Moondog, il compositore e “vichingo della Sesta strada”

Tra gli anni '50 e '60 Louis Thomas Hardin fu un'attrazione locale a New York e un inventivo musicista ammirato dai più grandi

Moondog all'incrocio tra la Sesta strada e la 53esima nel 1969. (AP Photo/Anthony (Tony) Camerano )
Moondog all'incrocio tra la Sesta strada e la 53esima nel 1969. (AP Photo/Anthony (Tony) Camerano )
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Venerdì è uscito Songs and Symphoniques: The Music of Moondog, album dedicato al musicista, poeta e compositore statunitense Louis Thomas Hardin, che in vita fu conosciuto soprattutto con lo pseudonimo “Moondog” e che fu un personaggio leggendario nella New York degli anni Cinquanta e Sessanta, per le cui vie si aggirava vestito come un vichingo diventando una specie di attrazione locale. La maggior parte delle persone non immaginava che quel signore eccentrico e cieco – perse la vista da ragazzo in un incidente – fosse un compositore stimato dai più grandi musicisti suoi contemporanei, da Charlie Parker a Philip Glass.

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Il disco è stato realizzato dalla Ghost Train Orchestra, un collettivo di musicisti jazz di New York, con la collaborazione del quartetto d’archi californiano Kronos Quartet, che hanno riadattato diversi brani composti da Moondog tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Hanno partecipato anche la cantautrice statunitense Joan Wasser, conosciuta come Joan as Police Woman, il cantautore canadese Rufus Wainwright e Jarvis Cocker, cantante del gruppo rock britannico dei Pulp.

In un’intervista data al Guardian, il fondatore della Ghost Train Orchestra Brian Carpenter si è definito un «evangelista» dell’arte di Moondog e ha detto di sperare che l’album possa far conoscere «la gioia e la meraviglia della sua musica» al maggior numero di persone possibile.

Moondog rimane perlopiù sconosciuto fuori dalla nicchia degli appassionati di jazz e di musica colta, ma il suo lavoro è molto apprezzato dalla critica. In vita, però, non fu mai preso troppo seriamente come compositore. Negli anni Novanta il critico musicale britannico Kenneth Ansell scrisse che, sebbene jazzisti famosi come Count Basie e Charlie Parker apprezzassero la sua musica e le sue intuizioni, Moondog era molto poco considerato dalla «ortodossia classica». Nel 2007, intervistato dal New York Times, il violoncellista statunitense Robin Boomer disse: «La maggior parte delle persone che conosco nel mondo della musica classica non conosce affatto Moondog. Non è entrato a far parte del canone».

Probabilmente la portata del suo lavoro fu sottostimata anche per via dello stile di vita che conduceva: per una trentina d’anni, dal 1943 fino al 1974, Moondog visse a New York, dove si esibì come artista di strada. Era conosciuto come il “vichingo della Sesta strada”: veniva chiamato così per via del suo abbigliamento eccentrico, ispirato alla mitologia nordica (di cui era un grande appassionato), e del punto della città dove era più facile incontrarlo. A questo proposito il giornalista musicale Robert Scotto, autore del libro Moondog: The Viking of 6th Avenue, ha raccontato che, negli anni Sessanta, le persone che si trovavano a visitare New York si facevano «portare all’incrocio tra la Sesta strada [la Sixth Avenue, uno dei viali che attraversano da nord a sud Manhattan] e la 53esima strada [la 53rd Street, una delle vie perpendicolari alle Avenue]», a Manhattan: sapevano che lo avrebbero trovato proprio lì, nel punto che poliziotti e tassisti conoscevano come “Moondog’s Corner”.

Moondog sulla Sesta strada nel 1953. (AP Photo)

Indossava spesso una lunga tunica nera e un elmetto con le corna, dei chiari richiami all’iconografia norrena. Per mantenersi, Moondog vendeva ai passanti i suoi dischi e i suoi libri di poesie, passanti che il più delle volte erano ignari della sua attività da compositore. Spesso Moondog veniva scambiato erroneamente per una persona senza dimora: in realtà, come scrive Scotto nel suo libro, dopo aver trascorso qualche mese in casa del compositore Philip Glass, ammiratore della sua musica, visse per diversi anni in un appartamento nella parte settentrionale di Manhattan, e dal 1972 al 1974 in una piccola tenuta nella campagna di Candor, vicino a New York.

Moondog era conosciuto anche con il soprannome di “blind poet”, poeta cieco: nel 1932, quando aveva 16 anni, perse la vista raccogliendo per sbaglio un candelotto di dinamite. Questo lo costrinse a comporre le sue canzoni in braille (un sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo per persone cieche e ipovedenti). Per la sua carriera, l’utilizzo di questo sistema fu un ostacolo: il braille era infatti molto complesso da trascrivere in notazione tradizionale, e questa circostanza portò spesso le case discografiche a disinteressarsi alla sua musica.

Una delle particolarità che stupivano i passanti che si trovavano a incrociare Moondog a Manhattan era la sua strana strumentazione. Utilizzava strumenti poco convenzionali, che faceva costruire da liutai e artigiani secondo indicazioni precise, come la “trimba” (una specie di tamburo triangolare studiato per essere suonato sul marciapiede) e la “OO” (una piccola arpa triangolare a 25 corde). Un’altra caratteristica era quella di integrare nella sua musica suoni “ambientali”, come rintocchi di campane, clacson, rumori della metropolitana, sirene della polizia e versi di animali, dalle rane ai cani.

Moondog e alcuni degli strumenti che inventò, sulla 57esima Strada a New York nel 1953. (AP Photo/Dan Grossi)

La riluttanza di critica e addetti ai lavori, però, non era dovuta soltanto alla sua estetica da “santone”, ma anche alla musica che Moondog produceva, poco convenzionale per il panorama discografico del tempo. Catalogare Moondog come musicista è difficile: viene spesso considerato un esponente della cosiddetta “outsider music”, definizione coniata dal giornalista statunitense Irwin Chusid per descrivere un insieme di generi che si distaccano dagli standard o dalle convenzioni di un determinato periodo storico. Le influenze musicali di Moondog erano eterogenee e distanti tra loro. Nel corso della sua carriera ibridò stili e generi diversi come la musica classica (Bach, Mozart, Wagner e Beethoven in particolare), jazz, bebop, swing, rumba, modernismo e musica rinascimentale. Moondog trasse ispirazione anche dalla musica rituale degli indiani d’America: quando era bambino suo padre lo portò ad assistere ad alcuni “pow wow”, gli incontri rituali dei nativi americani. In quelle occasioni subì il fascino dei loro ritmi tribali, elementi che torneranno spessissimo nelle sue composizioni. Tra le altre cose, Moondog inventò un suo tempo percussivo, il cosiddetto “snake time”, ispirato ai movimenti striscianti dei serpenti.

Tentando di descrivere il suo stile compositivo, il giornalista musicale Federico Sardo ha scritto sul Tascabile che quella di Moondog «è sicuramente musica eccentrica», una musica «che mischia suoni della città e della natura, contrappunti di Bach e ritmi dei nativi americani» e «incorpora il jazz più di avanguardia». Il critico musicale Piero Scaruffi ha invece scritto che «nonostante l’umiltà di mezzi e di intenti, l’arte di questo eccentrico autodidatta precorse tanto la world music (danze orientali, ritmi cubani) quanto la musica concreta (suoni della natura) senza mai abbandonare una certa qual aulicità, quel voler essere musica “classica” a tutti i costi», e che «la grandezza di questo sta quindi soprattutto nell’aver saputo conferire dignità musicale ad ogni possibile rumore, dal fischietto di un poliziotto al verso di una rana, dal dialogo di due persone alla cantilena di una bambina, dal jazz delle big band ai concerti di Bach».

Nato il 26 maggio del 1916 a Marysville, in Kansas, era figlio di un pastore della Chiesa Episcopale americana (di cui ereditò il nome: Louis Thomas Hardin) e di Norma Alves, un’insegnante. Cominciò a entrare in contatto con la musica giovanissimo: sua madre suonava l’organo durante le funzioni della domenica, e stando a quanto raccontato da lui stesso a 5 anni iniziò a suonare una batteria improvvisata, costruita con alcune scatole di cartone trovate in casa, sviluppando precocemente un certo senso del ritmo.

Nel 1922 visitò con il padre una riserva degli Arapaho, una tribù di nativi americani che abitavano storicamente le Grandi Pianure del Colorado e Wyoming: in quell’occasione rimase colpito dalle sequenze ritmiche che i nativi erano in grado di creare suonando le percussioni, sequenze che torneranno spesso nella sua musica.

Nel 1943 si trasferì a New York, dove ebbe modo di conoscere musicisti classici come Leonard Bernstein e Arturo Toscanini e jazzisti come Charlie Parker e Benny Goodman. La sua carriera cambiò qualche anno dopo: la postazione in cui Moondog si esibiva non era troppo distante dalla Carnegie Hall, un’importante sala da concerti, e questa circostanza fece sì che diversi musicisti della Filarmonica di New York abbiano finito per assistere alle sue esibizioni, tra cui il direttore d’orchestra Artur Rodzinski. Notando le sue doti, Rodzinski lo invitò ad assistere alle prove, chiedendogli tra le altre cose di lavorare a un’opera orchestrale. Il problema era che preparare la musica per un’intera orchestra era faticoso: aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a trascrivere le parti sugli spartiti, e all’epoca non poteva permetterselo.

Nel 1947 Rodzinski andò a dirigere l’orchestra sinfonica di Chicago, e per Moondog continuare a frequentare l’ambiente della Filarmonica divenne complicato, soprattutto per una questione di immagine: non tutti vedevano di buon occhio le tuniche nere e gli elmi cornuti che indossava. «Ho ricevuto molte offerte da persone che dicevano che mi avrebbero aiutato ma che dovevo vestirmi in modo convenzionale», raccontò Moondog negli anni Ottanta. «Ma davo valore alla mia libertà di vestire più di quanto mi importasse della mia carriera di compositore».

Moondog a Manhattan nel 1969. (AP Photo/Anthony (Tony) Camerano)

Nel 1974 Moondog si trasferì in Germania, un paese che aveva idealizzato per via delle sue credenze religiose legate alla mitologia norrena. Qui incontrò Ilona Goebel, una studentessa tedesca che ebbe un ruolo importante nelle fasi finali della sua carriera. Goebel ospitò Moondog nella casa della sua famiglia e si prese cura di lui: tra le altre cose, trascrisse tutta la sua musica dal braille alla notazione tradizionale e diventò la sua agente, produttrice, editrice. Sardo scrive che, grazie a Goebel, «per la prima volta Moondog si fa portare via i “vestiti da matto” e accetta una vita un po’ più lineare: un tetto sopra la testa, una tavola dove mangiare. Si concentra sulla scrittura per ensemble, ma non perde la sua vena artistica creativa e peculiare, e anche nei suoi dischi “tedeschi” riesce a fare convivere classica e avanguardia, jazz e folk, scale orientali e ritmi caraibici».

In Germania Moondog continuò a comporre e a esibirsi dal vivo: il suo ultimo concerto si tenne nell’agosto del 1999 in Francia, al Mimi Festival di Arles. Dopo quell’esibizione le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente: morì l’8 settembre di quello stesso anno a Münster, in Germania.

Dopo la sua morte fu riscoperto negli ambienti più disparati: un suo brano, “Stamping Ground”, fa parte della colonna sonora del Grande Lebowski, film dei fratelli Coen, e la sua musica fu inserita in diversi spot pubblicitari. Diversi artisti citano Moondog come un’influenza importante, dai Mars Volta ai Portishead. “Get a Move On”, il pezzo più noto del produttore britannico Mr. Scruff, si basa su un campionamento di “Bird’s Lament”, un brano contenuto in Moondog, forse il suo disco di maggior successo. Il “Bird” del titolo è proprio Charlie Parker.

A Moondog è stata dedicata anche una serie a fumetti scritta e disegnata da George Metzger tra il 1970 e il 1980: si intitola Moondog e, non a caso, ha per protagonista uno sciamano cieco.