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  • Mercoledì 15 novembre 2023

Cosa vuol dire che «a Natale siamo tutti più buoni»?

Esce oggi in libreria il nuovo numero di Cose spiegate bene, sul Natale

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Da oggi è disponibile in libreria l’ottavo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post dedicata a temi singoli da raccontare o spiegare approfonditamente. Si intitola A Natale tutti insieme, e l’argomento di cui si occupa è il Natale, con le storie, le tradizioni e i riti della festa religiosa, dei festeggiamenti familiari, e di quello che succede abitualmente durante quei giorni e nel periodo in cui ci si prepara a festeggiarlo. In questo numero le illustrazioni sono di Noemi Vola, e i contributi di Arianna Cavallo, Daniela Collu, Maddalena Fossombroni e Pietro Torrigiani, Pietro Minto e Michele Serra.

Oltre che nelle librerie, dove speriamo anche di incontrarvi nelle presentazioni dei prossimi mesi, il nuovo numero di Cose può essere acquistato online sul sito del Post (con spedizione gratuita) e nelle librerie online di Amazon, Bookdealer, Feltrinelli e IBS. Questa è l’introduzione di A Natale tutti insieme scritta dal peraltro direttore del Post Luca Sofri.

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La frase, se ci pensate, è «a Natale siamo tutti più buoni». Ora accantonate subito quel pensiero cinico e scettico, non perché non abbia fondamento, ma proprio per provare a corrispondere alla frase; e guardate il dettaglio. Dice «siamo tutti più buoni», implicando che fossimo buoni anche il resto dell’anno, ma a Natale di più? Un miglioramento di una condizione che era già ammirevole. Oppure al contrario, significa che a Natale ci limitiamo ad aumentare il nostro tasso di bontà, ma non è che questo necessariamente ci renda molto buoni. Da zero a dieci prima eravamo buoni zero, e a Natale siamo buoni uno: «più buoni», innegabilmente, ma sempre pessimi.

In entrambi i casi, sarebbe poi apprezzabile essere «più buoni» – migliori, quindi – solo in un così breve periodo dell’anno? Non dimostrerebbe piuttosto una micragnosità di impegno, una potenzialità accessibile e trascurata, rinunciata, di essere migliori sempre? (che a sua volta genererebbe delle contraddizioni: se si è migliori sempre non c’è più niente di cui si è migliori, almeno niente di reale). Il complemento della frase sarebbe, in questa lettura, «il resto dell’anno siamo tutti meno buoni».

È che ci sono diverse superficialità o ipocrisie nel modo in cui ci relazioniamo con le proposizioni laiche o religiose intorno alla bontà: pensate solo al seguito apparentemente devoto che ha una predicazione tra le cui indicazioni di comportamento più note c’è «ama il prossimo tuo», e a quanto questo venga trascurato (se non nella sua interessata interpretazione per cui il prossimo tuo è definito dall’effettiva minima distanza che ci separa da lui o lei, dall’esserci «prossimo»: congiunto, relative, non un centimetro di distanza in più). Ma anche l’eventuale superamento delle ipocrisie non è necessariamente apprezzabile: molte cose che alcuni chiamano ipocrisie sono semplicemente buone maniere, riguardo, rispetto, attenzioni a non ferire. Predicare bene è sempre una buona cosa, comunque si razzoli: sempre meglio che predicare male pur di privilegiare una malintesa coerenza col proprio razzolare.

Questa cosa della bontà diventa un po’ confusa, come vedete. È probabilmente un’altra la dote del Natale che suggerisce di tenerselo stretto, malgrado gli stress, le routine, e quei parenti che sapete voi. Ed è che il Natale – superato solo dai concerti pop – è uno dei rari contesti in cui siamo finora riusciti a conservare un approccio non divisivo e partigiano, malgrado alcuni tentativi in senso opposto nei decenni passati. Certo, alcuni di noi hanno insofferenze verso una quota di pratiche natalizie, e certo, una propaganda politica ha preteso di fare pure del Natale un’occasione di aizzamento e vittimismo, inventandosi che fosse in corso un «attacco al Natale» (ne parliamo più avanti). Nel primo caso è invece apprezzabile come proprio lo spirito collettivo e antindividualista del Natale contraddica lo spirito egocentrico dei tempi (ci costringe a stare insieme, ad avere generosità terribilmente concrete nei confronti degli altri, a fare tutti le stesse cose e annullare i «mi si nota di più»). E quindi generi appunto infantili necessità di sfogo delle attualissime necessità di affermazione di sé: attraverso la manifestazione di indignazione per questo o quell’addobbo cittadino, oppure la contrapposizione sugli unici marginali fronti a disposizione (pandoro o panettone; albero vero o albero finto).

Quanto alla tesi che sia in corso un tentativo di diminuzione del valore del Natale attraverso la sua laicizzazione e l’attenuazione dei suoi valori religiosi, è una tesi che si contraddice da sola. La capacità di evolversi del Natale (come raccontiamo in questo numero di COSE Spiegate bene, esisteva già prima che arrivasse il Natale cristiano) e di coinvolgere anche i non credenti o i credenti di altre fedi è una straordinaria dimostrazione di potenza comunicativa. I non cristiani e non credenti che da secoli fanno proprie le feste natalizie adattandole ai propri desideri non fanno altro che renderle più solide e universali, fintanto che quello spirito confuso di bontà e convivenza è conservato. E fintanto che resistiamo agli attacchi al Natale strumentali e – quelli sì – anticristiani di certi autodefinitisi cristiani: passando insieme queste gran feste di tutti in gran rispetto per tutti, e limitandoci a borbottare un po’ per la cena coi colleghi o per la cottura dei tortellini. Buone feste.

Ordina il nuovo numero di Cose spiegate bene.