Ora a Hollywood rischia di bloccarsi tutto

Dopo gli sceneggiatori anche il sindacato degli attori non si è messo d'accordo con gli studios sul contratto

di Gabriele Niola

(Mario Tama/Getty Images)
(Mario Tama/Getty Images)
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Per la prima volta dal 1960 il sindacato degli sceneggiatori e quello degli attori americani (rispettivamente WGA e SAG-AFTRA) sono in sciopero contemporaneamente. Gli sceneggiatori sono in agitazione da oltre due mesi, mentre è scaduto nella mattinata di giovedì (ora italiana) il termine per la rinegoziazione del contratto collettivo degli attori: come già successo con WGA, però, neanche SAG-AFTRA ha raggiunto un accordo con i rappresentanti degli studios (la AMPTP). Giovedì sera è arrivato l’annuncio dello sciopero degli attori, votato alla quasi unanimità dagli iscritti del sindacato nell’eventualità di un mancato accordo.

La presidente della SAG-AFTRA Fran Drescher, nota principalmente per essere stata La Tata nell’omonimo telefilm, ha definito «offensiva e irrispettosa dell’incredibile contributo degli attori alla nostra industria» la risposta degli studios alle loro proposte relative al contratto. Secondo Drescher gli studi di produzione si sarebbero «rifiutati di affrontare seriamente alcuni punti e su altri avrebbero fatto muro. Fino a che non negozieranno in buona fede non potremo raggiungere un accordo». Secondo la stampa specializzata alcune concessioni da parte degli studios ci sarebbero state ma, dicono i rappresentanti sindacali degli attori, sempre assecondando vecchi modelli e rifiutando un reale cambiamento.

Il sindacato attori di Hollywood rappresenta 160.000 performer, le cui richieste sono in certi casi simili a quelle degli sceneggiatori: un diverso sistema di calcolo dei diritti d’autore che tenga conto della diversa distribuzione dei prodotti nel contesto mediatico attuale (il problema sono soprattutto le piattaforme) e regole più chiare sull’uso dell’intelligenza artificiale, che comprendono oltre a una serie di limitazioni anche una forma di pagamento agli attori qualora le loro fattezze vengano riprodotte digitalmente. Il problema del diritto d’autore, come per gli sceneggiatori, è comunque il più pressante perché le rendite collegate sono crollate anche per gli attori.

Il sistema di calcolo precedente si basava sulle repliche: ogni volta che un film o una serie veniva comprata da un canale per una replica, gli aventi diritto incassavano una percentuale. Le piattaforme hanno annullato il concetto di replica visto che tutto è disponibile sempre, e quindi al momento le percentuali annue sono pari a quasi zero. La SAG-AFTRA avrebbe proposto di basarsi allora sul successo delle singole produzioni, anche se ad ora non c’è un ente terzo che rilevi ascolti o visualizzazioni, e quindi andrebbe individuato (gli attori hanno proposto la società Parrott Analytics).

Quei proventi dal diritto d’autore erano il principale mezzo di sostentamento per attori e sceneggiatori di medio e basso livello (la gran parte degli iscritti al sindacato), perché bastava azzeccare un film o una serie di buon successo in una carriera per avere un reddito di base a cui aggiungere i singoli nuovi lavori e mantenersi. Anche per questo in una lettera aperta 2.000 membri del sindacato degli attori hanno chiesto alla presidenza di adottare la linea più dura possibile nelle trattative. Quando si è trattato di votare l’autorizzazione a indire uno sciopero in caso di trattative infruttuose, il 98% degli attori si è espresso in favore. Molti tra gli attori e gli sceneggiatori percepiscono questo momento come fondamentale, perché quello che viene deciso adesso in termini di introiti dalle piattaforme e limiti nell’uso dell’intelligenza artificiale condizionerà i prossimi anni della loro professione.

Fran Drescher ai premi del sindacato degli attori a Los Angeles, il 26 febbraio 2023. (Kevin Winter/Getty Images)

Nessuno al momento è in grado di prevedere le conseguenze dello sciopero degli attori e secondo molti gli studios non hanno un piano per questa evenienza. La categoria è sempre stata considerata debole dal punto di vista sindacale e fino a poche settimane fa in molti non credevano avrebbero mai scioperato. La novità è Drescher, la presidente del sindacato, che si è rivelata molto più inflessibile e dura di quel che gli osservatori prevedessero nel guidare le negoziazioni. Un video diffuso poche settimane fa aveva fatto pensare a una risoluzione pacifica e suggerito un atteggiamento conciliante di Drescher, ma ora sembra sia stata parte della strategia per blandire gli studios. Strategia che tuttavia non ha portato a un accordo.

Proprio questa tenacia e questa determinazione in un momento cruciale per gli attori sono valse a Drescher l’approvazione della maggior parte degli iscritti al sindacato. L’ultima volta che un presidente del sindacato aveva avuto un ruolo così importante era stato proprio in occasione dello sciopero congiunto del 1960, quando era Ronald Reagan – vent’anni prima di diventare presidente – a guidare le trattative per gli attori.

Se lo sciopero degli sceneggiatori ha bloccato la scrittura di nuovi copioni e parzialmente le riprese di quelli già scritti, consentendo però ad esempio la produzione di serie e film con troupe e sceneggiatori di altri paesi (House of the Dragon, Andor, Doctor Who e Slow Horses per esempio), lo sciopero degli attori non solo bloccherà anche quelle, visto che gli attori stranieri più importanti lavorano a Hollywood e quindi sono iscritti al sindacato, ma anche tutta la promozione. Con effetto immediato attori e attrici del sindacato, cioè praticamente tutti, non potranno partecipare a red carpet, interviste o apparizioni televisive.

La prima del film Barbie è stata anticipata di un paio d’ore, questa notte, proprio per essere certi che si svolgesse prima di un eventuale sciopero e che quindi gli attori Margot Robbie e Ryan Gosling potessero partecipare. Lo stesso è stato deciso per quella del film di Christopher Nolan Oppenheimer. Questo blocco promozionale include, a quanto sembra, i festival di cinema e quindi potrebbe avere un impatto molto duro sulla Mostra del cinema di Venezia che si svolge a inizio settembre e ha sempre contato molto sulla presenza del cinema americano. Non è chiaro se l’assenza delle star causerà anche il ritiro dei film o meno, visto che i festival per i grandi film sono occasioni promozionali e senza le star l’attenzione mediatica sarebbe probabilmente insufficiente.

Uno sciopero degli attori poi blocca anche quelle che sono chiamate le produzioni unscripted, cioè che non necessitano di un copione, come i reality o gli show televisivi a quiz. Molti di questi infatti hanno conduttori o partecipanti iscritti al sindacato attori. A questo si aggiungono i film spostati in avanti per lo sciopero degli sceneggiatori, come quelli Marvel del 2025 che sono scalati al 2026 e quelli del 2026 ora previsti per il 2027, o anche produzioni importanti come Il gladiatore 2, la seconda parte di Mission: Impossible – Dead Reckoning ma anche il nuovo film di Clint Eastwood Juror No. 2. Altri si sono sbrigati a finire le riprese prima dello sciopero, come ad esempio le produzioni della seconda stagione di Gli anelli del potere, il film sulla vita di Amy Winehouse Back To Black e Bad Boys 4.

L’impatto di uno sciopero prolungato e quindi di un blocco di riprese e promozione potrebbe essere molto forte soprattutto sulle sale cinematografiche. Senza grandi film americani i cinema in questo momento non sarebbero in grado di generare incassi sostanziosi, non solo negli Stati Uniti ma in tutti i paesi occidentali. Dopo le chiusure e i mancati guadagni durante il 2020 e 2021 per via della pandemia da COVID-19, un’assenza per periodi lunghi di blockbuster potrebbe seriamente compromettere il sistema dell’esercizio cinematografico, specialmente in paesi in cui questo ha faticato e sta faticando a riprendersi come l’Italia.

Sono passati due mesi e mezzo da quando la WGA, il principale sindacato che rappresenta gli sceneggiatori di cinema e tv americani, ha indetto il suo sciopero, non avendo trovato un accordo con la AMPTP. Come era previsto si tratta di uno sciopero lungo, che difficilmente si risolverà prima dell’autunno: gli sceneggiatori sono stati intransigenti e hanno la percezione che ne vada della loro sopravvivenza economica, mentre dall’altra parte gli studios hanno un buon catalogo di film e serie già scritte non ancora messe in onda su cui contare per un po’ di tempo. Ora però sembra che la situazione si stia cominciando a inasprire e lo sciopero degli attori, qualora gli studios non si sbrigassero a trovare un accordo almeno con loro nei prossimi mesi, potrebbe cambiare la situazione.

Recentemente diversi produttori che hanno scelto di parlare con la stampa americana rimanendo anonimi hanno spiegato come il piano degli studios sia quello di “affamare” gli sceneggiatori, cioè di procedere a oltranza puntando sul fatto che mesi di mancati guadagni indeboliranno una categoria che era già mediamente molto vicina alla soglia di povertà. Il forte incremento del costo della vita a Los Angeles negli ultimi anni, unito al crollo dei compensi (che è una delle ragioni dello sciopero), hanno portato diversi sceneggiatori non famosi e non di successo, che tuttavia costituiscono la maggior parte dei membri della WGA e quindi dei lavoratori di quel settore, a lasciare Los Angeles o a cercare un secondo lavoro.

Secondo Deadline (che ha parlato con produttori e persone che lavorano in produzione ma sono solidali con gli sceneggiatori) gli studios non vogliono trattare e invece portare gli sceneggiatori a un punto di tale disperazione da accettare le loro condizioni. Secondo uno studio commissionato dalla AMPTP il mese di ottobre sarà quello in cui la maggior parte dei membri della WGA «non avrà più un soldo dopo 5 mesi di picchetti e niente lavoro». A partire dal 1° maggio, quando è iniziato lo sciopero, ci sono stati picchetti continui davanti agli studios e agli uffici delle piattaforme, ma nessuna ulteriore trattativa. I due sindacati non hanno iniziato nessuna discussione da quando è iniziato lo sciopero, nonostante le richieste della WGA. Sempre secondo fonti di Deadline la AMPTP (che rappresenta Universal, Warner, Disney, Paramount, Sony ma anche Netflix e Prime Video) ha come obiettivo quello di «trascinare le cose fino a che i membri del sindacato non iniziano a perdere i loro appartamenti e le loro case».

– Leggi anche: Gli sceneggiatori americani non se la passano bene

Preparandosi a resistere a lungo la WGA ha accorciato gli orari di picchetto per consentire a molti di trovare lavori part-time e mantenersi. Molti sceneggiatori di commedie o che scrivono battute per i talk show serali sono tornati a fare stand-up comedy nei locali per guadagnare qualcosa, e questo include anche attori e sceneggiatori noti come Jason Segel e Seth Rogen. Molti degli sceneggiatori più potenti e ricchi, quelli che possono permettersi anche ruoli da produttori per le loro serie, stanno dimostrando solidarietà con i colleghi e sono attivi in boicottaggi più grandi del solo sciopero. Ad esempio Eric Kripke, creatore della serie The Boys, non autorizzerà la pubblicazione su Prime Video della nuova stagione della sua serie (che è pronta) fino a che non ci sarà un accordo. Inoltre sono stati istituiti diversi fondi a cui potranno attingere i membri del sindacato in maggiori difficoltà economiche e lo stesso stanno iniziando a fare anche altri sindacati, come quello dei direttori della fotografia, perché il blocco dei set ha un impatto anche su tutti gli altri lavoratori.

Quello di uno sciopero lungo era un rischio noto, fin dall’inizio si sapeva che in questa particolare contingenza gli studi di produzione erano attrezzati per resistere. La pandemia e i lockdown hanno avuto la conseguenza di un accumulo di serie e film che poi sono stati spalmati negli anni successivi, creando un archivio di altre serie e altri film che intanto venivano completati con i quali gli studios contavano di andare avanti fino al 2024 (ora non è chiaro se li manderanno in sala anche senza gli attori a promuoverli).

Tra i principali punti in discussione tra attori e studios c’è la creazione di regole più chiare sull’uso dell’intelligenza artificiale, di ritmi e quantità di lavoro congrui all’impegno richiesto (ad oggi la scrittura di una serie ad esempio coinvolge poche persone tenute bloccate per un tempo eccessivo, dicono gli sceneggiatori) e soprattutto i proventi che derivano dal diritto d’autore che una volta si basava sulle repliche.

Già prima dello sciopero degli attori gli sceneggiatori avevano bloccato le riprese a Los Angeles, dove da un paio di settimane non vengono richiesti al comune permessi per girare film o serie. L’effetto di questa sospensione si vedrà tra un anno almeno, perché solitamente è più o meno quello il tempo totale di produzione di un film (per le serie può essere anche minore). In più per via della pandemia c’è molto prodotto ancora non trasmesso o mandato in sala che può essere centellinato. Sono state le trasmissioni quotidiani o settimanali (come il Daily Show o il Saturday Night Live ad esempio) a smettere di andare in onda subito già a inizio maggio.

C’è invece grande perplessità per la cerimonia di premiazione degli Emmy (le cui nomination sono state annunciate da poco) prevista per settembre. Se nessuno scriverà i testi la serata non potrà andare in onda come sempre, e ovviamente non ci sarebbero attori a ritirare i premi: tuttavia questa sarebbe una perdita anche per gli sceneggiatori, perché quella è la premiazione in cui ottengono più visibilità.

Secondo la newsletter The Ankler esiste una divisione nella AMPTP tra quelli che vengono chiamati “legacy studios” (Warner, Disney, Universal, Sony e Paramount) e le piattaforme. Il titolo in borsa dei primi è in calo dall’inizio dello sciopero mentre quello dei secondi è in aumento. Sembra che gli investitori abbiano reindirizzato i capitali sulle piattaforme perché piene di contenuto e quindi, idealmente, capaci di reggere meglio la scarsità di produzioni conseguenza degli scioperi.

Da mesi i legacy studios diminuiscono i salari e licenziano in massa i loro dipendenti nonostante, come sempre avviene, i primi periodi di uno sciopero di sceneggiatori favoriscano le produzioni, che possono avvalersi della clausola di “forza maggiore” presente nei loro contratti e chiudere per ragioni di sciopero (quindi senza pagare penali) serie o programmi che non sono redditizi. Questi tagli portano loro un guadagno, ma sono legali solo dopo i primi 90 giorni di sciopero: è facile prevedere quindi che non ci saranno soluzioni con gli sceneggiatori fino almeno al primo agosto.

Al momento sembra quindi che una possibile soluzione, anche se di certo non a breve termine, possa venire da una spaccatura all’interno della AMPTP: i legacy studios sono più inclini a trattare e, se le piattaforme dovessero continuare a scioperare, potrebbero staccarsi e fare un accordo per conto loro così da ripartire.