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  • Lunedì 25 settembre 2023

Per alcune città italiane la tassa di soggiorno vale una fortuna

La chiedono sempre più comuni e gli incassi sono in aumento nonostante gli arrivi siano inferiori rispetto al 2019

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Il Colosseo (AP Photo/Andrew Medichini)
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Nel 2023 molte città italiane incasseranno più soldi dalla tassa di soggiorno rispetto allo scorso anno nonostante in molte regioni gli arrivi e le presenze siano in calo rispetto al 2022 e soprattutto rispetto al 2019, l’anno prima della pandemia, preso a riferimento dal settore turistico per capire come stanno andando le cose oggi. Secondo un’indagine dell’osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno pubblicata dal Sole 24 Ore, quest’anno il gettito totale sarà di 702 milioni di euro, il più alto mai registrato: il record si spiega con l’aumento del numero di comuni che hanno introdotto la tassa e con la crescita degli importi chiesti ai turisti, adeguati all’aumento del costo della vita.

La tassa di soggiorno in realtà non è una tassa, ma un’imposta. Le tasse vengono pagate dalle persone in cambio di un determinato servizio – per esempio la tassa di occupazione di suolo pubblico – mentre le imposte sono un prelievo nei confronti di tutti i contribuenti, come accade con l’IRPEF, l’imposta pagata in base al reddito. La tassa di soggiorno è un’imposta perché viene pagata da tutti i turisti che decidono di soggiornare in una città in base alle loro esigenze e preferenze. Anche se tecnicamente sbagliato, il nome tassa di soggiorno è il più diffuso e viene utilizzato anche dalla comunicazione istituzionale.

La versione attuale dell’imposta fu introdotta nel 2011 grazie alla legge sul federalismo fiscale che consentì ai comuni di riscuoterla e soprattutto di deciderne le regole. Nel 2011 la chiedevano soltanto 11 comuni, oggi sono 1.013. La crescita più significativa è avvenuta tra il 2017 e il 2018 quando i comuni con la tassa di soggiorno passarono da 746 a 901.

La legge nazionale fissa soltanto alcuni principi generali come la destinazione del ricavato, riservato esclusivamente a investimenti legati al turismo, e le soglie di pagamento. I comuni possono chiedere al massimo 5 euro al giorno a chi soggiorna nelle strutture alberghiere più lussuose, come gli alberghi a 5 stelle.

Nella legge di bilancio approvata alla fine dello scorso anno, tuttavia, è stata approvata una norma per alzare la soglia massima da 5 a 10 euro al giorno, valida solo per le città che hanno un numero di presenze turistiche venti volte superiore rispetto alla popolazione media del triennio tra il 2017 e il 2019. I dati rilevati dall’ISTAT dicono che soltanto cinque città possono sfruttare questa possibilità: Rimini, Venezia, Verbania, Firenze e Pisa. Firenze lo ha già fatto alzando il tetto a otto euro. Roma, che ha approfittato di una legge approvata appositamente per la capitale, a luglio ha approvato aumenti generali con un picco di 10 euro al giorno per gli alberghi a 5 stelle.

Già ora Roma è la città che incassa di più dalla tassa di soggiorno, circa 120 milioni di euro all’anno, un primato destinato a consolidarsi nei prossimi anni. L’assessore al Turismo, Alessandro Onorato, ha stimato che con l’aumento deciso in estate e operativo da ottobre il gettito arriverà a 180 milioni di euro all’anno. Nei primi sei mesi del 2023 Milano ha incassato 28,9 milioni di euro (lo scorso anno erano stati 19,2 nello stesso periodo), Firenze 24,7 milioni, Venezia 15,1, Napoli 7,4, Bologna 5,8, Torino 4,7, Verona 2,4.

Grazie a Roma, il Lazio è la regione con il gettito più alto, 138,7 milioni di euro nel 2022. Al secondo posto c’è il Veneto con 80 milioni di euro, al terzo la Lombardia con 72,7. Le regioni del Sud, dove il turismo è concentrato prevalentemente nei mesi estivi, sono in posizioni più basse: la Campania è settima con 38,7 milioni, la Sicilia ottava con 22,2 milioni di euro.

Anche se il gettito dovrebbe essere usato solo per investimenti legati al turismo, per molte città, e soprattutto nei comuni più piccoli, i soldi incassati sono essenziali per chiudere il bilancio in pareggio. Per questo la tassa viene utilizzata non solo per la promozione del territorio. Vengono finanziati eventi di tutti i tipi, non solo turistici, oppure in un’interpretazione ancora più estensiva vengono sistemate le strade, le reti idriche e altri servizi sfruttati solo in parte dai turisti. Non essendoci controlli su come i soldi vengano spesi, di fatto queste entrate sono un modo piuttosto semplice per risolvere difficoltà economiche o buchi di bilancio.

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Il progressivo adeguamento degli importi chiesti ai turisti ha compensato il calo degli arrivi e delle presenze turistiche segnalato negli ultimi mesi dall’ISTAT. Come si può notare dal grafico seguente, negli ultimi dieci anni la crescita del gettito è stata abbastanza graduale e si è interrotta soltanto nel 2020 e nel 2021 per effetto della pandemia. Nel 2022 c’è stata una decisa ripresa, ma il gettito totale è stato inferiore rispetto al 2019, anno che sarà superato dal 2023, almeno secondo le stime dell’osservatorio sulla tassa di soggiorno.

I dati dell’ISTAT relativi ai mesi estivi confermano le preoccupazioni di diverse associazioni di albergatori che tra luglio e agosto avevano segnalato un calo dei turisti, soprattutto italiani. La diminuzione del cosiddetto turismo interno ha molte ragioni, ma in particolare sono successe due cose che potrebbero spiegare questi dati. La prima è che i prezzi in Italia sono cresciuti molto: trasporti, pacchetti venduti dalle agenzie e alloggi sono diventati sensibilmente più costosi rispetto ad altri paesi dell’Europa meridionale come Spagna e Grecia.

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La seconda cosa è che il potere d’acquisto degli italiani si è ridotto, quindi secondo diverse ricerche di mercato si è cercato di risparmiare tagliando sulle vacanze. Secondo il rapporto FragilItalia di Legacoop e Ipsos, diffuso a luglio, il 52 per cento delle persone intervistate ha detto di stare valutando di risparmiare sui viaggi per via dell’aumento del costo della vita. È però complicato stabilire come siano legati l’aumento dei prezzi e la riduzione dei turisti italiani: se cioè la seconda abbia causato in parte la prima, o viceversa. A queste due spiegazioni più economiche se ne potrebbe aggiungere una terza, cioè gli eventi meteorologici estremi. All’inizio di agosto Federturismo segnalava che «le avversità metereologiche e gli incendi divampati potrebbero condizionare le prenotazioni».