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  • Mercoledì 2 agosto 2023

Il reddito di cittadinanza ha funzionato?

È riuscito a proteggere molte persone dalla povertà, ma ha fallito nel trovare loro un lavoro: per gli esperti il bilancio è comunque positivo

Giuseppe Conte e Luigi Di Maio durante la presentazione del reddito di cittadinanza, nel 2019 (Palazzo Chigi/Filippo Attili/LaPresse)
Giuseppe Conte e Luigi Di Maio durante la presentazione del reddito di cittadinanza, nel 2019 (Palazzo Chigi/Filippo Attili/LaPresse)
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Dal primo agosto sono entrate in vigore le nuove regole sul reddito di cittadinanza e già da questo mese molti smetteranno di percepirlo. Il reddito di cittadinanza sarà sostituito da due nuove misure, l’assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro. Una parte consistente degli attuali percettori continuerà a riceverlo fino a dicembre del 2023, poi non esisterà più, anche se l’assegno di inclusione proposto dal governo ci assomiglia molto. Da quando è stato introdotto, il reddito di cittadinanza è stata una misura che ha molto polarizzato il dibattito politico e l’opinione pubblica: c’era chi lo considerava un sussidio troppo generoso, e chi al contrario un sostegno limitato per le famiglie numerose.

Un aspetto su cui sono tutti più o meno d’accordo è che il reddito di cittadinanza ha fallito come strumento di attivazione del mercato del lavoro: non è riuscito cioè a favorire l’occupazione di chi ne era beneficiario. Nonostante questo, molti esperti lo ritengono uno strumento che in Italia ha cambiato radicalmente l’approccio alla lotta alla povertà da parte della politica italiana e che ha aiutato le fasce più svantaggiate della popolazione, specialmente dopo la crisi dovuta alla pandemia.

Il reddito di cittadinanza è stato di gran lunga la proposta più importante e rappresentativa del Movimento 5 Stelle durante la campagna elettorale del 2018.

Fu introdotto nel 2019 dal primo governo di Giuseppe Conte, guidato proprio dal Movimento 5 Stelle insieme alla Lega. Aveva due obiettivi: contrastare la povertà e favorire l’occupazione delle persone che lo ricevevano, in modo da renderle poi autonome dal sussidio stesso.

Poco dopo il suo insediamento, il governo approvò la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) di quell’anno, con cui spiegava i suoi piani economici triennali. Il DEF avrebbe consentito l’adozione di alcune misure care ai due partiti di governo, tra cui il reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle. Dopo il Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio (che allora era vicepresidente del Consiglio, ministro del Lavoro e ministro dello Sviluppo economico) uscì dal balcone di Palazzo Chigi insieme ad altri ministri per festeggiare, ripetendo più volte «ce l’abbiamo fatta». Disse poi anche «abbiamo abolito la povertà», riferendosi proprio al reddito di cittadinanza, con una frase più volte rinfacciatagli dagli avversari politici negli anni successivi e di cui più di recente ha detto di essersi pentito.

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

I dettagli della misura furono poi presentati durante una conferenza stampa in cui Di Maio mostrò il prototipo della carta con cui si riscuoteva il sussidio: «è la numero uno, come il decino di Zio Paperone».

Il nome “reddito di cittadinanza” è piuttosto ingannevole: fa pensare a un reddito corrisposto dallo stato per il solo fatto di essere cittadini, a prescindere dalla propria condizione, ma nella pratica non è così. È stato pensato come un sussidio per le persone che si trovano in difficoltà economica: non voleva però essere un sussidio di disoccupazione, ma una misura di sostegno al reddito disponibile una volta terminati gli strumenti ordinari come la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione. Tant’è che alcuni percettori hanno un lavoro, che però non consente loro di raggiungere un reddito tale da uscire dalla soglia considerata di povertà.

Il reddito di cittadinanza comunque è temporaneo e vincolato alla partecipazione a un percorso di inserimento lavorativo. È destinato ai cittadini italiani o a chi risiede in Italia da almeno 10 anni. L’assegno è mensile e non ha un importo fisso: dipende dal numero di componenti della famiglia, dal reddito e dalle eventuali integrazioni per pagare l’affitto.

Secondo gli ultimi dati dell’INPS, l’ente di previdenza sociale italiano, a giugno hanno ricevuto il reddito di cittadinanza 895mila nuclei familiari, per un totale di quasi 2 milioni di persone. La pensione di cittadinanza, la versione del reddito di cittadinanza per gli anziani sopra i 67 anni, è stata ricevuta da 114mila famiglie per un totale di 130mila persone coinvolte. L’importo medio dell’assegno – considerati entrambi i tipi – è stato di 565 euro al mese.

Da aprile del 2019 a giugno del 2023, in poco più di quattro anni, sono stati spesi 31,5 miliardi di euro per garantire reddito e pensione di cittadinanza. Come fanno notare su lavoce.info Massimo Baldini e Stefano Toso, due importanti economisti, il reddito di cittadinanza «ha rappresentato un’autentica rivoluzione nel campo del contrasto alla povertà, colmando un ritardo storico dell’Italia rispetto ai grandi paesi europei». Nonostante questo la fretta con cui è stata introdotta la misura ha creato problemi e alcune iniquità.

Sono in particolare tre i fattori che si dovrebbero valutare per capire com’è andato il reddito di cittadinanza: l’efficacia nella lotta alla povertà, quella nell’inserimento dei beneficiari nel mercato del lavoro e il funzionamento dei controlli contro le frodi.

È stato uno strumento efficace di lotta alla povertà?
Prima che venissero introdotti reddito e pensione di cittadinanza, nel 2018 in Italia vivevano in condizioni di povertà assoluta 1,8 milioni di famiglie, per un totale di 5 milioni di individui, secondo l’Istat. Nel 2019, ossia quando è iniziata l’erogazione della misura, le famiglie in povertà assoluta si erano ridotte a quasi 1,7 milioni, per un totale di 4,6 milioni di persone. Nel rapporto di quell’anno l’Istat aveva segnalato un possibile contributo positivo di reddito e pensione di cittadinanza.

Poi è arrivata la pandemia e la povertà in Italia è tornata a salire: nel 2020 e nel 2021 le famiglie in povertà assoluta erano 1,9 milioni, per un totale di circa 5,6 milioni di persone. Nel rapporto annuale del 2022, l’Istat ha spiegato che l’intervento pubblico aveva avuto un ruolo «non trascurabile» nel proteggere le famiglie dalla povertà: nel 2020 il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza (un sussidio straordinario erogato proprio a causa della pandemia) avevano infatti evitato che circa un milione di persone arrivasse sotto la soglia della povertà assoluta.

La misura però aveva anche importanti difetti strutturali. Baldini e Toso ne individuano tre: non è andato a molte famiglie straniere a causa del requisito dei dieci anni di residenza in Italia; il metodo di calcolo dell’assegno lo ha reso più generoso per i single e penalizzante per le famiglie numerose; e infine ha previsto importi identici su tutto il territorio nazionale, con il rischio di risultare troppo basso nelle zone ad alto costo della vita e troppo generoso, e quindi distorsivo, in quelle periferiche.

Il rapporto tra il sussidio e la ricerca di lavoro
Uno dei presupposti principali dell’introduzione del reddito di cittadinanza, quando fu votato, era che fosse vincolato alla partecipazione dei percettori a un percorso di inserimento lavorativo. Questo tuttavia è sempre stato l’aspetto più controverso e probabilmente fallimentare della misura.

Molti economisti ed esperti hanno fatto notare fin dalla sua approvazione che l’ambizione di voler trovare un lavoro ai percettori era probabilmente eccessiva. Al momento dell’applicazione della norma, il potenziamento delle politiche attive del lavoro fu fatto di fretta e in maniera raffazzonata, e portò a problemi più volte sollevati sia dentro all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) sia nella gestione dei cosiddetti navigator, cioè le persone che avrebbero dovuto trovare lavoro a chi otteneva il reddito.

A rendere tutto più complicato c’è stato il fatto che i beneficiari del reddito di cittadinanza erano spesso persone poco istruite e senza formazione professionale, talvolta anche ai margini della società, molto difficili da collocare a livello lavorativo senza prima un serio lavoro di reinserimento sociale.

Un altro problema è che è sempre stato piuttosto difficile stabilire il reale numero di beneficiari che trovavano un lavoro grazie alle politiche attive. Il motivo principale è che le procedure passavano da INPS, ANPAL e Centri per l’impiego, e che queste strutture non condividono i dati tra di loro. A oggi non ci sono ancora studi sufficientemente ampi per stabilire se il reddito di cittadinanza sia stato di per sé un disincentivo alla ricerca del lavoro.

Baldini e Toso dicono che nel 2022, anno di forte ripresa dell’economia in Italia, il numero di persone beneficiarie di almeno una mensilità del reddito di cittadinanza è diminuito del 7 per cento rispetto al 2021: secondo loro questo andamento dimostrerebbe che quando l’economia va bene ci sono più opportunità di lavoro, e che sarebbe falsa e strumentale la critica più volte sollevata contro il reddito di cittadinanza, secondo cui incentiverebbe le persone a non lavorare.

Inoltre, molti hanno fatto notare come l’importo medio del sussidio sia talmente basso (a giugno era pari a 565 euro) da rendere attraente un lavoro a tempo pieno remunerato con un salario legale, anche minimo. Dall’altro lato però il meccanismo del reddito di cittadinanza prevede che il sussidio venga ampiamente ridotto nel momento in cui si trovi un’occupazione regolare. Questo può effettivamente scoraggiare chi deve decidere se accettare un’occupazione regolare che offra un reddito paragonabile.

Quante sono state le frodi
Le frodi sul reddito di cittadinanza sono sempre state una delle ragioni più citate per criticare la misura. Per esempio, nel novembre del 2021 molti media e politici diedero risalto a una grossa indagine dei Carabinieri in cinque regioni del Sud Italia (Campania, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Molise), che aveva portato alla scoperta di oltre 19 milioni di euro indebitamente percepiti da beneficiari del reddito di cittadinanza. Ad aprile del 2022 fu scoperta un’altra truffa per un totale di 21 milioni di euro.

Secondo una ricostruzione del sito Pagella Politica, tra il 2019 e il 2021 i Carabinieri hanno scoperto che quasi 48 milioni di euro erano stati percepiti indebitamente da oltre 13mila beneficiari. E tra il 2020 e il 2021 la Guardia di finanza ha individuato circa 127 milioni di euro indebitamente percepiti. Nel complesso queste cifre sono una porzione piuttosto ridotta rispetto al totale dei beneficiari e delle risorse stanziate: le frodi accertate valgono 174 milioni di euro dal 2019 al 2021, circa l’1 per cento di quanto erogato in totale dallo stato.