I partitini di centro non smettono di contendersi lo scudo crociato

Lo storico simbolo della DC è periodicamente oggetto di dispute legali, l'ultima delle quali ha dato ragione all'Unione di Centro

Una bandiera della Democrazia Cristiana durante i funerali di Stato di Arnaldo Forlani il 10 luglio 2023. (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Una bandiera della Democrazia Cristiana durante i funerali di Stato di Arnaldo Forlani il 10 luglio 2023. (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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Il tribunale di Roma ha chiuso giovedì l’ultima disputa legale riguardo all’utilizzo dello storico simbolo del partito della Democrazia Cristiana (DC), lo scudo bianco con croce rossa accompagnato dalla scritta Libertas, noto come “scudo crociato”. Il giudice ha deciso che il diritto di usare il simbolo resterà all’Unione di Centro del segretario Lorenzo Cesa, che lo ha impiegato negli ultimi vent’anni, respingendo il ricorso del partito della Democrazia Cristiana Sicilia Nuova di Salvatore Cuffaro, detto Totò.

La DC Nuova, come viene chiamata, è una delle tante formazioni politiche che negli ultimi trent’anni si sono presentate come eredi del partito che aveva governato l’Italia dal dopoguerra fino a Tangentopoli. Attualmente in Italia sono attive sei diverse Democrazia Cristiana e le dispute sull’uso del simbolo storico sono ricorrenti. L’ultima volta si pronunciò il Tar del Lazio nell’aprile del 2019, respingendo un ricorso simile della Democrazia Cristiana di Giovanni Fontana, nata nel 2012.

Quella formazione, come quella in cui è entrato Cuffaro e che era nata nel 2017 per iniziativa di Renato Grassi, ha usato lo stesso argomento per rivendicare l’uso dello scudo crociato: secondo la loro interpretazione la Democrazia Cristiana non si è mai realmente sciolta. In entrambi i casi gli atti fondativi dei nuovi partiti sono stati descritti e proposti come una “ripresa delle attività”, cercando anche di recuperare gli iscritti al partito del 1994, data in cui la vera DC cessò le attività. Una sentenza della Corte di Cassazione nel 2010 in effetti stabilì che lo scioglimento del gennaio 1994, completato dall’allora segretario Mino Martinazzoli, non aveva effetto giuridico, ma garantì agli eredi politici, il Partito Popolare Italiano, «la prevalente utilizzazione dello scudo crociato».

Le varie formazioni che si sono dichiarate eredi o continuatrici dell’azione politica della Democrazia Cristiana non sono invece mai riuscite a convincere i giudici della loro legittimità: non è mai stata riconosciuta, insomma, una continuità fra lo storico partito e queste nuove forze politiche. La stessa motivazione compare nel respingimento del ricorso della DC Nuova di Cuffaro, che avrebbe voluto riunire il nome Democrazia Cristiana con lo storico simbolo.

Cuffaro, ex senatore e presidente della Regione Sicilia (2001-2008) con una maggioranza di centrodestra, era stato condannato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia nel 2011. Scontata la pena, ha ripreso l’attività politica e a maggio è stato eletto segretario nazionale dell’associazione Democrazia Cristiana Nuova, dopo i buoni risultati ottenuti dalla formazione in Sicilia. Nelle elezioni regionali del 2022, in coalizione proprio con l’Unione di Centro, aveva infatti ottenuto il 6,5 per cento dei voti, superando la soglia di sbarramento, eleggendo tre deputati all’Assemblea regionale (più due dell’UdC) e ottenendo due assessori nella giunta regionale di centrodestra del presidente Renato Schifani. A gennaio l’europarlamentare ex Lega Francesca Donato, nota per le posizioni no vax e filorusse, aveva aderito alla DC Nuova di Cuffaro.

L’europarlamentare Francesca Donato e Totò Cuffaro. (ANSA/ UFFICIO STAMPA)

Una delle pene accessorie alla condanna di Cuffaro per favoreggiamento alla mafia e violazione del segreto istruttorio (fu ritenuto colpevole di aver avvertito un boss mafioso e un imprenditore indagato per mafia di indagini a loro carico) era l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma a febbraio il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva dichiarato estinta tale pena: Cuffaro potrà quindi ricandidarsi.

Cuffaro ha annunciato che non farà ricorso per la storia dello scudo crociato, ha detto che l’attività della DC Nuova proseguirà con il nuovo simbolo (una bandiera bianca con croce rossa), ma ha invitato tutte le forze che fanno riferimento alla Democrazia Cristiana a riunirsi sotto uno stesso simbolo «per volontà politica».

Lo scudo crociato in un congresso della DC degli anni Cinquanta (ANSA ARCHIVIO)

Lo scudo crociato, un simbolo di origine medievale, fu adottato come simbolo delle forze cattoliche già nel 1919 dal Partito Popolare di don Luigi Sturzo e poi riproposto dalla Democrazia Cristiana dopo la fine del ventennio fascista e della Seconda guerra mondiale. Nella volontà di Sturzo doveva rappresentare sia una difesa dei valori cristiani sia un richiamo all’epoca dei Liberi Comuni medievali italiani e quindi a un decentramento dei poteri.

Il simbolo dello scudo crociato resta insomma all’Unione di Centro, partito fondato nel 2002 dalla fusione fra il Centro Cristiano Democratico di Pier Ferdinando Casini, la Democrazia Europea di Sergio D’Antoni e i Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione. Quest’ultima formazione a sua volta era nata da una scissione all’interno del Partito Popolare Italiano e aveva portato con sé il simbolo storico della Democrazia Cristiana. Per anni Casini è stato il leader politico più riconoscibile dell’UdC, prima di uscire dal partito nel 2016.

Alle ultime elezioni l’UdC ha partecipato alla lista unitaria Noi Moderati, all’interno della coalizione di destra: non ha superato la soglia di sbarramento del 3 per cento, ottenendo una percentuale inferiore all’1. Il segretario Lorenzo Cesa e Antonio De Poli sono comunque entrati in parlamento grazie alle candidature nei collegi uninominali.

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