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  • Giovedì 9 novembre 2023

La situazione in Cisgiordania è sempre più grave

In vent'anni non ci sono mai stati così tanti morti tra i palestinesi, e si teme che le violenze possano degenerare

(Photo by Lior Mizrahi/Getty Images)
(Photo by Lior Mizrahi/Getty Images)
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A partire dal 7 ottobre, giorno degli attacchi di Hamas contro i civili israeliani, più di 170 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, da militari o da coloni israeliani. La risposta del governo e dell’esercito israeliano agli attacchi del 7 ottobre si è concentrata sulla Striscia di Gaza e al confine con il Libano, ma anche in Cisgiordania sono aumentate in modo sensibile le operazioni militari. In un mese i palestinesi uccisi in Cisgiordania sono stati più di quelli dell’ultimo anno, che già era stato il peggiore degli ultimi venti.

La violenza era in aumento già prima dello scoppio della guerra con Hamas, ma da allora è cresciuta in modo ulteriore e consistente: i palestinesi sono per lo più stati uccisi da militari, ma un numero crescente di episodi di violenza è stato causato da civili armati, appartenenti ai gruppi più estremisti dei coloni israeliani. Dal 7 ottobre alcuni hanno cercato vendetta per gli attacchi ai civili di Hamas, altri hanno sfruttato semplicemente la situazione e una sostanziale indifferenza – e in alcuni casi un sostegno – da parte dell’esercito israeliano. Otto palestinesi fra cui un bambino sono stati uccisi dai coloni, autori di 200 diversi attacchi, secondo i dati dell’ONU: i feriti sarebbero alcune decine e oltre 150 le proprietà danneggiate o distrutte.

Yonatan Kanonich dello Yesh Din, un’organizzazione israeliana indipendente di sorveglianza sulle colonie israeliane in Cisgiordania, ha detto all’Economist: «Se prima i soldati non facevano nulla per proteggere i palestinesi dagli attacchi, ora si uniscono ai coloni nel compierli. Non è più nemmeno possibile distinguere fra militari e coloni: i civili ora vestono divise o abiti militari, e tutti sono armati, ormai sono la stessa cosa».

Il campo profughi di Tulkarem in Cisgiordania (AP Photo/Majdi Mohammed)

Come è governata la Cisgiordania
La regione della Cisgiordania si trova fra Israele, Giordania e mar Morto e fu occupata militarmente da Israele nel 1967, con la guerra dei Sei giorni. Oggi sulla carta è controllata dall’Autorità palestinese e quindi da Fatah, il partito del presidente dell’Autorità Mahmoud Abbas, ma in realtà Israele esercita un potere quasi totale sul territorio: i cittadini palestinesi sono soggetti alla legge militare israeliana e a un controllo piuttosto capillare, con frequenti checkpoint e blocchi militari.

Dal 1967 sono state create in Cisgiordania molte colonie israeliane, ossia insediamenti in territorio palestinese di cittadini israeliani, considerate illegali dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale. Negli anni i governi di destra guidati da Netanyahu le hanno progressivamente espanse. Oggi esistono poco meno di 300 colonie, in cui abitano circa 700mila israeliani: 200mila sono a Gerusalemme Est, gli altri in Cisgiordania.

Gli accordi di Oslo del 1993 (con cui per la prima volta Israele e Palestina si riconobbero come legittimi interlocutori e che avrebbero dovuto avviare un processo per mettere fine al conflitto) prevedevano tre diverse giurisdizioni, intese come temporanee, in diverse zone della Cisgiordania: un 18 per cento (area A, giallo nella cartina) era sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, il 22 per cento era soggetta a un controllo congiunto (area B, arancione) il restante 60 per cento a un controllo israeliano (area C, in bianco). La maggior parte dei palestinesi vive nelle prime due aree, che non hanno però continuità territoriale, ma sono interrotte da settori controllati dagli israeliani e da strade che i palestinesi non possono percorrere.

 

Nelle aree controllate dagli israeliani vivono circa 600mila palestinesi: un terzo delle comunità non ha accesso a una scuola elementare (i bambini devono percorrere a piedi lunghe distanze per raggiungerle), il 70 per cento delle abitazioni non è connesso alla rete idrica, metà della popolazione è lontana da strutture mediche di base: per raggiungerle deve fare molta strada o superare vari checkpoint.

L’Autorità palestinese controlla in autonomia una parte molto ridotta della Cisgiordania e per il resto agisce in collaborazione con l’esercito israeliano. In molte zone le sue forze di sicurezza, stimate in circa 10mila fra militari e agenti, non hanno giurisdizione e libertà di movimento: anche per questo è largamente impopolare fra i palestinesi. È percepita come incapace di difendere la popolazione, collaborazionista con Israele e ampiamente corrotta. L’Autorità palestinese è espressione di Fatah, il principale partito laico e moderato della scena politica palestinese, guidato dall’87enne Mahmoud Abbas, anche conosciuto come Abu Mazen.

Gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato Antony Blinken hanno espresso mercoledì l’auspicio che alla fine della guerra il governo della Striscia di Gaza venga unificato a quello della Cisgiordania, sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Il progetto sembra complesso anche per la grande impopolarità di Fatah, che non organizza elezioni dal 2006 per evitare un probabile successo di Hamas anche in Cisgiordania.

Gli effetti di un raid dei coloni a Turmus Ayya (AP Photo/Mahmoud Illean)

Le armi dei coloni
In questo contesto già fortemente sbilanciato, l’insediamento del governo più di destra della storia di Israele ha dato nuova spinta e nuove ambizioni ai coloni israeliani in Cisgiordania. Il governo Netanyahu ha trasformato larghe parti dell’esercito israeliano in una sorta di “milizia privata” a difesa dei coloni, e ampi poteri e deleghe sulla Cisgiordania sono stati concessi a esponenti ultranazionalisti o di estrema destra, come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Organizzazioni non governative e residenti palestinesi denunciano con sempre maggiore frequenza raid indiscriminati di coloni e militari, che rappresentano a loro parere un piano coordinato per spaventare e cacciare i palestinesi: 13 insediamenti palestinesi nei pressi di Hebron sarebbero stati abbandonati proprio in seguito alle ripetute violenze, mai perseguite dalle autorità.

Il mese scorso il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha lanciato un programma per rifornire di armi i coloni israeliani in modo da «proteggere gli insediamenti e le città». Il progetto ha preoccupato anche gli Stati Uniti: il governo israeliano si è rivolto infatti ad aziende statunitensi per acquistare 24mila armi automatiche e semiautomatiche: una commessa complessivamente da 34 milioni di dollari, che ha bisogno dell’approvazione del dipartimento di Stato. Israele ha comunicato che le armi sarebbero state utilizzate dalle forze di polizia, ma il governo statunitense ha imposto ulteriori verifiche, nel timore che vengano invece distribuite ai coloni.

Il villaggio di pastori di al-Baqa abbandonato dai residenti a luglio (AP Photo/Maya Alleruzzo, File)

Le terre dei pastori
Nel corso degli anni le colonie israeliane hanno assunto dimensioni superiori grazie a un progressivo aumento della popolazione e alla continua costruzione di case. Negli ultimi anni ong e media internazionali hanno individuato un nuovo metodo per ottenere un controllo più rapido su porzioni di terra consistenti, legato alla pastorizia. Larghe porzioni di territorio della Cisgiordania sono infatti occupate da campi e colline utilizzate dai pastori palestinesi con le proprie greggi.

Spesso i pastori vivono in piccole comunità isolate e sempre più frequentemente questi piccoli villaggi vengono attaccati da coloni armati, che intimidiscono e danno fuoco a case e strutture, costringendo i residenti ad abbandonare le zone. Altre volte alle greggi dei palestinesi viene impedito l’accesso ai campi o all’acqua, e quelle zone vengono occupate da pastori israeliani. Solo nell’ultimo anno con questo metodo i coloni avrebbero occupato grazie agli “avamposti dei pastori” 110 chilometri quadrati di terreno: gli insediamenti originari dei coloni israeliani nel 1967 occupavano in tutto 80 chilometri quadrati. Kerem Navot, una ong che monitora le attività dei coloni in Cisgiordania, ritiene che in cinque anni i coloni abbiano preso il controllo di aree equivalenti al 6 per cento dell’intera Cisgiordania.

Un controllo a Qalqilya (Photo by Uriel Sinai/Getty Images)

L’aumento della tensione
Israele mantiene il controllo sull’area grazie a una barriera di 700 chilometri che divide la Cisgiordania dal suo territorio e utilizzando quasi 150 posti di blocco fissi sulle strade interne. A partire dall’inizio della guerra le forze israeliane hanno arrestato circa 1.500 persone in Cisgiordania, dove peraltro è stato registrato un aumento di traffico di armi provenienti dalla Giordania. Negli ultimi giorni vari governi, fra cui quello statunitense e britannico, hanno invitato Israele ad azioni concrete per limitare le violenze dei coloni, sottolineando il rischio di una “nuova intifada”, ossia una sollevazione diffusa accompagnata da scontri intensi e violenti.