La strada per la Luna, letteralmente

Ci sono pochi posti polverosi come la Luna e se vorremo esplorarla dovremo costruire delle strade: ci sta pensando l'Agenzia spaziale europea

L'astronauta John W. Young sul Lunar Roving Vehicle nel corso della missione Apollo 16 sulla Luna, 21 aprile 1972 (NASA)
L'astronauta John W. Young sul Lunar Roving Vehicle nel corso della missione Apollo 16 sulla Luna, 21 aprile 1972 (NASA)
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La Luna è l’unico corpo celeste al di fuori della Terra sul quale alcuni esseri umani abbiano guidato un veicolo a quattro ruote. Gli astronauti delle missioni Apollo dalla 15 (1971) alla 17 (1972) scorrazzarono sul suolo lunare a bordo del Lunar Roving Vehicle, un piccolo mezzo di trasporto che fu messo a dura prova dalla finissima e abrasiva polvere lunare, che si attaccava dappertutto. Gli inconvenienti durante quei brevi spostamenti furono molto istruttivi e la loro conoscenza sarà utile nei prossimi anni, quando con le missioni Artemis gli esseri umani torneranno a esplorare la Luna.

Per farlo, avranno bisogno di razzi molto potenti, di una stazione orbitale e probabilmente di qualche strada lunare, per evitare i problemi riscontrati dai loro predecessori a bordo dei rover all’inizio degli anni Settanta.

Per quanto possa apparire fantascientifica, l’idea di costruire strade sulla Luna è piuttosto concreta e potrebbe aiutare a ridurre il problema della polvere lunare e dei suoi effetti non solo sui veicoli, ma anche sulle altre strumentazioni che gli astronauti utilizzeranno sulla superficie lunare. L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha dedicato a questa idea il progetto PAVER. Il nome in inglese significa “macchina pavimentatrice”, ma ha anche una descrizione che lo accompagna per chiarire meglio la particolarità del progetto: “Paving the road for large area sintering of regolith”, cioè “Aprire la strada per la sinterizzazione su larga scala con la regolite”.

La regolite è in generale l’insieme delle polveri e dei frammenti che formano lo strato più esterno della superficie dei corpi celesti. Sulla Terra deriva per lo più dai fenomeni di erosione, mentre sulla Luna la regolite si è formata soprattutto in seguito all’impatto dei meteoriti. Il processo è durato miliardi di anni e ha causato la formazione dei numerosi crateri lunari e della polvere che la ricopre, in alcuni punti spessa meno di un metro e in altri qualche decina. Le polveri della regolite si sollevano facilmente dalla superficie lunare, dove l’accelerazione di gravità è circa un sesto rispetto a quella della Terra, e tende a depositarsi facilmente su qualsiasi cosa, diventando difficile da rimuovere per le sue caratteristiche e il modo in cui si distribuisce in mancanza di un’atmosfera rilevante.

I numerosi crateri lunari, frutto dell’impatto con altri corpi celesti (Michael M. Santiago/Getty Images)

Se ne accorsero probabilmente più di tutti gli astronauti dell’Apollo 17 Eugene Cernan e Harrison Schmitt, che nel dicembre del 1972 guidarono il rover sulla Luna dopo che aveva perso un parafango posteriore. La polvere sollevata dalle ruote finiva sulla strumentazione del rover, bloccando i radiatori utilizzati per dissiparne il calore. Cernan e Schmitt dovettero improvvisare un parafango di emergenza utilizzando alcune mappe lunari, in modo da ridurre gli accumuli di polvere.

Il parafango del rover lunare danneggiato riparato con alcune mappe del suolo lunare (NASA)

In seguito Cernan confermò che la polvere lunare era difficile da gestire: «Penso che la polvere sia probabilmente uno dei più grandi impedimenti per svolgere una normale missione sulla Luna. Penso che potremo superare altri problemi meccanici, fisici e fisiologici, ma non la polvere».

Eugene Cernan con la tuta spaziale ricoperta di regolite dopo una attività sulla superficie lunare (NASA)

Cernan era alquanto pessimista: secondo le analisi e le ricerche svolte negli ultimi anni si possono adottare metodi per ridurre il più possibile il sollevamento della polvere lunare, in modo da ridurre il rischio che smettano di funzionare apparecchiature importanti come quelle per la sopravvivenza degli astronauti. PAVER si occupa proprio di questo e della possibilità di costruire strade e piattaforme nelle aree dove saranno più attivi i mezzi degli astronauti, così che si sollevi poca polvere.

L’idea ha alla base la “sinterizzazione”, la strana parola contenuta nella descrizione di PAVER, che indica il processo di produzione di un oggetto partendo da polveri, che vengono trattate ad alta temperatura. È un processo impiegato da tempo per produrre alcuni tipi di semiconduttori, di membrane e di numerosi componenti meccanici. Nei primi decenni del Novecento era stata inoltre esplorata la possibilità di realizzare strade qui sulla Terra sottoponendo ad alta temperatura la sabbia, con un principio non molto differente da quello che ora l’ESA sta studiando per la Luna.

PAVER coinvolge gruppi di ricerca e università tra Germania e Austria e i primi risultati del loro lavoro sono stati da poco pubblicati sulla rivista scientifica Nature Scientific Reports. I primi test sono consistiti nell’impiego di un laser, un fascio di luce molto concentrato, per provare a fondere una polvere simile a quella lunare per renderla compatta e non più volatile. Sulla Luna non sarà utilizzato un laser, ma una particolare lente con un diametro di un paio di metri per concentrare la luce solare e sfruttarla per fondere la regolite. Il metodo richiede però tempo e un fascio di luce sufficientemente ampio, due problemi su cui si stanno concentrando le attività di ricerca.

Processo di produzione dei componenti trilobati (a sinistra) e di successivo incastro di più elementi (ESA)

Pavimentare tutta la superficie con questo sistema richiederebbe troppo tempo, quindi ci si è concentrati sullo studio di forme geometriche da produrre e mettere insieme per creare i percorsi sulla Luna. Il gruppo di ricerca ha utilizzato un fascio laser con un diametro di 4,5 centimetri e ha prodotto forme trilobate di 20 centimetri per lato, che potrebbero essere incastrate tra loro su ampie porzioni di suolo lunare in modo da farci passare sopra i veicoli senza alzare troppa polvere lunare. Il principio non è molto differente dai pavimenti autobloccanti, che utilizzano piastrelle o blocchi fatti con forme geometriche tali da incastrarsi tra loro, senza rendere necessario l’impiego di altre sostanze (malte e cementi) per tenerli insieme.

Il materiale che si ottiene fondendo la regolite con il laser non è molto resistente e tende a sbriciolarsi, ma secondo le analisi dovrebbe resistere alle sollecitazioni verticali dovute al passaggio dei mezzi, in un ambiente dove comunque ci sono condizioni di gravità differenti dalla Terra. Ogni blocco trilobato ha uno spessore di poco meno di 2 centimetri ed è possibile sovrapporre più blocchi, a seconda del carico che dovrà sostenere la strada lunare.

Nello studio, il gruppo di ricerca di PAVER dice che per costruire una piattaforma di allunaggio con uno spessore di 2 centimetri dovrebbero essere necessari circa quattro mesi di lavoro. La piattaforma potrebbe ridurre il sollevamento della regolite che si verifica quando i moduli lunari accendono i motori per lasciare la superficie per collegarsi poi alla stazione orbitale intorno alla Luna (che si chiamerà Gateway).

Rappresentazione schematica del Gateway (NASA)

PAVER rientra in una serie più ampia di progetti di ricerca che l’ESA sta svolgendo per lo sviluppo di nuove tecnologie spaziali da utilizzare nell’ambito di Artemis, l’ambizioso nuovo programma lunare promosso dalla NASA per tornare a esplorare la Luna e a costruire avamposti permanenti intorno al satellite naturale e sulla sua superficie. Molti progetti coinvolgono aziende spaziali private con l’obiettivo di promuovere un modello “ibrido” dove le agenzie finanziate dalle istituzioni pubbliche collaborano in nuovi modi con il settore privato. La cosiddetta “colonizzazione della Luna” potrebbe portare a nuove opportunità economiche in vari settori a cominciare da quello dello sviluppo e della produzione di materiali innovativi, da realizzare in particolari condizioni di gravità.