“Il principe”, il documentario su Vittorio Emanuele di Savoia

È uscita una miniserie che parla di lui e dei dubbi attorno all'incidente che nel 1978 causò la morte del 19enne tedesco Dirk Hamer

Vittorio Emanuele di Savoia con la famiglia nel 2017 (Alessandro Di Marco/ANSA)
Vittorio Emanuele di Savoia con la famiglia nel 2017 (Alessandro Di Marco/ANSA)
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Il 4 luglio è uscita su Netflix Il principe, una miniserie investigativa di tre puntate su Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia, e sul celebre caso giudiziario che lo coinvolse a partire dal 1978. Quell’anno, nella notte tra il 17 e il 18 agosto al largo dell’isola di Cavallo, in Corsica, Vittorio Emanuele fu coinvolto in una lite con un gruppo di ragazzi perlopiù italiani in cui vennero sparati dei colpi d’arma da fuoco. Uno di questi colpì all’arteria femorale un ragazzo tedesco, Dirk Hamer, che morì dopo circa quattro mesi e diverse complicate operazioni chirurgiche.

Di quel caso si occupò la giustizia francese, che inizialmente arrestò Vittorio Emanuele in quanto unico sospettato: quella notte, infastidito dalla presenza dei giovani in barca nei pressi della sua abitazione estiva, e irritato perché alcuni di loro avevano preso un gommone di sua proprietà, Vittorio Emanuele li aveva raggiunti armato di una carabina militare. Dalla carabina partirono poi due proiettili e in quegli istanti Hamer fu colpito accidentalmente mentre dormiva in una delle imbarcazioni ormeggiate.

Nonostante le testimonianze e le circostanze del caso indicassero Vittorio Emanuele come unico sospettato, in quanto unica persona armata che aveva sparato in quel luogo, nel corso dei mesi la vicenda si complicò a tal punto da prolungarsi fino al 1991, anno in cui la Corte d’assise di Parigi, ultimo grado della giustizia francese, lo assolse parzialmente per l’impossibilità di ricondurre con certezza il proiettile che aveva colpito Hamer alla sua carabina. Fu condannato soltanto a quattro mesi di reclusione per possesso irregolare di arma da guerra (pena che peraltro non scontò mai in carcere, tra condizionale e un’amnistia della giustizia francese).

Dal punto di vista giuridico quel caso si concluse così, nonostante la forte opposizione della sorella di Dirk Hamer, Birgit, che era presente quella notte al largo dell’isola di Cavallo e cercò poi a lungo di ottenere giustizia per la morte del fratello. Hamer tentò di portare l’attenzione sui tanti dubbi emersi durante gli anni del processo, fra testimoni della difesa non presenti quella sera ma in qualche modo informati dei fatti e altre armi tirate in ballo ma mai ritrovate, senza però riuscire a ottenere nulla di concreto.

Molti anni dopo, nel 2006, fu tuttavia lo stesso Vittorio Emanuele a tradirsi. Mentre si trovava in carcere a Potenza per il suo presunto coinvolgimento nel cosiddetto caso di “Vallettopoli” — da cui fu poi scagionato — disse ai suoi compagni di cella che nel processo di Parigi fu assolto «anche se aveva torto», dopo essere riuscito a cambiare la composizione della giuria con «una batteria di avvocati» e grazie a una ventina di testimoni con cui «fregò i giudici». Quella sua ammissione, registrata nell’ambito delle nuove indagini sul suo conto, fece molto discutere, anche perché disse espressamente di aver colpito Hamer con uno dei due colpi sparati, seppur accidentalmente. Non cambiò però l’esito della sentenza, dato che il processo si era già concluso: ebbe come unica conseguenza giuridica una condanna in Italia nei suoi confronti per calunnie ai danni di Birgit Hamer.

Vittorio Emanuele dopo l’assoluzione nel 1991 (Olycom/LaPresse)

La docuserie Il principe ricostruisce nei dettagli tutti questi avvenimenti con le testimonianze dirette di Vittorio Emanuele, di suo figlio Emanuele Filiberto e delle altre persone presenti quella notte nel mare della Corsica. Il gruppo di cui faceva parte Hamer era composto perlopiù da giovani benestanti romani in vacanza in Sardegna che avevano deciso di andare in barca a Cavallo: tra di loro c’erano Giovanni Malagò, attuale presidente del Comitato olimpico italiano, e Nicola Pende detto “Nicky”, un chirurgo molto conosciuto negli ambienti mondani romani (e per questo citato anche in una canzone di Rino Gaetano del 1980, “Jet-set”). Fu proprio con Pende che Vittorio Emanuele ebbe la colluttazione in barca durante la quale partirono i colpi.

Birgit Hamer, che abitava a Roma con la madre e il padre, il medico tedesco Ryke Geerd Hamer, era stata invitata quasi per caso a unirsi a quella comitiva, e altrettanto casualmente si era portata dietro il fratello. In tutto quello che accadde dopo fu sostenuta da alcune persone di quegli ambienti, tra le quali Paola Marzotto, dell’omonima famiglia di imprenditori veneti e madre di Beatrice Borromeo, giornalista e regista del documentario Il principe. Borromeo ha quindi raccontato una vicenda che conosce molto bene: oltre ad aver sostenuto negli anni le iniziative di Hamer, amica di famiglia, nel 2011 seguì per Il Fatto Quotidiano la pubblicazione della registrazione fatta qualche anno prima in carcere a Vittorio Emanuele.

In una recente intervista a Vogue, Borromeo ha detto: «Credo che la grande colpa di Vittorio Emanuele si leghi al come ha gestito dopo questa situazione. È stato fatto di tutto per fare in modo che non si prendesse le proprie responsabilità e quella è stata una scelta che ha fatto soffrire tantissime persone e si è riverberata fino a oggi. E credo che, in fondo, abbia rovinato anche la sua vita».

Il documentario si chiude inoltre con una registrazione in cui Vittorio Emanuele parla di un fatto poco conosciuto e non legato alla morte di Hamer. Non si capisce bene in quale circostanza lo abbia detto, ma Vittorio Emanuele racconta alla troupe presente a casa sua di quando, nel 1956, assistette all’omicidio di Alfonso di Spagna per mano del fratello maggiore Juan Carlos, erede al trono di Spagna. Secondo la versione ufficiale dei fatti, Alfonso si uccise con un colpo partito accidentalmente mentre stava pulendo una pistola. Per Vittorio Emanuele fu invece Juan Carlos a ucciderlo per errore «da dietro un armadio».

A proposito di questa registrazione, inserita dopo la fine del documentario, prima dei titoli di coda, Emanuele Filiberto, figlio di Vittorio Emanuele, ha detto al Corriere della Sera: «Abbiamo avuto modo, io e mio padre, di dire la nostra nella sua vicenda personale. Voglio restare amico di Beatrice Borromeo, le ho dato fiducia per il documentario ma non mi piace che adesso per promuovere, per far pubblicità al lavoro su Netflix si rivanghino storie come quella di Juan Carlos di Spagna che non c’entra nulla». Per il momento questa rivelazione non sembra aver attirato particolari attenzioni in Spagna.

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