di comprare cose: secondo un report dell’agenzia di rating Fitch, entro il 2027 il mercato indiano dei consumatori diventerà il terzo al mondo per grandezza, dopo gli Stati Uniti e la Cina. Nonostante questo nel paese c’è ancora una povertà diffusa e le disuguaglianze tra ricchi e poveri sono molto ampie: secondo un recente rapporto dell’agenzia Oxfam, il 10 per cento più ricco della popolazione detiene il 77 per cento di tutta la ricchezza del paese (in Italia il 56 per cento).

Ci sono poi ancora una serie di problemi radicati, tra cui l’eccessiva burocrazia, la corruzione, l’evasione fiscale (che comunque ha avuto un notevole calo dopo che nel 2016 furono ritirate le banconote di taglio più grande) e un’occupazione femminile ancora molto bassa. Tra questi c’è anche un settore agricolo difficile da riformare, che spesso non riesce a produrre le quantità sufficienti di cibo per soddisfare la domanda della popolazione. Col risultato che spesso i prezzi del cibo sono molto alti, anche in relazione a cosa possono permettersi mediamente i cittadini.

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