Nei font c’è un monopolio

È quello di Monotype, azienda che negli ultimi vent'anni si è ampliata a dismisura

(Markus Spiske/Unsplash)
(Markus Spiske/Unsplash)
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Dai titoli sulle copertine di libri o dischi ai nomi delle strade, dalle scritte sui meme alle parole che escono dalla bocca dei personaggi dei fumetti, ogni lettera o parola stampata da qualche parte (o anche solo visibile su uno schermo) è scritta in un font, parola che designa uno specifico tipo di carattere distinto da un particolare stile grafico, declinata talvolta anche al femminile (“una font”). A progettarli e realizzarli sono i designer, che a volte lavorano ancora per aziende tipografiche indipendenti, grandi o piccole, a cui magari vengono commissionati font personalizzati da grosse aziende. Sempre più spesso, però, i font più usati e richiesti appartengono a una sola società: Monotype Imaging Holdings Inc., nota in precedenza come Lanston Monotype Machine Company.

Fondata da Tolbert Lanston a Washington, nel 1887, la Monotype è stata fin da subito una delle principali protagoniste del mondo della tipografia, progettando tra le altre cose la prima macchina stampatrice completamente meccanica. Il font più famoso che abbia mai prodotto è il Times New Roman, ma negli ultimi decenni ha incorporato moltissime altre fonderie tipografiche, il nome con cui si continuano a indicare le aziende del settore, anche se lavorano esclusivamente per la videoscrittura e quindi non hanno veri stabilimenti in cui si stampa fisicamente qualcosa. Oggi il catalogo di Monotype contiene circa 40mila font, tra cui Arial, Helvetica, Gotham e Palatino.

La sua propensione piuttosto aggressiva alle acquisizioni di tantissime altre aziende del settore ha portato nel tempo molti esperti di tipografia a ritenere che quello dei font sia, sostanzialmente, un monopolio detenuto da Monotype, che grazie alle sue dimensioni definirebbe gran parte delle condizioni di distribuzione e tariffazione del settore. Al punto che nel 2021, dopo l’acquisizione particolarmente inaspettata di Hoefler&Co, una delle poche grandi aziende che ancora Monotype non aveva incorporato, la designer Nina Stössinger definì Monotype «un kraken che si sta mangiando l’intero settore».

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Acquistata da un fondo di investimenti di Boston nel 2004 e quotata in borsa con il nome di TYPE nel 2007, negli ultimi vent’anni Monotype si è allargata moltissimo. Nel 2006 ha acquistato Linotype, che per quasi un secolo era stata la sua principale concorrente, e che aveva sviluppato font come Helvetica e Avenir. Tra il 2010 e il 2014 ha acquistato l’azienda di caratteri digitali Ascender Corporation e la piattaforma FontShop, che possedeva i diritti di utilizzo di più di 2500 font. Nel 2019 l’azienda è stata acquistata da un altro fondo, HGGC: oggi la sua sede è a Palo Alto, in California, e il suo CEO è Ninan Chacko, un manager proveniente dal settore della tecnologia. Nessun designer fa parte del gruppo dirigente dell’azienda.

Negli ultimi anni, oltre ad acquistare le grosse fonderie indipendenti URW Foundry e Hoefler&Co, Monotype ha pagato 50 milioni di dollari per acquistare la società che gestisce MyFonts, una grossa piattaforma che mette a disposizione oltre 250mila font, creati da circa 4.400 aziende indipendenti (formate in molti casi da singoli designer). A confronto, altre piattaforme dove è possibile trovare font, come Creative Market ed Etsy, ne mettono rispettivamente a disposizione 82mila e 5mila. Nel 2021, dopo l’acquisizione di Hoefler&Co, Quartz scriveva che «Monotype ha avuto così tanto successo nel consolidamento del business delle licenze di font che la società ha esaurito le acquisizioni su cui ha senso investire nel segmento di mercato prescelto».

Secondo Charles Nix, un direttore esecutivo di Monotype, l’acquisizione di aziende come Hoefler&Co o MyFonts «rende semplicemente le cose più facili per il cliente», dato che per gli utenti che vogliono scegliere uno o più font è più facile avere a che fare con una singola azienda piuttosto che barcamenarsi tra i contratti di licenza di varie aziende diverse. Ma molte persone che lavorano nel settore sono preoccupate del suo monopolio sia perché soffoca la concorrenza e rende difficile lo sviluppo di modelli di business diversi dal suo, sia perché temono che un conglomerato così mastodontico veda i font soltanto come un modo di fare soldi, e non come la minuziosa opera artigianale e spesso molto personale che rappresenta per molti designer.

Oggi per progettare un font di qualità è necessario avere una comprensione piuttosto solida di arte, programmazione informatica, lingue e design, oltre che una certa pazienza. Per disegnare una famiglia di caratteri c’è spesso bisogno di mesi, se non anni, anche perché ogni singolo carattere viene disegnato in più stili, dal corsivo al grassetto. Bisogna poi tenere a mente questioni fondamentali come la leggibilità dei caratteri e la loro spaziatura.

Chi crea font lo fa spesso innanzitutto perché appassionato di tipografia, ma molti mettono in vendita le proprie creazioni, sia nell’ottica di arrotondare sia come principale fonte di reddito. Alcuni vengono assunti da grandi aziende del settore, altri ottengono commissioni personalizzate, ma nella maggior parte dei casi si tratta di singoli designer che vendono il proprio lavoro attraverso vari canali: il proprio sito web, piattaforme indipendenti come Fontstand o Village, ma soprattutto grandi piattaforme che appartengono ad Adobe Fonts o a Monotype, che raggiungono molti più clienti. Oltre ad avere molti più fondi da investire sul marketing, le grandi piattaforme sono anche molto più brave dei singoli individui a controllare che chi usa i loro font abbia le licenze per farlo.

MyFonts, che è in assoluto la più usata tra queste piattaforme, permette ai singoli designer di stabilire i propri prezzi per i font e di venderli singolarmente o come parte di un pacchetto, per uso singolo o illimitato a seconda degli accordi di licenza. Circa il 55 per cento dei designer che vendono font sulla piattaforma dice di creare font per arrotondare, mentre il 45 per cento dice di guadagnarsi da vivere vendendo font.

Monotype ottiene il 50 per cento di tutti i soldi spesi per acquistare un font su MyFonts, e di recente ha cominciato a promuovere un modello di abbonamento che permette agli utenti di accedere a una libreria di caratteri molto ampia a una tariffa fissa ogni mese. I guadagni vengono poi distribuiti in base a quanto vengono usati, in percentuale, tutti i font di una singola fonderia rispetto al totale.

Le fonderie possono decidere se aderire al programma o meno. Dato che Monotype possiede già gran parte dei font più popolari, però, trae beneficio in modo sproporzionato da questo tipo di abbonamento. «Queste cose funzionano molto bene se sei Helvetica: in tal caso, guadagnerai un sacco di soldi. Se hai un carattere tipografico molto buono che viene utilizzato per l’editoria musicale o la poesia, potresti ottenere pochissimo. Stanno rimettendo i soldi nelle proprie tasche», spiega il professore di tipografia Gerry Leonidas.

Molti, però, non vedono grandi alternative possibili. «Se qualcuno dicesse: “Ehi, Nick, ti ​​daremo una grossa somma di denaro per i diritti sulla tua libreria di font esistente e sulla loro proprietà intellettuale”, non avrei scrupoli», dice Nick Shinn, tipografo a capo di una fonderia indipendente canadese. «Stiamo tutti qui a criticare la concentrazione monopolistica dell’industria e i suoi effetti negativi, ma alla fine quasi tutti i piccoli operatori si svenderebbero per la giusta cifra».

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