Come fa Pantone a scegliere il colore dell’anno

Che non è il colore del momento ma un tentativo di cogliere lo “spirito del tempo” e di rispondere ad alcuni bisogni delle persone

(Dall'account X di Pantone)
(Dall'account X di Pantone)

Dal 1999, ogni dicembre, l’azienda statunitense Pantone annuncia quale sarà, secondo le previsioni dei suoi esperti, il Colore dell’anno: è un pronostico sulla tinta che più influenzerà i 12 mesi successivi nel mondo della moda, del design, dell’arredamento, ma soprattutto un tentativo di cogliere lo spirito del momento e di dare una risposta attraverso il colore. In 24 anni è diventato un appuntamento importante per chi fa lavori creativi, per le grosse aziende che intravedono delle opportunità di vendita e per i singoli curiosi, divertiti da quello che è diventato un fenomeno quasi pop, ripreso da riviste, siti e social network. La sua invenzione, inoltre, è stata anche una brillante strategia di marketing che ha permesso a uno dei tanti marchi conosciuti soltanto negli studi di design di imporsi come l’istituzione più autorevole in fatto di colori.

Pantone, infatti, era un’azienda di biochimica che produceva inchiostri e pigmenti colorati, fondata nel New Jersey negli anni Cinquanta dai fratelli Mervin e Jesse Levine con il nome di M & J Levine Advertising. Nel 1956 i due assunsero il chimico Lawrence Herbert, che ebbe l’idea di sistematizzare e semplificare la produzione di inchiostri colorati dell’azienda, che rilevò poi nel 1962 rinominandola Pantone.

L’anno successivo Herbert introdusse il Pantone matching system, che contribuì a far conoscere l’azienda anche fuori dagli Stati Uniti. Era infatti un sistema di numerazione brevettato in cui ogni colore veniva indicato con una serie di numeri e riproposto in cartoncini o pezzetti di plastica, solitamente di circa 15×5 centimetri, in una mazzetta. In questo modo designer e aziende di paesi diversi e lontani tra loro potevano accordarsi esattamente e facilmente su quale tinta utilizzare, senza dover nemmeno parlare la stessa lingua. Il sistema e le mazzette di Pantone sono diventate un punto di riferimento fondamentale per chiunque debba lavorare con i colori.

Nel 1985 Herbert assunse come consulente l’esperta di colori Leatrice Eiseman e la mise alla guida del Pantone Color Institute, una branca dell’azienda che si occupa di fare previsioni sui colori e di consigliare le aziende su quali scegliere per i propri loghi o per borse, carta da regalo e nastri. Eiseman, che era nata nel 1933 a Seattle, aveva insegnato nel campo della moda e del design e lavorato come consulente su come abbinare e utilizzare i colori. La sua formazione era stata decisamente influenzata dalla madre, che ogni anno ritinteggiava completamente la casa, compresi la griglia del barbecue e il pianoforte, che arrivò ad avere 20-25 strati di vernice e a pesare una tonnellata.

Nel 1983 Eiseman aveva pubblicato il suo primo libro, Alive with Color, che metteva insieme insegnamenti della psicologia dei colori (la disciplina che studia come influenzano l’umore e il comportamento delle persone), con teorie e idee più personali: Herbert ne era rimasto colpito e aveva deciso di contattarla. Eiseman dirige il Pantone Color Institute da allora, ha scritto altri nove libri sull’argomento ed è diventata la massima autorità mondiale sui colori. Ha scelto i nomi di oltre duemila colori prodotti da Pantone e ha aiutato alcune aziende importanti a stabilire una volta per tutte l’esatta sfumatura a cui volevano essere associate, tra cui il caratteristico azzurro del marchio di gioielli statunitense Tiffany e l’arancione dell’azienda del lusso francese Hermès.

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Nel 1999 l’incertezza e le preoccupazioni per l’avvicinarsi del nuovo millennio spinsero Herbert a voler diffondere un po’ di ottimismo e così chiese a Eiseman di scegliere un colore per guardare con speranza a quel nuovo periodo. Eiseman scelse il ceruleo, per l’esattezza il Cerulean Blue 15-4020, un azzurro pastello che ricordava quello del cielo senza nuvole, in grado di infondere calma, un senso di pace e di pienezza; era anche una risposta alla predominanza del nero, del marrone e dei toni scuri del decennio precedente. Il colore, tra le altre cose, è quello del maglioncino azzurro indossato in una famosa scena del film Il diavolo veste Prada (2006) per dimostrare come decisioni prese dall’alto finiscano per influenzare piccoli aspetti della vita delle persone comuni senza che ne siano nemmeno consapevoli.

L’annuncio del Pantone Color Institute venne ripreso moltissimo da siti e giornali: Eiseman ricorda in un’intervista sul sito Hustle che «c’era davvero tanto interesse; ci lasciò stupiti»; così l’azienda decise di riproporlo ogni anno. Da allora è diventato un momento sempre più importante e atteso, seguito da consigli su siti, riviste e social network su come ri-arredare la propria casa, su che accessori, abiti, trucchi o oggetti di uso quotidiano comprare.

Pantone è stato abile a rafforzare il fenomeno con numerose collaborazioni: per esempio il colore del 2013, lo Smeraldo, finì in una collezione di prodotti di bellezza – tra cui smalti per unghie, ombretti e altri accessori – realizzata con l’azienda Sephora, mentre più di recente il marchio di telefonia Motorola ha proposto dei telefonini con tinte selezionate da Pantone.

Il colore dell’anno ha anche trasformato Pantone da un’azienda di settore a un’autorità conosciuta anche dalle persone comuni: prima, ricorda sempre Eiseman, «quando dicevi Pantone ti rispondevano “Oh sì, lo shampoo, giusto?” Oppure “oh è quel buon pane italiano”». L’azienda ha anche aperto una divisione, Pantone Lifestyle, che è responsabile di circa il 15 per cento delle entrate totali e che vende tazze, ombrelli, portachiavi, sedie pieghevoli, borracce e altri oggetti i cui colori sono indicati secondo la numerazione dell’azienda.

Scegliere il colore dell’anno richiede un lungo lavoro da parte di Eiseman e degli esperti a cui si affida, che rappresentano nazioni di tutto il mondo e gruppi con diverse prospettive e tradizioni sul significato dei colori. Eiseman viaggia molto, visita musei, negozi di arredamento, nuovi ristoranti e incontra designer, artisti, stilisti e trend-forecaster, le persone che studiano e cercano di anticipare le tendenze.

Per tutto l’anno lei e i suoi consulenti analizzano quello che succede nella moda, nella cosmetica, nell’urbanistica, nell’architettura, nel design; osservano attentamente le palette dei film, delle serie tv e dei cartoni animati per bambini, i colori predominanti dei nuovi quadri appesi nelle gallerie d’arte e prendono nota anche dei fatti di attualità più rilevanti, degli argomenti di cui si discute di più sui giornali e sui social network e delle storie più virali su TikTok. Eiseman incontra due volte l’anno i suoi specialisti per condividere scoperte e impressioni e alla fine riemerge da tutte queste informazioni con un unico colore in grado di riassumerle, anticiparle e dare una risposta anche emotiva ai bisogni più condivisi.

Come ha spiegato Eiseman al New York Times: «quello che facciamo è cercare di sentire lo zeitgeist, per usare una parola molto sfruttata. Di cosa parlano le persone, di cosa hanno bisogno? Come può aiutarle il colore? Per noi il colore dell’anno non è necessariamente quello di tendenza nella moda, ma l’espressione di un modo di sentire, una propensione, dalla parte dei consumatori».

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Pantone è stata anche criticata per alcune scelte, come quando nel 2019 scelse il Living Coral, per la sua «essenza socievole e briosa» che «incoraggia a fare le cose con uno spirito leggero. Simboleggia il nostro innato bisogno di ottimismo e ricerca di gioia, rappresenta il nostro desiderio di giocosità». Molti ambientalisti ritennero che il nome fosse inappropriato vista la riduzione della barriera corallina a causa delle attività umane, altri parlarono di scollamento dalla realtà perché l’atmosfera attorno era piuttosto sconfortante.

L’azienda è anche accusata di favorire, attraverso il Colore dell’anno, il consumismo, gli sprechi e il fast fashion (cioè i marchi che producono abbigliamento o cosmetici alla moda a costi molto accessibili, come H&M e Shein): creerebbe, infatti, dei falsi bisogni nelle persone spingendole ad acquistare ogni anno qualcosa che l’anno successivo potrebbe non piacere più.