L’urbanismo tattico funziona di più se fatto dai sindaci

In alcune città, tra cui Milano, è sempre più pensato e realizzato dalle amministrazioni locali, diversamente da quanto succedeva in passato

di Gabriele Magro

(Comune di Milano via Flickr)
(Comune di Milano via Flickr)

Sono passati più di quattro anni da quando il Comune di Milano ha avviato “Piazze Aperte”, uno dei più grandi progetti di “urbanistica tattica” in Europa: il piano era lavorare con i cittadini per pedonalizzare piccole aree della città. Oggi il progetto è considerato un successo: gli interventi realizzati in pochi anni sono stati più di quaranta, e i gruppi e le associazioni coinvolte sono state duecento. La particolarità dell’urbanistica tattica a Milano è proprio il fatto che il Comune si è intestato il lavoro di coordinamento tra attivisti, enti informali e comitati di quartiere. È un approccio nuovo nella storia di questa pratica, ma i risultati sembrano indicare che è un approccio efficace.

L’urbanistica tattica, o urbanismo tattico, è una pratica a metà tra le pratiche di amministrazione pubblica sul territorio e l’attivismo. Si tratta di trasformare, nel modo più economico possibile, spazi anonimi e parcheggi in luoghi in cui si possa camminare, giocare e incontrarsi. Si fa con la vernice colorata, con le panchine, con le piante, e si fa nel modo più veloce possibile.

Negli intenti di chi ha teorizzato la pratica, gli urbanisti Mike Lydon e Anthony Garcia, l’urbanismo tattico sarebbe dovuto essere un movimento “dal basso”, cioè fatto di interventi temporanei compiuti da attivisti e cittadinanza senza l’approvazione delle amministrazioni locali. L’approccio immaginato era quello fai-da-te del Guerrilla Gardening, una forma di giardinaggio militante in cui gli attivisti coltivano terreni su cui, in teoria, non avrebbero i permessi legali per intervenire. Negli ultimi anni, però, nei progetti che hanno funzionato meglio si è imposto un modello di cooperazione, e non di conflitto, con le amministrazioni locali.

A Milano il progetto Piazze Aperte fu avviato nel 2018 e da allora il Comune ha continuato a fare interventi di urbanismo tattico in diverse zone della città. Dal lancio del progetto, sono stati parecchi gli esperimenti che da temporanei sono diventati permanenti. Per esempio la trasformazione della zona intorno a Via Rovereto in una “Area 30”, dove il limite di velocità per le auto è fissato a trenta chilometri orari, e la pedonalizzazione di Piazza Angiliberto II, con i tavoli da ping-pong.

Entrambe le iniziative, così come molte altre, sono state pensate e avviate dal Comune, che in una prima fase ha individuato direttamente gli spazi su cui intervenire (in seguito, ha chiesto che fossero le associazioni, tramite un bando, a proporre le aree di intervento).

Il ruolo forte dell’amministrazione locale nel coordinare i processi di urbanismo tattico è stata una novità, ma non è stata una tendenza solo milanese. È municipale anche Paris Plages, l’iniziativa che durante l’estate trasforma alcune aree urbane di Parigi in spiagge con lettini, ombrelloni e persino la sabbia. Lo stesso vale per Superilles Barcellona (“i superblocchi”), il più radicale esperimento di pedonalizzazione mai provato in una grande città occidentale, che prevede la creazione di blocchi al cui interno non possono circolare le auto private. Ed è stata sempre l’amministrazione locale, dopo diversi esperimenti, a rendere permanente la pedonalizzazione di Times Square, a New York, nel 2017. Sono risultati che le amministrazioni locali hanno raggiunto applicando metodi che erano nati proprio come strumenti per protestare contro di loro.

All’inizio, associazioni di cittadinanza e attivisti erano preoccupati che il protagonismo delle amministrazioni locali potesse indebolire le loro posizioni. Invece Tommaso Goisis, attivista della campagna milanese “Sai Che Puoi”, che si occupa di inclusione, mobilità e rigenerazione urbana a Milano, sostiene che il maggior coinvolgimento degli enti pubblici nei processi di urbanismo tattico sia una buona soluzione: «Penso che il tempo delle sperimentazioni sia finito. Il cambiamento da attuare nelle città è urgente, radicale e su larga scala. Il compito dell’attivismo è sollevare le istanze, e questo è stato fatto. Ma l’attivismo non può, in questa fase, sostituirsi all’amministrazione, che deve assumersi la responsabilità del cambiamento, coinvolgendo le energie dell’associazionismo e della cittadinanza».

Non tutte le amministrazioni cittadine, però, sono ricettive e disposte a collaborare. Dove le autorità locali non assecondano i gruppi di cittadinanza si fanno pochissimi progressi.

A Los Angeles, il collettivo di urbanismo tattico Crosswalk Collective si scontra in continuazione con il governo locale. Gli attivisti, che vogliono rimanere anonimi per evitare multe e arresti, dipingono sull’asfalto strisce pedonali e marciapiedi con l’obiettivo di rendere più sicure le strade per pedoni e ciclisti. Lo fanno soprattutto negli incroci in cui le persone muoiono investite dalle automobili. Ma sono interventi non autorizzati e non concordati, e quindi l’amministrazione comunale li cancella.

L’altra metropoli italiana, Roma, è una città che per alcuni aspetti urbanistici somiglia più a Los Angeles che a Milano. Sia Roma che Los Angeles sono estremamente estese (entrambe ampiamente sopra i mille chilometri quadrati, contro i centottanta di Milano) e sono città in cui la rete dei mezzi pubblici è insufficiente. Se il trasporto pubblico non è capillare e le persone si muovono molto in automobile, pedonalizzare non è solo più difficile, ma è anche più impopolare. Per questa ragione le amministrazioni locali di alcune grandi città rimandano il problema ed evitano di adottare misure che sarebbero necessarie per contrastare inquinamento, traffico e quei problemi di sicurezza stradale che costringono gli attivisti a dipingersi da soli strisce pedonali e marciapiedi.

Nicola Brucoli è architetto, curatore e presidente dell’associazione culturale TWM Factory. Ha curato Riscatti di Città, uno dei più estesi e precisi studi sui processi di rigenerazione urbana in corso a Roma. Anche secondo Brucoli, la mancanza di coordinamento tra l’amministrazione locale romana e la cittadinanza è un grosso ostacolo alla realizzazione di interventi di urbanistica tattica: «Qui per lo spazio pubblico è in corso uno scontro perenne, e vincono quasi sempre le automobili. Per questo l’urbanismo tattico a Roma non si è fatto. Sono state fatte, tramite Roma Servizi per la Mobilità, le isole ambientali che limitano la velocità a 30 chilometri all’ora, e sono interventi ben riusciti».

Uno dei problemi a Roma, aggiunge Brucoli, è la mancanza di una vera piattaforma di coordinamento: «Alcuni interventi negli spazi davanti alle scuole, come la Di Donato all’Esquilino, sono di fatto interventi di urbanismo tattico, ma con un carattere ancora molto autogestito. Durante e dopo la pandemia c’è stato un grande fermento, ma gli interventi sono stati spontanei, con gruppi di “clean up” e costruzione di arredi urbani che sopperiscono a mancanze del pubblico. Con un supporto maggiore dell’amministrazione, queste energie dal basso si moltiplicherebbero».

Anche a Milano gli anni del Covid sono stati un momento di grandi interventi su urbanistica e mobilità ma, a differenza di quello che è successo a Roma, il periodo della pandemia ha rinforzato il legame tra il Comune e le associazioni. Dal 2020 a oggi l’amministrazione locale milanese ha sperimentato approcci nuovi e potenziato i programmi già in corso. Oltre alle “Covid Lanes”, trentacinque chilometri di piste ciclabili realizzate con un metodo che riprende quello dell’urbanismo tattico, nel 2020 sono stati realizzati diciotto interventi di Piazze Aperte, più che in qualsiasi altro anno dall’inizio del progetto.

Pierfrancesco Maran, assessore alla Casa e Piano Quartieri di Milano, ha definito l’accelerazione di Piazze Aperte durante e dopo la pandemia «una scelta obbligata, dettata dall’esigenza di nuovi spazi all’aperto destinati alla socialità e, allo stesso tempo, una piccola rivoluzione che ha permesso a tanti cittadini di vivere maggiormente lo spazio pubblico».

I buoni risultati della prima fase di Piazze Aperte hanno portato alla conferma del progetto, che inaugurerà una seconda fase di pedonalizzazioni nel 2023, stavolta concentrandosi sulle aree intorno alle scuole.

Tommaso Goisis evidenzia come, al di là dei successi degli interventi di urbanismo tattico, la pandemia abbia impattato in negativo sul modo in cui i milanesi si spostano in città. Durante il Covid c’è stato un significativo ritorno all’uso dell’automobile, un problema che rischia di vanificare alcuni dei risultati ottenuti sulla mobilità sostenibile e che il Comune dovrà affrontare nelle prossime fasi del progetto Piazze Aperte: «Il Covid a Milano ha scoraggiato l’uso dei mezzi pubblici: oggi gli utenti sono un 30% in meno di prima della pandemia. Moltissimi sono tornati alle automobili, che sono inquinanti e pericolose. Questo problema l’amministrazione dovrà porselo al più presto. Il numero di automobili in città è ancora sproporzionato, la quota di parcheggi per abitante è tre o quattro volte superiore a quella di Parigi o Barcellona. Se lo stesso approccio risoluto di Piazze Aperte sarà applicato a trasporto pubblico, mobilità ciclabile e Città 30, molto bene. Fino ad allora, rimangono moltissime cose da fare».

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.