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  • Mercoledì 11 ottobre 2023

La rivolta nella più grande prigione del Paraguay

Un gruppo di detenuti appartenenti a una gang criminale ha preso in ostaggio diversi agenti di polizia, tutti liberati dopo quindici ore

Detenuti sul tetto del carcere di Tacumbú (AP Photo/ Jorge Saenz)
Detenuti sul tetto del carcere di Tacumbú (AP Photo/ Jorge Saenz)
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Tra martedì e mercoledì c’è stata una grossa rivolta nel carcere di Tacumbú di Asunción, la capitale del Paraguay. Un gruppo di detenuti affiliati alla gang criminale Clan Rotela si è scontrato con le forze dell’ordine e ha preso in ostaggio ventidue agenti della prigione, la più grande del paese, per poi liberarli dopo 15 ore. La situazione si è risolta grazie a un accordo con il governo: «Abbiamo ristabilito l’ordine», ha detto in una conferenza stampa il presidente del Paraguay, Santiago Peña.

La rivolta era cominciata martedì sera. Alcuni detenuti avevano dato fuoco a diversi materassi all’ingresso del carcere per bloccare l’accesso delle forze dell’ordine, mentre altri erano saliti sul tetto, da dove avevano cominciato a lanciare sassi contro la polizia in assetto antisommossa schierata sul perimetro dell’edificio. Nel frattempo il direttore della prigione, Luis Esquivel, aveva detto a una radio locale di essere stato preso in ostaggio assieme a 21 poliziotti (il numero è stato confermato dalle autorità del paese dopo la loro liberazione). Negli scontri tra polizia e detenuti sono stati feriti due agenti.

Esquivel ha detto che i detenuti avevano presentato tre richieste: la garanzia che la polizia non irrompesse nel carcere, che non ci sarebbero state ripercussioni per la rivolta, e che nel carcere venissero ammessi nuovi detenuti. Il carcere ospita quasi 3mila persone ed è già gravemente sovraffollato, ma secondo i media locali il Clan Rotela spererebbe che l’invio di nuovi detenuti appartenenti all’organizzazione possa aumentare la propria influenza.

La gang prende il nome dai fratelli Óscar e Armando Javier Rotela, che l’hanno fondata: controlla buona parte del traffico di droga in Paraguay e di fatto controllava la prigione già prima della rivolta. Lo scorso 2 ottobre il ministro della Giustizia, Ángel Barchini, aveva annunciato di voler riportare la prigione sotto il controllo delle forze dell’ordine, ed è questa una delle possibili cause della rivolta.

Al momento non è chiaro con che tipo di accordo si sia risolta la situazione. Peña ha riconosciuto che il carcere di Tacumbú è sovraffollato e ha precisato che solo 1.100 detenuti ci si trovano perché hanno ricevuto una condanna, mentre circa 1.600 sono lì in attesa di processo. È una situazione che ha definito «complessa» e per la quale a suo dire è necessario «trovare soluzioni altrettanto complesse». Il presidente ha specificato che «non si può sfruttare l’insufficienza degli agenti carcerari come pretesto per cedere alle richieste delle persone private della loro libertà».

Il Paraguay non è l’unico paese dell’America Latina ad avere problemi nel suo sistema carcerario. Nelle carceri dell’Ecuador si verificano di frequente scontri violenti tra bande rivali o tra detenuti e forze dell’ordine. In Venezuela 11mila poliziotti e soldati sono stati schierati per riprendere il controllo di una prigione controllata per anni dai detenuti, che al suo interno avevano costruito una piscina, uno zoo e una discoteca.

– Leggi anche: La prigione del Venezuela gestita per anni da un gruppo criminale