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  • Giovedì 5 ottobre 2023

L’Iran e il caso di Armita Geravand

La storia dall'inizio della ragazza di 16 anni in coma da domenica, forse dopo essere stata picchiata in metropolitana dalla polizia iraniana perché non indossava l'hijab

(AP Photo/Iranian state television)
(AP Photo/Iranian state television)

Negli ultimi giorni diversi attivisti iraniani e gruppi per la difesa dei diritti umani hanno accusato il governo dell’Iran di aver picchiato una ragazza di 16 anni, Armita Geravand, che poi è entrata in coma. Secondo gli attivisti, Geravand sarebbe stata presa di mira perché non indossava l’hijab, il velo islamico: è una vicenda che richiama la storia di Mahsa Amini, ragazza curda di 22 anni morta nel settembre del 2022 poco dopo essere stata arrestata a Teheran perché non indossava correttamente il velo. Alla morte di Amini erano seguite proteste molto intense in Iran, tanto che a un certo punto si era parlato di una possibile «rivoluzione» contro il regime autoritario e teocratico iraniano, che però alla fine era stata repressa con la violenza.

Non è chiaro cosa sia successo a Geravand, ma qualcosa si vede da un video di sicurezza diffuso mercoledì dalle autorità iraniane.

Nella mattinata di domenica 1° ottobre Geravand era salita a capo scoperto sulla metropolitana a una fermata nella zona sud di Teheran, la capitale dell’Iran, insieme ad altre due ragazze. Dal video si vede che un attimo dopo una delle due altre ragazze fa un passo indietro, scendendo dal treno e piegandosi in avanti (la visuale è coperta per la presenza di un uomo). Dopo qualche secondo Geravand viene trascinata fuori dal treno da alcuni passeggeri, apparentemente svenuta, e poi portata via in barella. Da quel momento è in coma, supervisionata da agenti di sicurezza nel reparto di terapia intensiva di un ospedale militare.

Non si sa però cosa sia successo perché le autorità non hanno diffuso immagini o video di quello che è successo dentro al treno, tra il momento in cui Geravand ci è salita e il momento in cui è stata trascinata fuori.

Secondo varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che hanno parlato tra gli altri con ReutersBBC, Geravand sarebbe stata picchiata dalla polizia perché non indossava l’hijab, in violazione della legge che ne prevede l’obbligo per tutte le donne che si muovono negli spazi pubblici. Due attivisti hanno detto a Reuters che all’interno del vagone c’è stato uno scontro tra la ragazza, che non portava il velo, e alcuni agenti di polizia, mentre la radio olandese Zamaneh ha citato una fonte anonima secondo cui Geravand sarebbe stata spinta all’interno del vagone dalla polizia, e avrebbe poi battuto la testa contro una struttura in metallo.

Le autorità hanno negato questa ricostruzione, sostenendo che Geravand sia svenuta a causa di un calo di pressione. In un video diffuso dall’agenzia di stampa statale anche i genitori di Geravand sostengono questa versione, dicendo che la figlia ha avuto un «incidente»: la coppia però sembra molto confusa, e secondo gli attivisti il video è stato fatto sotto coercizione.

Della questione si è parlato molto anche perché la storia di Geravand, se confermata, è molto simile a quella di Mahsa Amini, picchiata dalle autorità per non indossare correttamente il velo: in quel caso dalla polizia religiosa iraniana, il corpo che si occupa di far rispettare le rigide regole di morale e decoro. Amini morì in carcere il 16 settembre del 2022, con tutta probabilità a causa delle percosse ricevute.

La morte di Amini provocò grosse proteste in tutto il paese, che durarono oltre quattro mesi. Fu una situazione sostanzialmente inedita per l’Iran, dove il governo è controllato da un regime estremamente conservatore guidato da religiosi sciiti. Il regime reagì con una repressione terribilmente violenta: si stima che oltre 500 manifestanti siano stati uccisi negli scontri, migliaia feriti, almeno 20mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione. Sette degli arrestati sono stati condannati a morte, per impiccagione.

Per quanto grandi e partecipate, le proteste dello scorso anno non sono riuscite a cambiare il sistema politico iraniano, e anche le poche concessioni fatte dal regime sono state solo temporanee. La repressione ha messo fine alle manifestazioni pubbliche, e ha trasformato la tentata rivoluzione in un movimento di resistenza, portata avanti soprattutto dalle donne che ancora oggi nelle città più grandi continuano a girare senza velo. Anche gli arresti, le sanzioni e le intimidazioni da parte del governo sono sempre continuate, diventando anzi più dure e arbitrarie, principalmente con l’obiettivo di scoraggiare eventuali nuove rivolte.

– Leggi anche: In Iran la tentata rivoluzione si è trasformata in resistenza

Anche a causa dell’atteggiamento sempre meno permissivo del governo, sembra improbabile oggi che vengano organizzate grosse manifestazioni pubbliche. Nel caso di Amini, le proteste erano iniziate subito dopo la morte della ragazza. Geravand è in coma da domenica mattina, ma al momento non si hanno notizie di proteste organizzate a Teheran o in altre città del paese. Gli attivisti e i giornalisti stanno protestando e chiedono chiarezza al governo, ma per ora lo fanno principalmente tramite i social media.

Dall’altro lato, il governo iraniano si sta muovendo per evitare che vengano diffuse ulteriori informazioni su Geravand, e soprattutto che comincino nuove proteste come accaduto nel caso di Amini. Un sindacato degli insegnanti iraniano ha detto che un dirigente del ministero dell’Educazione ha visitato la scuola superiore frequentata da Geravand, minacciando i suoi compagni di classe e dicendo agli insegnanti che se avessero parlato della ragazza sarebbero stati licenziati. Inoltre l’ospedale in cui si trova Geravand è costantemente sorvegliato da molti agenti, e l’intero reparto è stato chiuso al pubblico. Lunedì le autorità hanno momentaneamente arrestato una giornalista del quotidiano locale Sharq che era andata all’ospedale per capire meglio cosa fosse successo.