Chi è famoso su internet non è famoso-famoso
Anche chi ha milioni e milioni di follower raramente è riconosciuto e noto come lo sono popstar e attori: perché?
Prima dei social network diventare una persona famosa e riconosciuta da milioni di persone era piuttosto raro e complesso. Era necessario essere molto talentuosi, molto belli o molto ricchi, e spesso molto fortunati: star del cinema, della musica e della televisione, sportivi o politici particolarmente carismatici, artisti (pochi) o modelli. Nella maggior parte dei casi l’attenzione pubblica riservata a queste persone passava anche dal fatto che i media tradizionali li riconoscevano come celebrità, e ne raccontavano le vite di conseguenza, portando ancora più persone a conoscerli, banalmente, come “gente famosa”.
Negli ultimi quindici anni a questa gente famosa si è affiancata una nuova categoria di donne e uomini, o ragazze e ragazzi, che hanno ottenuto l’attenzione di migliaia o anche milioni di persone, ma online: youtuber e tiktoker, influencer e content creator di tutti i tipi. Nonostante siano seguiti da grandi masse di persone, però, è molto raro che influencer e content creator raggiungano livelli di fama tali da essere considerati celebrità nel senso tradizionale del termine. Molto più spesso rimangono noti solo nella propria nicchia di follower, per quanto grossa, e totalmente sconosciuti al suo esterno: suscitando sguardi confusi, se non derisione, quando per esempio vengono invitati a partecipare a eventi ricollegabili alla fama “mainstream”, come il gala annuale organizzato dal Metropolitan Museum of Art di New York o il festival del cinema di Venezia.
«I content creator rimangono i piccolo-borghesi del mondo dello spettacolo, a prescindere dal fatto che le persone oggi consumano più video online che mai prima d’ora» ha scritto di recente nella sua newsletter W. David Marx, autore del saggio Status and Culture: How Our Desire for Social Rank Creates Taste, Identity, Art, Fashion, and Constant Change. «Anche se internet è diventato lo strumento predefinito per comprendere “la vita reale”, lo status di vera e propria celebrità globale si riceve ancora soltanto apparendo in un film o in un programma tv di punta, entrando in classifica alla radio, o partecipando alle campagne pubblicitarie di grossi marchi internazionali». Un esempio è quello di Justin Bieber, che aveva cominciato pubblicando video in cui cantava canzoni per un provino su YouTube ma è diventato una popstar internazionale solo dopo il lavoro del potente produttore Scooter Braun.
In parte, Marx ritiene che la maggiore importanza data alle celebrità “tradizionali” – come popstar e divi di Hollywood – sia dovuta semplicemente a un certo ritardo nel rendersi conto che istituzioni un tempo molto rispettate e influenti – come, appunto, Hollywood – non abbiano più la centralità culturale di una volta. Gran parte del motivo, secondo lui, sta però nella natura stessa delle piattaforme digitali, per lo meno per come funzionano oggi.
«Perché si sviluppi un certo gusto attorno a un fenomeno, c’è bisogno di un certo grado di elitarismo, perché le persone cercano dei punti di riferimento su cui basare le proprie preferenze per quanto riguarda la cultura», scrive Marx. A lungo questo lavoro è stato svolto dalla riviste, che oltre a trasmettere informazioni al pubblico svolgevano anche un ruolo di legittimazione, scegliendo di dare importanza a un individuo o a un fenomeno rispetto a un altro. Al contrario, le piattaforme digitali si sono sempre rifiutate di ricoprire un ruolo simile. Nel caso di tutti i social network principali, gli algoritmi di raccomandazione che stabiliscono l’ordine in base a cui i contenuti vengono mostrati agli utenti non si basano sui gusti di chi li possiede, ma su ciò che l’algoritmo pensa potrebbe interessare di più all’utente, in base alle grandi moli di dati che possiede.
A questo si aggiunge il fatto che alle persone diventate famose online mancherebbe il fascino delle celebrità, che spesso provengono a propria volta da famiglie molto benestanti o composte a loro volta da personaggi famosi. Al contrario, i social network permettono molto più facilmente anche a persone qualunque di ottenere molta attenzione.
«Questo vuol dire che presumiamo che le celebrità di internet siano dei “signori nessuno” che si sono fatti da sé, e non dei “prescelti” che sono riusciti a convincere produttori o registi delle proprie capacità», scrive Marx. «E a differenza delle vere star, non vediamo questi creator girare con atleti affermati o miliardari nella vita reale. Quindi, finché il fascino viene collegato a potere, denaro e fama pregressa, le star di internet partono svantaggiate». A fare la differenza, in queste circostanze, è la capacità di circondarsi a un certo punto di persone che conoscano il mondo della celebrità e li possano aiutare a muoversi nel modo più scaltro possibile in un settore a cui i creator non sono stati abituati fin da giovani, al contrario di molte celebrità.
– Leggi anche: I più giovani hanno scoperto il nepotismo di Hollywood
In Italia, per esempio, il vettore principale della celebrità è ancora la televisione, un settore in cui è molto difficile entrare se non si hanno conoscenze. «Noi ci troviamo spesso a domandarci se la televisione possa essere il mezzo corretto a cui puntare con i nostri creator: spesso sono loro a dirci che piacerebbe loro fare televisione» dice Helio Di Nardo, amministratore delegato di Show Reel Factory, un’agenzia di management che rappresenta molti influencer e content creator italiani.
«In quei casi, noi chiediamo loro in che programmi si vedrebbero, cosa vorrebbero fare in televisione», continua Di Nardo. «Ma la verità è che c’è poco spazio perché loro solo abituati a creare contenuti molto specifici, pensati per la loro comunità, mentre la televisione è uno spazio generalista che raramente valorizza bei personaggi, a maggior ragione se giovani. Uno che ci è riuscito bene è Frank Matano, che è partito facendo il creator ma si trova bene in tanti contesti diversi. Ma tanti altri vogliono andare in televisione perché hanno il pallino di doverlo fare, anche se il risultato finale non è sempre eccelso».
Secondo lui, la ricerca stessa di un livello di celebrità “generalista” non ha necessariamente senso per tutti i creator. Alcuni sono impreparati all’impatto sulla propria vita personale e quotidiana che viene con l’essere riconosciuti per strada; altri hanno milioni di follower “passivi”, ovvero poco interessati a interagire effettivamente con quello che il personaggio in questione propone. Altri ancora – come per esempio Cristina Fogazzi, nota anche come l’Estetista Cinica – sono interessati più a crescere come imprenditori che come celebrità. Personaggi come Chiara Ferragni, che partendo da un blog di moda è diventata l’influencer italiana più seguita e quest’anno è arrivata a co-presentare il festival di Sanremo, sono considerati poi un caso più unico che raro.
– Leggi anche: Cos’è Webboh, «la Novella 2000 del tremila»
«Per la maggior parte dei creator, il percorso che ha più senso passa certamente da un allargamento delle persone a cui parlano, ma non necessariamente con lo scopo di arrivare a un pubblico generalista», spiega Di Nardo. Negli ultimi anni, infatti, è stato dimostrato che per attirare l’attenzione di aziende che vogliono investire nelle pubblicità sui social network – che è uno dei modi principali di guadagnare per un content creator – non è necessario avere milioni di follower, ma piuttosto una comunità molto solida e “di nicchia”, molto coinvolta, partecipe e pronta a fidarsi dei consigli dei propri content creator di riferimento.
«Se un content creator si occupa di cibo sano e fitness, non è molto utile che i suoi contenuti arrivino a persone che non sono interessate a quei temi. Quando noi parliamo con i creator, lo scopo è quello di portarli a professionalizzarsi seguendo la loro indole, facendo fare loro quello che fanno – che siano chef, intrattenitori, makeup artist – per dare il proprio massimo, ma non per forza raggiungendo la massima notorietà. L’importante è che si allarghino a un bacino di persone che siano potenzialmente interessate a ciò che fanno», dice Di Nardo.