Roma ha un nuovo piano per l’edilizia popolare

Il comune sta cercando di riformare i vecchi strumenti usati contro l’emergenza abitativa, con qualche incertezza

di Benedetta Di Placido

(AP Photo/Alessandra Tarantino)
(AP Photo/Alessandra Tarantino)

A maggio il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha presentato un nuovo piano per l’edilizia pubblica chiamato Piano Casa, da realizzare entro il 2026. Il piano ha l’obiettivo di riformare gli strumenti usati finora dal Comune per contrastare l’emergenza abitativa, perché secondo Gualtieri le difficoltà di Roma non sono più emergenziali ma «croniche». Il nuovo piano ha come primo obiettivo la riorganizzazione degli immobili pubblici che secondo il Comune sono già sufficienti a ospitare tutti coloro che ne hanno diritto; non prevede, invece, la costruzione di nuovi edifici di edilizia popolare.

L’approvazione finale del progetto da parte dell’Assemblea capitolina, cioè il consiglio comunale di Roma, è prevista nelle prossime settimane. Una riforma delle norme di edilizia pubblica è piuttosto urgente: attualmente ci sono 14mila persone in graduatoria per gli alloggi ERP (edilizia residenziale pubblica, cioè le case popolari) e la loro situazione è sempre più difficile.

Il problema dell’edilizia pubblica a Roma dipende soprattutto dal modello di funzionamento delle graduatorie per ottenere una casa popolare. Nel 2022 gli alloggi pubblici erano 46.191: di questi, circa 8 mila erano occupati in maniera irregolare, il 17 per cento del totale. L’ATER, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale, che a Roma si occupa della distribuzione delle case popolari, è in ritardo con l’assegnazione di appartamenti vuoti, che spesso vengono occupati illegalmente da chi è in emergenza abitativa. Delle persone a cui una casa popolare è stata assegnata, circa il 20 per cento è in difficoltà con il pagamento degli affitti.

Le difficoltà di accedere legalmente a un appartamento tramite l’ATER stanno riducendo il numero di coloro che fanno richiesta, e aumentando invece quello di chi si affida a intermediari che possano procurare un appartamento occupato.

Secondo USB-ASIA, cioè la divisione dell’Unione Sindacale di Base che si occupa di diritto alla casa e dei problemi dell’edilizia pubblica, il Piano Casa del Comune di Roma sarebbe in ritardo di un anno, e questo potrebbe amplificare alcuni problemi. L’amministrazione sostiene invece che l’approvazione del piano stia procedendo come da programma.

In Italia la legge più recente in materia di edilizia popolare risale al 1962 e indica ai comuni e alle regioni come far fronte alle criticità del mercato immobiliare e come costruire i loro piani di edilizia popolare. Si stima che al tempo le persone con necessità di alloggi a prezzi accessibili fossero circa 400 mila. Negli anni successivi ci furono interventi più o meno di successo per permettere alle persone nelle periferie di vivere in abitazioni adatte alle loro necessità, ma anche per liberare il territorio da infrastrutture malmesse. A guidare il più grande piano di edilizia pubblica romana fu il sindaco Luigi Petroselli, che all’inizio degli anni Ottanta si occupò della demolizione di tutti gli edifici e delle baracche considerate inagibili, e realizzò nuovi alloggi in linea con la legge di qualche decennio prima.

Le iniziative delle amministrazioni comunali, tuttavia, non sono mai state sufficienti a risolvere il problema. Ad oggi, a Roma, non è ancora stata trovata una soluzione efficace per l’organizzazione dell’edilizia pubblica. Il Comune dice che i cittadini che vivono in emergenza abitativa sono circa 150mila. Di questi, molti abitano in appartamenti occupati o sono senza fissa dimora. In 15mila sono sotto sfratto, cioè sanno di dover lasciare la propria casa entro una data stabilita. In 3.000, invece, vivono in residence popolari: unità immobiliari, solitamente in periferia, dove vengono temporaneamente ospitate le persone con situazioni di criticità o di urgenza.

Gli strumenti che sono stati utilizzati finora dalle amministrazioni di Roma sono tre. Il primo è il contributo all’affitto, cioè un sostegno economico a cui potevano accedere unicamente famiglie o persone in gravi condizioni economiche o psichiche. Il secondo strumento era destinato a coloro che abitavano nei CAAT, cioè nei Centri di Assistenza Abitativa Temporanea. Questo modello di edilizia popolare si proponeva di aiutare le persone in grave emergenza abitativa, ma per un tempo limitato. A loro era destinato un sostegno economico, il “buono casa”, della durata di otto anni, per poter abitare in un alloggio del mercato privato. L’ultimo strumento utilizzato era il contributo per morosità incolpevole, finanziato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e destinato a persone in difficoltà economica a causa di cassa integrazione, malattie o licenziamento.

Corviale (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

Con il nuovo Piano Casa, il Comune di Roma vorrebbe abbandonare alcuni degli strumenti che ha utilizzato finora: per questo ha creato una serie di nuove iniziative per contrastare l’emergenza abitativa. La prima è di reperire alloggi sul mercato, per incrementare l’offerta di abitazioni. Concretamente, il Comune vorrebbe acquistare nuovi alloggi da inserire tra quelli disponibili e da assegnare tramite la graduatoria ERP. Le nuove abitazioni saranno acquistate sia dal patrimonio immobiliare degli enti previdenziali come l’INPS, sia dal mercato privato.

La seconda proposta è di recuperare e ristrutturare edifici esistenti. Tra gli edifici pubblici di Roma sono molti quelli dismessi che richiedono una manutenzione prima di poter essere inseriti tra gli edifici assegnabili. In questa tipologia di intervento rientra il recupero del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz e dell’immobile di Spin Time, un edificio in zona Esquilino occupato nel 2012, che oggi ospita 139 nuclei familiari. Per questi due primi obiettivi del piano, Gualtieri ha detto di aver già stanziato 220 milioni di euro.

La terza iniziativa prevede la revisione di quello che il comune definisce “welfare abitativo”, cioè l’insieme delle misure economiche messe a disposizione per sostenere le persone in emergenza abitativa, per esempio il contributo all’affitto. Questa linea di intervento sarà gestita tramite un nuovo organo: l’Agenzia sociale dell’abitare, che si occuperà delle sovvenzioni economiche da distribuire. Il piano del Comune prevede che l’Agenzia riesca a intercettare anche quei nuclei familiari esclusi dall’edilizia popolare ma che avrebbero diritto ad altri strumenti di sostegno.

L’ultimo intervento prevede la creazione di un Osservatorio sulla condizione abitativa. Gualtieri dice che non ci sono dati completi e certi sulla situazione di Roma e che mancano le informazioni per gestire la condizione abitativa. L’Osservatorio vorrebbe rispondere a questa mancanza con un monitoraggio che possa aiutare nella formazione di piani strategici futuri.

Il sindacato USB-ASIA ha contribuito alla realizzazione di parte del piano indicando al Comune le necessità da integrare tra i nuovi provvedimenti. Nonostante questo, sostiene che il piano sia in ritardo e che questo possa incidere nell’aumento del numero delle persone in difficoltà.

Angelo Fascetti, il portavoce di ASIA-USB, dice inoltre che le risorse stanziate potrebbero non essere sufficienti, anche perché il numero delle persone che potrebbero avere bisogno di sostegno e di alloggi pubblici negli ultimi tempi è aumentato: «La crisi sta coinvolgendo nell’emergenza abitativa anche il ceto medio che è impoverito e non ha casa. Prima aveva risposte negli enti previdenziali, adesso Roma è una città esclusiva che lascia indietro larghe fasce di popolazione escluse dalla nostra comunità».

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.