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  • Lunedì 20 novembre 2023

Milei ha vinto dappertutto, anche in Antartide

Le prime analisi sulle elezioni presidenziali argentine indicano che il candidato di estrema destra è piaciuto soprattutto ai meno ricchi, ai giovani e ai militari

La festa dei sostenitori di Milei (AP Photo/Matias Delacroix)
La festa dei sostenitori di Milei (AP Photo/Matias Delacroix)
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Il candidato di estrema destra e ultraliberista Javier Milei ha vinto le elezioni presidenziali argentine con un ampio margine, staccando di 11 punti Sergio Massa, candidato della coalizione di centrosinistra Unione per la Patria. È un vantaggio superiore a quello previsto dai sondaggi prima del ballottaggio. Milei ha vinto in quasi tutto il paese, in venti delle ventiquattro province in cui è divisa l’Argentina: il suo successo così trasversale, e le prime analisi sui flussi di voto, hanno stupito molti commentatori.

Massa è il ministro dell’Economia uscente ed è esponente del kirchnerismo, una corrente politica populista e di centrosinistra che fa riferimento all’ex presidente Nestor Kirchner (morto nel 2010) e a sua moglie ed erede politica, Cristina. Massa ha vinto solo nella provincia di Buenos Aires (ma con un margine inferiore alle attese), in quella di Chaco (per poco più di un migliaio di voti) e in due province del nord dallo scarso peso elettorale, Formosa e Santiago del Estero. Al primo turno del 22 ottobre Massa aveva ottenuto 9,6 milioni di voti e Milei 7,9: al ballottaggio Milei ha raccolto altri 6,5 milioni di voti (arrivando a 14,4 totali), Massa solo 1,8 (11,4 complessivi).

Le prime analisi parziali sul flusso dei voti sembrano indicare che quasi l’80 per cento dei voti ottenuti al primo turno dalla candidata della destra tradizionale Patricia Bullrich, della coalizione Uniti per il Cambiamento, si sia spostata verso Milei, anche grazie all’accordo trovato prima del ballottaggio.

La delusione di alcuni sostenitori di Massa (AP Photo/Matias Delacroix)

Nella provincia di Buenos Aires risiede quasi il 40 per cento dei votanti del paese: al primo turno era stata decisiva per la vittoria di Massa, che qui aveva accumulato 17 punti percentuali di vantaggio su Milei. A Buenos Aires era stato rieletto anche il governatore uscente, Axel Kicillof, fortemente sostenuto da Cristina Kirchner. Dopo l’esito delle presidenziali quella di Kicillof rimane una delle poche cariche politiche rilevanti in mano al centrosinistra, tanto che il governatore di Buenos Aires viene già indicato come possibile riferimento politico per l’opposizione di centrosinistra.

Buenos Aires e la sua provincia sono però state anche uno dei fattori della rimonta di Milei: pur perdendo ha ridotto a meno del 2 per cento e poco più di 150.000 voti la distanza da Massa, che invece secondo i pronostici delle scorse settimane per vincere avrebbe dovuto almeno confermare il vantaggio su Milei ottenuto al primo turno in città.

L’altra provincia su cui si erano concentrate le attenzioni era quella di Cordoba, città dell’interno, circa 600 chilometri a est di Buenos Aires. È il secondo distretto elettorale per numero di votanti in Argentina e tradizionalmente vota per il centrodestra. È un centro turistico, ma anche agricolo (ci sono estese coltivazioni di mais) e industriale: si producono soprattutto componentistica per auto e scarpe.

Qui oltre 1,2 milioni di persone al primo turno non avevano votato per i due candidati al ballottaggio. Molti voti erano andati a Bullrich e a Juan Schiaretti, governatore provinciale e peronista di destra, convinto oppositore del kirchnerismo: al primo turno aveva raccolto il 28 per cento dei voti. L’opposizione all’attuale governo ha prevalso in modo netto: nella provincia Milei ha preso il 74 per cento dei voti, nelle zone più rurali si è avvicinato al 90 per cento. Milei fra l’altro aveva chiuso proprio a Cordoba la sua campagna elettorale.

Le percentuali più alte per Milei però sono state registrate in un’area molto più remota: l’Antartide. L’Argentina considera un settore dell’Antartide come proprio territorio e lo ha inserito nella provincia della Terra del Fuoco, nonostante in base al trattato antartico del 1959 non le sia riconosciuta una reale sovranità. In Antartide Milei ha vinto con circa il 91 per cento dei voti, Massa non è arrivato al 10. I voti comunque sono stati pochini: ai seggi si sono presentati in 191, in 173 hanno scelto il presidente poi eletto, 18 lo sconfitto, in 5 hanno votato scheda bianca.

In Antartide ci sono sei basi scientifico-militari aperte tutto l’anno e altre sette solo estive: i voti vengono considerati rappresentativi delle scelte della componente militare, visto che i due terzi di chi ha diritto al voto sono membri attivi dell’esercito. Dal 2015 vince sempre la destra, e anche al primo turno Uniti per il Cambiamento aveva ottenuto più voti di tutti. Le due sezioni elettorali antartiche sono storicamente molto ostiche per il centrosinistra, che però nel 2011, quando Cristina Kirchner ottenne il secondo mandato, vinse anche qui. La stessa presidente fece di quella vittoria uno slogan: «Abbiamo vinto anche in Antartide», a sottolineare l’ampio consenso popolare.

Una base scientifica in Antartide (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Anche in questo contesto limitato e poco rappresentativo si pensa che la vittoria di Milei sia dovuta soprattutto all’ostilità verso il centrosinistra e la sua classe dirigente (venivano dall’area del kirchnerismo quattro degli ultimi cinque presidenti). Una dinamica che si può intravedere anche nei risultati delle altre regioni, ben più significativi.

I sondaggi precedenti al voto indicavano un ampio sostegno a Milei dalla fascia più povera della società (nel paese il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà) e da quella più giovane. In Argentina si vota dai 16 anni, la fascia 16-24 anni era storicamente favorevole al kirchnerismo: in questa occasione ha votato prevalentemente per Milei. I poveri e i giovani sono fra i più colpiti della enorme crisi economica e sociale che l’Argentina sta attraversando ormai da anni.

Il risultato argentino va poi inserito in un contesto sudamericano in cui dal 2019 i partiti dei presidenti in carica non sono quasi mai riusciti a rieleggere un loro rappresentante: nelle ultime 18 elezioni presidenziali del continente i governi uscenti hanno perso in 17 occasioni, con l’unica eccezione del Paraguay. La volontà di cambiamento ha interessato sia maggioranze di destra che di sinistra.

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