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  • Domenica 29 ottobre 2023

È un’invasione?

Israele non la vuole chiamare così, anche se il suo esercito è nella Striscia di Gaza da tre giorni: potrebbe rimanerci per mesi, in un lunghissimo assedio

Soldati israeliani vicino al confine con la Striscia di Gaza (EPA/HANNIBAL HANSCHKE)
Soldati israeliani vicino al confine con la Striscia di Gaza (EPA/HANNIBAL HANSCHKE)

Attorno all’operazione di terra cominciata dall’esercito di Israele venerdì sera nella Striscia di Gaza ci sono ancora molte incertezze. Anzitutto perché, a causa dell’interruzione di tutte le comunicazioni nella Striscia, che è durata fino a domenica mattina, per un giorno e mezzo è stato impossibile sapere cosa stesse succedendo al suo interno. Anche le comunicazioni dell’esercito israeliano sono estremamente vaghe e generiche. Israele non ha nemmeno voluto definire che tipo di operazione sta compiendo, e se quella in corso da venerdì è davvero l’invasione di terra della Striscia che la leadership politica e militare israeliana annuncia da settimane.

Quello che sappiamo al momento è che l’esercito israeliano è entrato nella Striscia di Gaza da almeno due punti: dal confine nord e dal confine est, praticamente a metà della Striscia: sono le due estremità della zona nord della Striscia, quella che contiene Gaza (la città più importante e popolosa della zona) e da cui l’esercito israeliano aveva chiesto settimane fa l’evacuazione dei civili. Questo ingresso da due lati opposti fa pensare che Israele voglia circondare lentamente tutta l’area (nella mappa qui sotto si vede l’area nord della Striscia, evidenziata in rosso, e i punti da cui l’esercito è entrato: da nord, probabilmente in due zone, e dal centro della Striscia).

L’ingresso delle truppe, venerdì sera, è stato anticipato e accompagnato da bombardamenti senza precedenti, che potrebbero essere stati i più distruttivi da quando è cominciata la guerra, il 7 ottobre.

L’operazione cominciata venerdì è diversa e molto più ampia delle incursioni che c’erano state nei giorni precedenti, quando piccoli gruppi di soldati israeliani erano penetrati nella Striscia di Gaza per fare operazioni mirate o di ricognizione, e poi rientravano nelle loro basi in Israele. Questa volta i soldati entrati venerdì nella Striscia ci sono rimasti. Il cambio di passo è stato evidenziato anche nei comunicati dell’esercito israeliano e del primo ministro Benjamin Netanyahu, che hanno parlato esplicitamente di una «seconda fase».

Ma al tempo stesso questa non è l’invasione di massa che quasi tutti si aspettavano. Nelle scorse settimane l’esercito israeliano aveva ammassato nelle aree di confine con la Striscia 360mila riservisti, e la previsione di molti era che, una volta cominciata l’invasione, ci sarebbe stata un’operazione di terra estremamente ampia. Al momento non è possibile fare nemmeno una stima di quanti soldati e mezzi israeliani siano impegnati dentro alla Striscia, ma tutte le analisi disponibili al momento parlano di una forza relativamente agile, che anziché cercare di avanzare in poco tempo su Gaza potrebbe impiegare mesi in un lento lavoro di accerchiamento e di distruzione delle infrastrutture militari e dei tunnel di Hamas.

La lunghezza delle operazioni di terra è stata già anticipata dalla leadership israeliana: Netanyahu ha detto sabato sera che l’operazione di terra sarà «lunga e difficile» e un funzionario del governo che ha voluto rimanere anonimo ha detto all’Economist che potrebbe durare «mesi, forse un anno».

La parte nord della Striscia di Gaza devastata dai bombardamenti (EPA/HANNIBAL HANSCHKE)

Dal punto di vista militare, oltre all’aviazione, alla fanteria e ai carri armati, Israele ha inviato nella Striscia di Gaza anche l’unità speciale Yahalom, che è specializzata nell’individuazione e nella distruzione dei tunnel di Hamas. Il lavoro è per forza di cose estremamente lungo: si tratta di individuare i tunnel, disinnescare le trappole esplosive, eliminare gli ostacoli con i bulldozer armati e combattere con i miliziani che potrebbero trovarsi dentro, con il rischio di incappare in una mina o di essere sorpresi alle spalle.

Secondo la BBC, è probabile che l’esercito di Israele voglia cercare di sgomberare la Striscia di Gaza dalle forze di Hamas «pezzo per pezzo», cioè con un’operazione lenta che ha l’obiettivo di prendere il controllo gradualmente e metodicamente di piccole porzioni di territorio, in un accerchiamento che potrebbe durare mesi. Francesco Strazzari, professore di Relazioni Internazionali alla Scuola Sant’Anna di Pisa, nell’ultima puntata di Globo registrata prima dell’inizio dell’operazione aveva fatto un’ipotesi simile, dicendo che l’operazione di terra israeliana si sarebbe mossa per «lotti», e che avrebbe avuto l’obiettivo di «bonificare» piccole aree una dopo l’altra.

– Ascolta Globo: È possibile distruggere Hamas?

L’operazione di terra potrebbe così trasformarsi in un lento accerchiamento e assedio che potrebbe durare mesi. «Hamas non si aspetta [questo tipo di operazione]. Si aspettava un’invasione di terra lunga dalle tre alle sei settimane», ha detto sempre all’Economist Naftali Bennett, che è stato primo ministro israeliano tra il 2021 e il 2022 e in precedenza ministro della Difesa.

Questa tattica di lento assedio dovrebbe essere almeno in teoria più precisa e capace di limitare i morti civili. È molto probabile, in realtà, che contribuirà ad aumentare le sofferenze della popolazione di Gaza, perché rischia di allungare per tempi insostenibili l’«assedio totale» della Striscia, dove da ormai tre settimane non entrano acqua, cibo e carburante, se non in quantità estremamente limitate. Hamas nel frattempo ha ancora abbondanti risorse a sua disposizione, che si stima potrebbero durare ancora quattro mesi senza bisogno di rifornimenti.

Un’operazione così lenta e metodica potrebbe garantire all’esercito israeliano una notevole flessibilità. Daniele Raineri, inviato di Repubblica in Israele, ha raccontato che «i generali israeliani vogliono tornare a essere imprevedibili. Hamas si aspettava forse un’invasione alla massima potenza, un’irruzione di qualche settimana e si preparava a resistere — la muqawama, la resistenza, è la sua ragione d’esistere […]. Invece potrebbe avere a che fare con un serie infinita di operazioni che prendono spicchi di territorio e cambiano a seconda di quello che succede: possono fermarsi se c’è un accordo per la liberazione degli ostaggi, possono accelerare o rallentare, possono trasformarsi in altro».

Un altro possibile vantaggio è che un’operazione di terra più accurata e su scala più ridotta potrebbe aumentare le possibilità di recuperare gli oltre 200 ostaggi presi da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre, questione che rimane estremamente sensibile per l’opinione pubblica israeliana. Infine, Israele spera che un’operazione di minore intensità potrebbe contribuire a ridurre il rischio di un’espansione della guerra a ulteriori fronti, evitando per esempio che l’Iran e la milizia libanese Hezbollah, davanti a un’invasione massiccia contro la Striscia di Gaza, si sentano in dovere di intervenire.