Nordio vuole cambiare il concorso esterno in associazione mafiosa

Secondo il ministro della Giustizia andrebbe «rimodulato» perché nel codice penale non c'è e i suoi confini sarebbero troppo confusi

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Martedì il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha partecipato a un dibattito in piazza a Roma in cui, tra le altre cose, ha detto che secondo lui sarebbe necessario «rimodulare» il concorso esterno in associazione mafiosa.

È un tema di cui Nordio aveva già parlato lunedì in una lunga intervista a Libero, per cui era stato molto criticato il giorno successivo dal Fatto Quotidiano che lo aveva accusato di «voler salvare pure i politici mafiosi». Alle accuse del Fatto Quotidiano ha risposto nell’evento di mercoledì, spiegando meglio perché crede che il concorso esterno in associazione mafiosa vada cambiato.

Il concorso esterno non esiste come reato, è una creazione giurisprudenziale. Cioè la Cassazione, i giudici, hanno inventato questa formula abbastanza evanescente, che a rigore di logica, vorrei dire “popperiana”, è un ossimoro. Perché il concetto di concorso esterno è contraddittorio, ecco l’ossimoro, perché se sei concorrente non sei esterno, e se sei esterno non sei concorrente. Naturalmente, tutte queste cose quando le discuti sotto il profilo tecnico ti trovi delle risposte di ordine ideologico, di ordine emotivo. Ecco, noi non vogliamo eliminare, noi sappiamo benissimo che si può essere mafiosi all’interno dell’organizzazione e si può essere favoreggiatori all’esterno dell’organizzazione, ma allora va rimodulato completamente il reato, che in questo momento non esiste né come tassatività né come specificità perché non è nel codice.

In sostanza Nordio dice di voler modificare il concorso esterno in associazione mafiosa per integrarlo nel codice e renderlo una fattispecie di reato, cosa che al momento non è. Il concorso esterno infatti deriva dall’applicazione dell’articolo 110 del codice penale, che prevede il “concorso”, cioè la partecipazione di qualcuno a un reato, all’articolo 416 bis, che prevede il reato di associazione mafiosa. L’articolo 110 serve a punire chi partecipa a un reato senza prendervi parte direttamente: per esempio il complice che fa il palo durante una rapina. È stato precisato nei suoi confini da una serie di sentenze della Cassazione a partire dal 1994.

Da tempo il concorso esterno in associazione mafiosa è molto discusso tra i giuristi. Il problema è che reati associativi come banda armata o associazione mafiosa servono già di per sé a punire un “concorso” a quei reati, a vario titolo. Un condannato per associazione mafiosa è una persona che fa parte di un’organizzazione criminale mafiosa: non ha commesso altri reati oltre a quello di far parte del gruppo criminale, così come il palo non ha commesso altri reati oltre a rimanere in un certo punto nel corso di una rapina. Applicando ai reati associativi il concetto di “concorso esterno”, temono molti giuristi, si rischia di ampliare troppo le circostanze in cui il reato viene commesso, creando confusione e incertezza.

Con il concorso esterno, infatti, ci si trova di fronte a tre livelli diversi di coinvolgimento. C’è chi ha commesso il reato; chi è associato a chi ha commesso reati; chi concorre in maniera esterna con gli associati che hanno commesso i reati. Come aveva scritto l’avvocato Carlo Blengino sul Post, distinguere chi mettere in ciascuna di queste categorie rischia di diventare un arbitrio da parte del giudice, che si trova davanti un’amplissima discrezionalità per decidere. Non solo: diventa anche complicato stabilire quali rapporti con gli associati siano “concorso esterno”, e quali invece possano essere considerati leciti (visto che esiste già una tipologia per quelli illeciti, e cioè far parte a vario titolo di un’associazione a delinquere).

Un altro problema relativo al concorso esterno in associazione mafiosa di cui si è discusso molto negli anni scorsi è la sua applicazione retroattiva. Nel 2015 infatti la Corte di Cassazione aveva annullato la condanna a dieci anni per Bruno Contrada, ex dirigente dei servizi segreti, accusato di essere stato complice della mafia.

La Cassazione aveva deciso per l’annullamento perché all’epoca dei fatti di cui era accusato il concorso esterno non era un reato sufficientemente “tipizzato”, cioè era ancora troppo generico e poco preciso. La Cassazione si era espressa così in seguito a una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui Contrada non doveva essere né condannato né processato per il principio del “nulla poena sine lege”, previsto dall’art. 7 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo: consiste nell’idea che non si può punire una persona se non c’è una legge che dica chiaramente che le azioni di quella persona costituiscono reato.

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