«Andiamo a sfumare il nostro risotto»

Nell'italiano che si parla nei programmi e nei video di cucina le cose non si fanno, si “vanno a fare”: come mai?

Lo chef Carlo Cracco. 
(ANSA/ SKY)
Lo chef Carlo Cracco. (ANSA/ SKY)
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Probabilmente è una di quelle cose di cui è difficile rendersi conto finché non ci si concentra, ma poi è difficile non notarlo: nei programmi o nei video di cucina in cui qualcuno spiega l’esecuzione di una ricetta i verbi usati per indicare le varie procedure hanno spesso una particolarità. Gli chef, chi cucina su YouTube o su Instagram, i concorrenti di Masterchef o altri programmi simili di solito non sfumano un risotto, non impiattano un arrosto. Piuttosto “vanno a sfumarlo”, o “vanno a impiattarlo”.

«Andiamo a cuocere il nostro filetto», «andiamo ad affettare la cipolla», anche al passato: «sono andato a caramellizzare i pomodorini». Sono costruzioni composte da un verbo fraseologico (qui “andare”), una preposizione e un verbo principale all’infinito, e ormai sono onnipresenti nell’intrattenimento culinario. Coniugate quasi sempre alla prima persona, singolare o plurale, hanno sostituito in una misura considerevole i verbi all’indicativo presente senza un vero motivo, se non che probabilmente ormai sono entrati nella grammatica della cucina in tv, e aiutano forse a riempire il silenzio delle procedure allungando il tempo necessario a dire la stessa cosa.

Il sito dell’Accademia della Crusca – un’antica istituzione linguistica, oggi dipendente dal ministero dei Beni Culturali e nota come il luogo per definizione dello studio e della competenza sull’uso dell’italiano – spiega che si tratta di un francesismo, un’espressione o una parola presa in prestito dalla lingua francese, che si è diffuso soprattutto a partire dagli anni Dieci nel cosiddetto “italiano gastronomico”, soprattutto parlando di cibo in tv e sui social.

Alcune lingue europee esprimono azioni in un futuro immediato attraverso verbi di movimento che perdono questo significato per assumere un valore temporale: in francese, per esempio, si usa aller (andare) + il verbo all’infinito, in spagnolo ir a (andare a) + infinito. Anche l’inglese ha una costruzione simile, be going to (stare andando) + infinito. In italiano, invece, il senso di imminenza viene espresso attraverso perifrasi come stare per / essere in procinto di / essere sul punto di / accingersi a + infinito, ma non con l’utilizzo di verbi di movimento che diventano temporali.

Il noto linguista Luca Serianni aveva spiegato, sempre sul sito dell’Accademia della Crusca, che le «perplessità» verso questa costruzione «non nascono dal suo – eventuale – statuto di francesismo, bensì dal fatto che il verbo andare non è usato per indicare un movimento. Dicendo andiamo a mangiare, andiamo a dormire o anche andiamo a divertirci si suggerisce l’idea che ci si sposti dal luogo in cui ci si trova per compiere una certa azione, necessariamente situata nel futuro prossimo. In andiamo ad ascoltare (o andiamo a cominciare, come dicevano un tempo gli imbonitori nelle fiere paesane) l’idea di futuro prossimo è sganciata da qualsiasi movimento».

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L’Accademia della Crusca racconta che già nel Settecento l’utilizzo dei verbi andare e venire seguito da un verbo all’infinito si era diffuso su influenza della lingua francese, ma era stato «rapidamente respinto dalla lingua letteraria e dall’uso». Era comunque rimasto, come attestato da alcuni dizionari come il Dizionario moderno pubblicato da Hoepli nel 1905, dove il lessicografo Alfredo Panzini scriveva che «andare a, non nel senso materiale di muoversi, come vado a vestirmi, ma nel senso di essere in procinto, risponde al francese aller faire, aller comencer. I modi nostri stare per (cominciare), ora (si incomincia) nel gergo dei mal parlanti cedono il posto all’espressione francese».

Non si sa con precisione quando e perché l’espressione si sia diffusa negli ultimi anni ma sempre l’Accademia della Crusca ricorda che «ancora agli inizi del Duemila si poteva rilevare per questo tipo di locuzioni l’assenza di uno slittamento semantico dal piano spaziale al piano della temporalità». Inoltre la costruzione sembra aver trovato nell’italiano gastronomico «una sorta di zona franca, da cui poi irradiarsi nell’uso di ambiti più generici». Potrebbe essersi diffusa in questo settore un po’ perché molti chef italiani, avendo studiato in Francia, tradurrebbero automaticamente un modo di dire abituale nelle cucine francesi, un po’ perché, scrive sempre l’Accademia della Crusca, aiuta a marcare una certa «intenzionalità, di progettualità dell’azione, ai fini della migliore riuscita».

 

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La sociolinguista Vera Gheno (che tra le altre cose conduce un podcast dedicato alla lingua e ai suoi cambiamenti sul Post) definisce l’abitudine «molto fastidiosa» e spiega che «è un riempitivo, è uno di quegli allunga-brodo che servono alle persone per creare un buffer mentale un pochettino più lungo per poi riuscire a parlare: la nostra memoria quando parliamo è piuttosto breve e volatile e queste formule un po’ lunghette permettono di prendersi un po’ di tempo di elaborazione».

Non è l’unica, peraltro: «prendiamo quello che è il nostro agnello» è un’altra formula che si sente spesso e che probabilmente è usata inconsapevolmente con la stessa funzione riempitiva. L’espressione andare a + infinito, quindi, si sarebbe diffusa perché aiuta chi parla a prendere tempo ma si è accreditata come espressione tipica di un settore, quello gastronomico, dove viene paradossalmente percepita come più appropriata ed elegante. Usarla indica in una certa misura la propria appartenenza a quel mondo, ed è probabilmente il motivo per cui vi fa spesso ricorso anche chi, come i concorrenti dei talent, non cucina davanti alle telecamere per lavoro.

Negli ultimi dieci anni, comunque, l’espressione è diventata comune e popolare e già nel 2017 l’Accademia della Crusca si era espressa sul suo utilizzo nel titolo della canzone del cantante Fabio Rovazzi Andiamo a comandare, dove l’espressione era probabilmente utilizzata con un intento parodico.

– Ascolta anche: Una puntata di Tienimi Bordone dove se ne parla, per abbonate e abbonati