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  • Venerdì 20 ottobre 2023

Come funzionano gli hotel

Dai minibar alle stelle, da Booking alle ciabatte monouso, cosa succede prima, durante e dopo che ci dormiamo

Grand Budapest Hotel (YouTube)
Grand Budapest Hotel (YouTube)

Nel momento in cui i clienti entrano dentro una camera d’albergo ci sono spese fisse che gli albergatori mettono in conto, come le bibite prese dal minibar e non dichiarate alla fine del soggiorno, i prodotti del bagno monouso utilizzati a metà o portati via, la carta igienica e le pantofole usa e getta. Gli hotel spesso pagano anche delle costose assicurazioni che coprono i furti e i danni minori causati dagli ospiti, ma se un cliente si porta a casa asciugamani o accappatoi possono addebitarli sulla carta che viene registrata al check-in, così come i danni non accidentali. «I clienti rompono di tutto», spiega la direttrice di un hotel di lusso nel centro di Torino, a pochi passi da piazza Vittorio Veneto. «Lampade, sedie, il vetro della doccia. A noi è anche capitato che venisse rotto il piano del lavandino, ma in quel caso ha pagato il cliente. Una volta poi un calciatore ha staccato la tv dal muro e l’ha rotta, e gliel’abbiamo addebitata».

In Italia ci sono circa 32mila hotel. Quasi due terzi si trovano al Nord, anche se le attività aperte al Sud e nelle isole sono aumentate del 27 per cento negli ultimi vent’anni. Il Trentino-Alto Adige è la regione con più alberghi (5366), mentre il Molise è quella che ne ha meno (78). Rimini è la provincia con la più alta densità dell’offerta alberghiera (la quantità di letti a disposizione in rapporto alla superficie): ci sono 692 strutture e 159 posti letto per chilometro quadrato.

Secondo gli ultimi dati completi disponibili nel report annuale di Federalberghi 2023, in Italia nel 2021 sono stati registrati quasi 170 milioni di presenze, cioè la somma delle singole notti trascorse da ogni cliente nelle strutture alberghiere. I dati del 2021, comunque, sono da interpretare tenendo conto dell’impatto che le restrizioni per la pandemia da Covid-19 hanno avuto per il settore turistico e alberghiero in generale. Nei dieci anni precedenti alla pandemia, la media annuale di presenze si aggirava invece tra i 250 e i 260 milioni.

Secondo quanto riportato nell’ultima relazione annuale di Federalberghi, dei 32mila hotel presenti in Italia più della metà ha tre stelle (17.783). Negli anni dal 2000 al 2021 il numero di hotel a quattro e cinque stelle è più che raddoppiato: quelli che ne hanno quattro (che erano 2715) ora sono circa 6200, quelli che ne hanno cinque (che erano 168) sono diventati 601. Gli hotel a una e due stelle, invece, si sono dimezzati. Quelli a una stella, che oggi sono circa 2400, vent’anni fa erano 6850. Quelli a due stelle sono passati da 9462 a 5110.

Alcuni alberghi soprattutto di fascia più bassa non riescono infatti a far fronte ai costi proprio a causa della loro dimensione, che in media è inferiore ai trenta posti letto, e a beneficiare di economie di scala. Per le strutture più piccole, di solito quelle meno lussuose con una o due stelle, è vantaggioso convertirsi in affittacamere (spesso usando Airbnb), bed & breakfast o hotel stagionali per godere di un regime fiscale agevolato. Per esempio, i bed & breakfast gestiti come attività d’impresa, e quindi non in modo occasionale, in molti casi pagano le tasse con un regime forfettario.

Un’albergatrice intervistata dal Post, proprietaria di un hotel a Laigueglia, una cittadina che affaccia sulla riviera ligure di Ponente, spiega che negli ultimi anni le conviene tenere aperta la struttura solo durante la stagione estiva. Il suo hotel è classificato come 1 stella in quanto struttura con 7 stanze e 4 bagni condivisi. Gli hotel a una e due stelle, infatti, non hanno l’obbligo di garantire un bagno per ogni camera. Tutti gli hotel devono però garantire la pulizia quotidiana della stanza. L’albergo di Laigueglia, comunque, offre servizi di categoria superiore non richiesti per le strutture a una stella, ma preferisce mantenere i bagni in comune. Un determinato numero di stelle, infatti, è raggiungibile solo se si soddisfano tutti i requisiti minimi richiesti, quindi potenzialmente è possibile che un albergo di lusso privo però di aria condizionata nelle stanze rimanga a due stelle. La stessa albergatrice ha tenuto a specificare che la clientela dell’albergo è costituita da persone affezionate alla struttura e alla proprietà che soggiornano tutti gli anni nel periodo estivo.

Le stelle di un albergo, considerate i parametri più immediati per valutarne la qualità, in realtà prevedono un sistema di autovalutazione che è ritenuto un po’ controverso: Federica Bonafaccia, del Servizio legale tributario di Federalberghi, spiega che «è generalmente in vigore la regola del “silenzio assenso”». Sono gli hotel ad attribuirsi le stelle che pensano di meritare secondo tabelle stabilite a livello nazionale, e «le regioni delegano le attività ispettive ai comuni o alle province, che esaminano la documentazione presentata ed effettuano sopralluoghi a campione o a seguito di reclami». Non sono disponibili dati rispetto a eventuali controlli.

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Investire denaro sulla propria struttura per ottenere una stella in più non è sempre vantaggioso: spesso ci vogliono un sacco di soldi e le aspettative dei clienti aumentano, il ritorno economico poi non è garantito. Per un hotel a quattro stelle, pur potendo offrire servizi da cinque stelle – spiega Riccardo De Giuli, proprietario dell’hotel NH Collection Piazza Carlina di Torino – può essere più conveniente rimanere nella propria categoria con dei clienti molto soddisfatti piuttosto che deludere le attese della clientela abituale degli hotel di lusso. Questo giustifica l’aggiunta del titolo “superior” alle quattro stelle di alcune strutture particolarmente lussuose: è una dicitura inventata per ragioni di marketing che alcuni alberghi utilizzano quando possiedono alcuni dei requisiti per il passaggio alla categoria delle cinque stelle, ma non tutti. Le stelle influiscono anche sulla composizione del personale. Gli hotel a cinque stelle, ad esempio, devono garantire il ricevimento degli ospiti e il servizio in camera ventiquattr’ore su ventiquattro.

Hotel Danieli a Venezia (Klaus Dolle / Wikimedia Commons)

Nel settore si sta diffondendo il cosiddetto outsourcing, cioè si appalta la maggior parte delle mansioni di manutenzione ordinaria ad aziende esterne e specializzate. Gli alberghi che mantengono personale interno anche per quello che riguarda la pulizia degli spazi e il lavaggio della biancheria stanno diminuendo, anche perché trovare persone che vogliono lavorare in questo settore è sempre più difficile, specialmente quando si cercano lavoratori stagionali. Gli alberghi che operano in località turistiche tendono a mantenere solo una parte del personale per tutto l’anno e assumere altri lavoratori per i periodi di maggiore affluenza, come le festività o la stagione estiva. Dopo la pandemia da COVID-19 scarseggiano le candidature a fronte di un mercato che richiede una grande quantità di manodopera.

Non trovare personale significa dover contare sugli straordinari di chi è già impiegato, sottoponendo i dipendenti a turni ancora più lunghi e a orari scomodi. Le persone sono sempre meno disposte ad accettare le difficili condizioni del settore alberghiero, oltre agli orari che spesso sforano rispetto a quanto pattuito. E le retribuzioni non sono sufficienti a compensare sforzi troppo grandi. I lavoratori del settore alberghiero sono regolati da uno specifico Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) e la retribuzione media si aggira intorno ai 1600 euro al mese. Gli albergatori dovrebbero assumere più persone e riorganizzare i turni dei lavoratori, che tendono a soffrire sempre di più la disuguaglianza delle mansioni del settore rispetto ad altri che per esempio non richiedono l’impegno dei fine settimana e offrono più tempo di riposo settimanale, anche a parità di retribuzione. Ma questo tipo di approccio comporterebbe molte più spese fisse a carico della struttura e una conseguente riduzione del guadagno, che la maggior parte degli albergatori non vuole o non può accettare.

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Come tutti i lavori che prevedono un rapporto diretto con il pubblico, quelli del settore dell’ospitalità sono particolarmente impegnativi. Secondo le testimonianze degli albergatori che hanno parlato con il Post, negli ultimi anni le lamentele dei clienti sono aumentate ed è invece diminuita la loro tolleranza. Numerosi responsabili di hotel di fascia alta hanno evidenziato come i clienti negli ultimi anni siano diventati più esigenti (c’è chi ha parlato di un “effetto 4 Hotel” riferendosi al noto programma dello chef Bruno Barbieri).

Secondo la direttrice di un hotel di lusso a Torino, questa nuova – talvolta pretestuosa – attenzione ai dettagli è in parte problematica, visto che «un minimo accumulo di polvere nell’angolo di una stanza non dice molto sulla pulizia complessiva dell’albergo o sulla professionalità del personale». Tra le principali lamentele riscontrate la più frequente riguarda il rumore, anche se proviene dall’esterno della struttura. Non sono rare infatti le questioni al di fuori della responsabilità degli albergatori: Elisabetta Pollicini, receptionist di un hotel in provincia di Savona che fa questo lavoro da più di dieci anni, spiega per esempio che «la difficile situazione di strade e autostrade della Liguria porta spesso i clienti ad arrivare in hotel già molto nervosi per le ore di ritardo accumulate a causa del traffico; e quindi a lamentarsi di più all’inizio del soggiorno».

L’interno del Grand Hotel Plaza a Roma (Facebook)

In ogni caso, parlare del “cliente medio” in questo settore è poco preciso perché la tipologia di cliente cambia in base alla provenienza, al tipo di struttura ricettiva e al motivo della permanenza. Le persone straniere che decidono di soggiornare in un hotel italiano arrivano principalmente da Germania, Svizzera e Austria. La provenienza degli ospiti influisce sul tipo di servizi offerti, soprattutto nel caso di destinazioni di alto livello. Ne è un esempio l’offerta di cibo all’interno del buffet delle colazioni: le persone di religione musulmana, per esempio, non possono mangiare carne di maiale con la conseguenza che molte strutture hanno cominciato a offrire varianti che siano validi sostituti delle colazioni più classiche.

Federica Brunini, giornalista di viaggio e consulente, spiega che alcune località nel corso dei decenni si sono specializzate nell’accoglienza di tipologie specifiche di turisti: in Costiera amalfitana l’offerta si è modellata sulla base delle esigenze di clienti statunitensi che spendono molti soldi. Per questo motivo «l’aumento di turisti dal Medio Oriente» dice Brunini «ha costretto molti hotel a riorganizzare i propri spazi e il modo di lavorare, per adattarsi a esigenze di spazio e privacy molto più stringenti». È frequente infatti che persone ricchissime, che spesso provengono dai Paesi della penisola araba, viaggino insieme a un entourage anche molto numeroso e abbiano l’esigenza di avere camere comunicanti per potersi spostare senza passare per gli spazi comuni della struttura. Alcune catene internazionali di alberghi, per assicurarsi che gli standard di ospitalità richiesti dalla direzione principale siano rispettati, utilizzano la figura del cosiddetto mistery guest: una persona che viene assunta per fingersi un cliente e verificare che ogni cosa sia svolta nella maniera corretta.

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Sempre Brunini racconta un fenomeno che negli ultimi anni è in crescita, ma che riguarda solo una fascia di clientela particolarmente facoltosa. Li definisce “giovani-vecchi”, solitamente coppie sotto i quarant’anni di età che, inseguendo un desiderio di permanenza “retrò“, tendono a passare molto tempo all’interno di strutture che offrono quelli che, in fin dei conti, sono servizi di intrattenimento. «Queste persone sono alla ricerca di un’atmosfera storica, alla Grand Budapest Hotel, simile a quella che pensavano si respirasse anni fa: la complicità con il concierge, lo stringere amicizia con gli altri clienti, i divani in velluto rosso. Più in generale, non vedono l’hotel solo come uno spazio in cui dormire, ma anche in cui vivere».

Una cosa che è cambiata rispetto al passato ma a cui nessuno sembra voler rinunciare è il metodo di prenotazione della stanza. Il ruolo delle piattaforme di prenotazione online è ormai prevalente e in Europa la più importante è Booking, con oltre 28 milioni di strutture alberghiere registrate. Il servizio fornito, cioè di fare da intermediario tra clienti e strutture, ha un costo di commissione che viene trattenuto sul prezzo della stanza, che solitamente è attorno al 15-18 per cento. Pagando un prezzo aggiuntivo gli hotel possono incrementare la loro visibilità sul sito, tramite un abbonamento che garantisce rilevanza costante oppure solo in determinati periodi dell’anno pagando una tantum.

Il San Domenico Palace a Taormina, l’hotel dove è stata girata la seconda stagione della serie TV The White Lotus (Facebook)

In Italia essere iscritti a Booking è diventato fondamentale. La direttrice di un albergo di Torino ha detto che rappresenta il 60% delle prenotazioni per il suo hotel. Sebbene la piattaforma permetta di aumentare il numero dei propri clienti, soprattutto quelli stranieri, la percezione degli albergatori è che Booking sia molto più orientata verso la soddisfazione del cliente piuttosto che quella delle strutture. Secondo loro, Booking gode di una posizione di vantaggio a livello contrattuale: gli albergatori sentono di dover sottostare a commissioni alte e ai continui suggerimenti di sconti da parte della piattaforma per restare competitivi sul mercato, in una situazione che alcuni definiscono di monopolio.

La visibilità su Booking non è comunque solo un fattore legato alla percentuale di commissione dell’hotel, perché anche le recensioni hanno un forte peso. L’obiettivo di molte strutture, infatti, non è quello di essere il più visibili possibile ma di creare una clientela affezionata, che conosce l’albergo e prenota contattandolo direttamente senza quindi dover versare commissioni a nessuno. È il caso di alcuni hotel più piccoli, soprattutto in aree turistiche, i quali preferiscono limitare o escludere completamente l’uso di Booking. Lo stesso hotel a una stella del Ponente ligure ogni anno accoglie un gruppo di turisti tedeschi che si ritrovano per organizzare un loro personale Oktoberfest.

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Tra i clienti c’è da anni un maggiore interesse verso la sostenibilità ambientale, favorita anche da apposite sezioni sulle piattaforme di prenotazione. Per gli alberghi però ci sono delle questioni ineludibili: prodotti monouso offerti nelle stanze, anche se usati parzialmente, devono essere per esempio gettati e sostituiti tra un soggiorno e il successivo. Così come le pantofole usa e getta, e i rotoli di carta igienica che a ogni pulizia della stanza vengono sostituiti. Alcune strutture hanno cominciato a proporre alternative di prodotti monouso in materiali più facilmente riciclabili oppure con dispenser che vengono riempiti periodicamente.

Non si tratta comunque di una scelta condivisa da tutti gli albergatori. Per alcuni di loro i prodotti monouso restano l’alternativa più igienica e sicura ed eliminarli porterebbe a una riduzione nella qualità del servizio. Per lo stesso motivo in Italia è ancora una consuetudine che le camere vengano rifatte tutti i giorni. In altri paesi come gli Stati Uniti, invece, è normale che le pulizie nella stanza vengano fatte solo quando il cliente lo richiede, sia per risparmiare che per ragioni ambientali. Tuttavia, la sostenibilità di questa scelta è discussa: pulire a fondo una stanza che non è stata rifatta per giorni richiede comunque una gran quantità di acqua e prodotti — oltre che di tempo e manodopera.

La scelta di mantenere il buffet per il servizio di colazione è un esempio di risparmio economico che entra in conflitto con un beneficio ecologico. Allestire un buffet ha un costo minore per le strutture, soprattutto per la quantità esigua di impiegati necessari a prepararlo e a gestirlo. A causa della pandemia di Covid-19 le strutture avevano dovuto modificare il servizio proponendo colazioni servite al tavolo, offerte in camera o sostituite con cibo mono-porzione. Queste alternative avevano portato a una riduzione della spesa e dello spreco di cibo, anche perché i clienti non potevano servirsi più volte e, quando c’era la possibilità, il fatto di dover chiedere al personale di portare altro cibo imbarazzava molti. Con la fine delle restrizioni, però, molti hotel sono tornati al buffet: «È vero che si butta più cibo», dice un’albergatrice, «ma i clienti lo preferiscono e a noi costa meno e richiede l’impiego di meno personale».

Spesso è stata proprio la volontà dei clienti a far decidere ad alcuni degli albergatori che avevano adottato servizi per la colazione alternativi a tornare al sistema del buffet. Anche se è considerato meno igienico, infatti, i clienti gradiscono le maggiori possibilità di scelta che offre. Questo li porta a consumare molto più cibo e a riempire eccessivamente il piatto producendo più sprechi che, come detto, sono comunque economicamente vantaggiosi per la struttura.

Come ha raccontato al Post il direttore di una struttura del Piemonte che produce anche vino, mangiare in albergo è diventato qualcosa di molto diverso negli ultimi anni, e a volte si è trasformato nel fattore di principale attrattiva della struttura. Molti alberghi stanno diventando dei “ristoranti con camere”, in cui la gente va per mangiare e consumare vino e alcolici, dormire, fare colazione e poi lasciare la struttura. Per questo motivo anche la colazione è diventata un elemento importante, e in alcune strutture la sua organizzazione viene delegata allo chef che si occupa anche del ristorante. In questo modo il buffet diventa la “vetrina” dell’hotel — da fotografare e pubblicare sui social network — che con una spesa limitata riesce a trasmettere alla clientela un senso di ricchezza e di disponibilità.