Le “grandi serie” saranno sempre più rare

Quelle ad alto budget ma per un pubblico relativamente piccolo, come “Mad Men” o “Breaking Bad”, non convengono più

Da “Breaking Bad” (AMC)
Da “Breaking Bad” (AMC)

Alcune delle serie tv che oggi sono considerate parte della grande era della serialità televisiva e vengono citate come capolavori sono state in realtà seguite da un pubblico relativamente ristretto, almeno rispetto a quanto sono costate. Breaking Bad, Mad Men, House Of Cards, The Wire e ultima tra queste in ordine temporale Succession hanno tutte avuto costi che non sarebbero stati giustificabili dal loro successo se non in una fase di sviluppo della televisione, nella quale per molti canali e per le piattaforme di streaming il profitto non era la priorità.

Per buona parte degli anni Duemila e poi ancora di più negli anni Dieci, quando le piattaforme di streaming erano diventate più importanti, far parlare di sé attraverso serie che vincessero premi, facessero discutere e venissero consigliate dalle persone è stata la strategia per accumulare nuovi abbonati. L’aumento delle sottoscrizioni veniva interpretato dalla borsa come un segno di salute ancora di più del rapporto tra costi e ricavi.

La conseguente ricerca di serie di cui tutti parlassero e il poco riguardo per la tradizionale idea di sostenibilità economica portarono il numero di produzioni in un anno negli Stati Uniti (il principale mercato del mondo per produzione ed esportazione) da 400 nel 2015 a 600 l’anno scorso. Già proprio nel 2015 l’allora general manager del network FX John Landgraf coniò il termine “peak tv” per identificare un periodo in cui si produce più di quello che si può guardare. Ma oggi c’è accordo quasi totale tra gli addetti ai lavori che sia in arrivo un taglio nelle produzioni.

Le cause stanno nei cambiamenti nell’economia e in un previsto aumento dei costi di produzione dovuto ai nuovi contratti con i quali gli sceneggiatori sono usciti dallo sciopero, e a quelli probabilmente equivalenti con i quali usciranno gli attori. In un certo senso questi tagli sono già iniziati ma gli effetti si vedranno più chiaramente a partire dal 2024. Si produrranno meno serie e quelle che verranno prodotte saranno più economiche e rivolte a un pubblico più ampio, quindi più semplici e accessibili.

Che quello di produrre serie costose per un pubblico di nicchia sia stato proprio un modello di business lo ha confermato in un’intervista al New York Times Roy Price, tra il 2014 e il 2017 capo degli Amazon Studios (la divisione produttiva del gruppo), che aveva contribuito a fondare nel 2010 e che aveva lasciato in seguito ad accuse di molestie. «Ad Amazon lanciammo Transparent, Fleabag e La fantastica signora Maisel. Gli obiettivi erano attenzione e plauso – e funzionò. Nel 2015 Transparent fu la prima serie in streaming a vincere un Golden Globe per la miglior serie. Nel 2021 furono le piattaforme ad aggiudicarsi la maggioranza delle nomination per serie di commedia o drammatiche agli Emmy, con Ted Lasso (Apple TV+) e The Crown (Netflix) che poi quei premi li vinsero. Eppure nessuno di questi programmi ha mai raggiunto un pubblico paragonabile a quello dei successi delle tv tradizionali come The Big Bang Theory o Ballando con le stelle [Dancing With The Stars in originale]».

Oggi il modello economico che aveva reso possibile quelli che sono considerati i migliori esempi di narrazione televisiva è arrivato alla fine. Nel 2022 per la prima volta le piattaforme in streaming hanno attirato più spettatori dei canali via cavo o tradizionali, eppure Netflix ha perso abbonati nella prima parte dell’anno e Paramount, Disney e Universal hanno nel complesso perso 8,3 miliardi di dollari. Rispetto a perdite paragonabili registrate negli anni passati ora la differenza è che i titoli in borsa ne risentono. Se prima la crescita degli abbonati era sufficiente, ora infatti quello che viene chiesto dagli investitori è qualcosa di più tradizionale: i profitti. Per raggiungerli il gruppo Warner Bros. Discovery ha cancellato diverse serie e alcune le ha proprio rimosse dalla sua piattaforma, Max, per minimizzare i costi. Lo stesso sta facendo Disney+ e anche Prime Video ha rivisto il proprio budget per la produzione di serie tv, all’interno di una più generale politica di Amazon di contenimento dei costi.

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Anche le piattaforme di streaming, che continuano a essere il futuro della fruizione televisiva, sempre di più si comportano come i vecchi canali televisivi, inseguendo un’ottimizzazione dei costi e un incremento dei ricavi. Nonostante fossero nate e abbiano promesso per anni di cambiare tutto e portare un nuovo modello per la tv, fatto di contenuti  di alta qualità, a prezzi bassi e per tutti senza pubblicità, ora sono orientati all’esatto opposto. Quasi tutte hanno introdotto un livello di abbonamenti con pubblicità e chi non lo ha ancora fatto ha annunciato che lo farà. Quasi tutte hanno alzato il costo degli abbonamenti e sembra che continueranno a farlo. Quasi tutte hanno smesso da tempo di cercare di produrre serie audaci e complesse. La prossima era della televisione, di cui viviamo i primi anni, sarà secondo gli esperti quella del ritorno del vecchio modello, o quantomeno di qualcosa di simile, e dello sfruttamento di quello che ha avuto successo in passato.

Le case di produzione (cioè le società che le serie le inventano e poi le realizzano dopo averle proposte a un canale o una piattaforma che accetta di finanziarle) spesso raccontano come gli stessi committenti che prima chiedevano qualcosa di coraggioso oggi vogliano prodotti sicuri e adatti al grande pubblico. Anche i canali che avevano costruito un business intorno all’idea di serie di prestigio sono diventati altro, spinti a seguire economie di scala e a crescere sempre di più, il che significa attirare un pubblico più ampio, cosa per la quale è necessaria una programmazione buona per tutti e quindi con un carattere più vicino alla televisione generalista.

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Anche la divisione italiana di Netflix, alla presentazione delle produzioni italiane che saranno sulla piattaforma nel prossimo anno, ha annunciato insieme a progetti più audaci partiti da tempo, come Supersex (su Rocco Siffredi con Alessandro Borghi) o Il gattopardo e nuove stagioni di serie che sono andate bene (La legge di Lidia Poët), novità affini ai generi della tv tradizionale, come il sentimentale o la commedia, o adattamenti di successi letterari (Fabbricante di lacrime). Non più film o serie noir e di crimini, che avevano dominato la fase in cui, alcuni anni fa, la tv italiana aveva attraversato una fase di grandi cambiamenti (per esempio con Gomorra, Suburra o Il miracolo). L’unica novità che andrebbe in quella direzione è Suburræterna, uno spin-off della serie Suburra dedicato al personaggio di Spadino, cioè lo sfruttamento di un vecchio successo.

A contribuire alla sensazione di essere al termine di un’era per la tv c’è il fatto che molte delle ultime produzioni considerate complicate, sofisticate e costose quest’anno sono terminate o stanno per terminare. È successo a La fantastica signora Maisel, a Succession e succederà a Stranger Things (che però è anche un grande successo di pubblico) e a The Crown. Nulla di ciò che invece è iniziato negli ultimi anni sembra poter prendere il loro posto. I successi di critica come Severance, The Bear o Bad Sisters sono ancora agli inizi e non sembrano così solidi nella continuità, inoltre non sono serie ad alto budget ma produzioni più piccole con un successo contenuto.

Quello su cui c’è accordo è che il posto di quelle serie costose sarà preso da produzioni sviluppate a partire da proprietà intellettuali, cioè marchi, titoli, universi narrativi o anche solo personaggi già esistenti (i vecchi successi o successi su altri media). Si tratta di adattamenti di fumetti o di libri, di altri film, quindi prequel, sequel, remake, spin-off e via dicendo. Sono diversi anni che lo si è iniziato a vedere e non è stato per forza sinonimo di prodotti scadenti. Serie tv molto amate come Better Call Saul o Andor e The Mandalorian sono sequel, prequel o spin-off di marchi conosciuti come Breaking Bad o Star Wars, e lo stesso vale per Velma (dedicata a uno dei personaggi di Scooby Doo) o Mercoledì (un membro della famiglia Addams). And Just Like That… riprende i personaggi di Sex And The City, The Conners è lo spin-off della sit-com anni ‘90 Pappa e ciccia, la serie Weeds tornerà come anche Nurse Jackie (entrambe erano andate in onda nella loro prima versione tra il 2005 e il 2015). Anche qualcosa di molto tradizionale come Matlock, una serie avvocatizio/investigativa andata in onda tra il 1986 e il 1995, tornerà con Kathy Bates nel ruolo principale.

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Per quanto il concetto di qualità abbia un significato che cambia col tempo, molti esperti ritengono che la coincidenza di produzioni ad alto budget e alta qualità pensate per un pubblico limitato non siano più possibili, almeno non più nella quantità a cui siamo stati abituati. Una delle serie ritenute migliori dell’anno scorso, The Last of Us, è un buon esempio di quale potrebbe essere il futuro della produzione di qualità a budget alto, perché è l’adattamento dell’omonimo videogioco e vista la fama del suo marchio è stata anche un successo annunciato. Al contrario Gli anelli del potere, serie ambientata nel mondo di Il Signore degli Anelli e quindi tratta dagli scritti di J. R. R. Tolkien, è stata la più costosa di sempre ma non ha avuto il successo che Amazon si attendeva. Invece di essere considerata audace e per pochi in senso positivo, come fu Il trono di spade alla sua prima stagione, è stata considerata un flop.

Un’altra conseguenza dei cambiamenti in atto sarà una riduzione nel numero delle società di produzione. Secondo Screen International, che ha sentito diversi produttori che lavorano con le televisioni, non solo caleranno in generale i budget, il numero di produzioni e i salari per le troupe e i creativi, ma anche le compagnie che al momento producono, perché la contrazione nella spesa porterà a dei cambiamenti nel sistema di finanziamento. Per esempio secondo Meldal-Johnsen, della società di produzione e distribuzione britannica ITV Studios, si sta andando verso una maggiore domanda di serie ottimiste, dal gran ritmo e d’azione, oltre alle produzioni true crime.

Un buon esempio sono due serie che hanno raccolto molte lodi nell’ultimo anno come Abbott Elementary e Jury Duty, molto simili per genere, gusto e tipo e dimensioni di pubblico alle produzioni pre-2000, fatte di sit-com e episodi autoconclusivi. È questo il tipo di programmazione su cui sempre di più scelgono di investire canali e piattaforme con bilanci in perdita e in alcuni casi un numero di abbonati in calo. Questo non porterà alla fine della parte più autoriale della produzione televisiva, ma è probabile che questa non dominerà più le conversazioni come in passato e sarà più complicata da trovare. I canali e le piattaforme avranno comunque bisogno di prodotti che possano fare da bandiera e vincere premi, ma non ci potranno investire come prima.

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Come per la trasformazione del modello di business delle piattaforme in quello dei vecchi canali televisivi, è probabile che anche le serie che proporranno somiglieranno, quantomeno nel pubblico per cui saranno pensate, a quelle di oltre venti anni fa. Secondo uno sceneggiatore che ha voluto rimanere anonimo e le cui parole sono state riportate dalla testata di settore Vulture «tutti i committenti sono tornati a cercare prodotti di alta qualità ma per un ampio pubblico. Qualunque piattaforma di streaming oggi sarebbe entusiasta all’idea di poter ricreare l’era di serie come The West Wing, E.R., Friends o Seinfeld, magari con qualche nudo in più e qualche parolaccia».