Non finiscono i problemi per il “piano borghi”

Spendere i soldi del PNRR per ripopolarli potrebbe essere molto difficile, per problemi strutturali e mancanza di personale competente

di Lucia Bonatesta

La frazione disabitata della Cunziria, a Vizzini, in provincia di Catania (il Post)
La frazione disabitata della Cunziria, a Vizzini, in provincia di Catania (il Post)
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Entro la fine dell’anno i 21 paesi vincitori del cosiddetto “piano borghi” del PNRR, che ha come obiettivo il ripopolamento di piccoli comuni abbandonati attraverso la riqualificazione di edifici pubblici e la creazione di nuove attività nel territorio, dovranno avviare il loro progetto. Negli ultimi mesi si è discusso parecchio del piano, anche perché le amministrazioni comunali stanno avendo problemi legati alla mancanza di personale per gestire i fondi. Per questo motivo, i comuni hanno aperto nuove posizioni lavorative, che però finora sono rimaste senza candidati a causa degli stipendi offerti considerati da molti non competitivi.

Il piano, chiamato ufficialmente “Attrattività dei borghi”, è stato presentato a dicembre 2021 dall’allora ministro della Cultura Dario Franceschini ed è composto da due diverse linee di intervento. Per la Linea A è stato stanziato un investimento di 420 milioni di euro diviso tra 21 comuni (uno per ciascuna regione), per realizzare altrettanti progetti di ripopolamento. La linea B, invece, ha disposto un primo investimento di 380 milioni di euro divisi tra 294 comuni e un secondo di 200 milioni per le imprese che dovranno intervenire nei borghi selezionati, entrambi tramite bando. Il termine ultimo per la conclusione dei progetti è il 30 giugno 2026, fine dell’intero PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo italiano intende spendere i finanziamenti europei del Recovery Fund), di cui il “piano borghi” fa parte.

Fin dalla presentazione del “piano borghi”, la Linea A, che in modo polemico era stata rinominata da diversi giornali e sindaci «Lotteria dei borghi», aveva attirato molte critiche. Il bando, infatti, lasciava totale libertà a ciascuna Regione di scegliere l’unico borgo all’interno del territorio regionale a cui sarebbero andati i soldi del PNRR: alcuni governi regionali avevano indetto una gara interna, mentre altri avevano fatto la loro scelta in maniera arbitraria.

In Sicilia, per esempio, a gennaio del 2022 la giunta regionale, guidata dall’allora presidente Nello Musumeci, aveva indicato come borgo vincitore dei soldi del PNRR La Cunzirìa, borgo disabitato nel comune di Vizzini, in provincia di Catania, dove si trovava una conceria. Il borgo era stato scelto senza istituire nessuna gara pubblica, ma a completa discrezione della Regione.
La Cunzirìa è composto da quaranta edifici con al centro una chiesetta. Uno dei motivi che avevano portato alla scelta del comune era stato il centenario dalla morte dello scrittore siciliano Giovanni Verga (nel 2022), che proprio a Vizzini ambientò la novella Cavalleria Rusticana.

La poca trasparenza da parte della Regione Sicilia nei criteri di selezione del borgo, e la disparità stessa creata del piano assegnando i soldi a un solo comune, avevano generato critiche da parte delle associazioni e dei sindaci esclusi.

Uno dei più critici era stato per esempio Antonio Camarda, sindaco di Castiglione di Sicilia, un comune in provincia di Catania tra l’Etna e il parco fluviale dell’Alcantara, inserito all’interno della lista dei “borghi più belli d’Italia”, stilata dall’omonima associazione legata all’ANCI (Associazione nazionale comuni italiani). Camarda aveva avviato da tempo studi e indagini preliminari per candidare Castiglione di Sicilia ai bandi per il ripopolamento dei piccoli comuni: aveva fatto censire le abitazioni e ogni immobile era stato schedato. Dopo l’esclusione di Castiglione di Sicilia dal piano aveva commentato: «Abbiamo molti progetti di ripopolamento e riqualificazione che rispondono perfettamente alle richieste del bando ministeriale. Il PNRR impone trasparenza e parità di opportunità tra tutti i territori, due principi che sembrano in contraddizione con la scelta fatta dalla Regione Sicilia».

Sono esempi come questo che hanno portato il “piano borghi” fin da subito al centro di molte contestazioni. L’iniziativa è stata commentata anche da qualche giornale internazionale: tra gli altri, il Guardian ha commentato la misura scrivendo che «mette i paesi morenti in competizione l’uno contro l’altro».

Anche nelle regioni dove si sono tenute delle gare pubbliche ci sono state un po’ di polemiche tra sindaci. Il borgo vincitore in Lazio, per esempio, è stato Trevinano, frazione di Acquapendente in provincia di Viterbo. Trevinano ha vinto grazie al progetto chiamato “Ri-wind”, il cui nome fa riferimento al vento che soffia sulle colline della zona. L’iniziativa prevede interventi strutturali, l’organizzazione di eventi culturali e l’istituzione di percorsi formativi incentrati su temi legati al territorio. L’idea dell’amministrazione locale è di costruire un “luogo dell’apprendimento” in grado di attrarre giovani studenti, con l’obiettivo finale – ha detto la sindaca di Acquapendente Alessandra Terrosi – di rilanciare l’economia dell’intera zona.

Tra i borghi esclusi e superati da Trevinano nella selezione regionale c’è stato Civita di Bagnoregio, anch’esso in provincia di Viterbo, il cui sindaco Luca Profili ha detto di non essere d’accordo con la scelta iniziale di dare i soldi solo a un comune per regione. Civita di Bagnoregio è uno dei borghi più noti e visitati d’Italia perché si trova sull’unico lembo rimasto di una collina, per il resto erosa da numerose frane. Profili ha detto che, per favorire lo sviluppo dell’intera area, sarebbe stato più efficace dividere i soldi tra paesi limitrofi.

È una posizione condivisa anche da Marco Bussone, presidente dell’UNCEM, l’Unione nazionale dei comuni montani, secondo cui le politiche territoriali non possono essere basate su confini amministrativi ma devono ragionare su “logiche sovracomunali” come un’intera area o una valle.

Un altro problema che hanno rilevato i critici è legato al fatto che i progetti siano stati scritti tutti durante la pandemia di Covid-19: per questo sono risultati molto simili tra loro e tutti incentrati su iniziative per turisti e per lavoratori da remoto. I 21 borghi si sono proposti per lo più di ristrutturare edifici pubblici per aprire centri di ricerca, biblioteche, alberghi diffusi (cioè dislocati su più case preesistenti), spazi di coworking, residenze per lavoratori da remoto e allo stesso tempo di ampliare l’offerta turistica con percorsi in bici o a cavallo.

Il “ritorno ai borghi”, tuttavia, è stato in gran parte un’illusione del periodo di pandemia e non è facile capire a chi si rivolgano oggi questi progetti. Bussone, presidente dell’UNCEM, sostiene che per ripopolare un comune in stato di abbandono non basti attrarre turisti o studenti, ma sia necessario garantire i servizi essenziali per la popolazione, cioè per un gruppo di persone che risiede stabilmente nel borgo: «Noi abbiamo bisogno di paesi vivi, anche con le facciate non perfette, anche fragili, ma vivi. Se c’è una comunità viva che si riunisce, che ha un bar, che ha una pro loco, che ha una farmacia, quello per noi è un paese, ovvero un borgo».

Un’ulteriore critica di Bussone alla struttura del “piano borghi” è legata al fatto che gli investimenti previsti si sono rivolti a luoghi ed edifici pubblici, e non hanno previsto incentivi ai privati per ristrutturare le loro proprietà. Non è certo che la riqualificazione degli edifici pubblici sarà sufficiente a ripopolare i 21 comuni, dice Bussone: c’è infatti il rischio che senza interventi sugli edifici in cui si trovano le case e le attività dei privati il piano non risulti efficace.

Ora che i 21 progetti sono stati avviati, stanno emergendo nuovi problemi, tra cui l’impreparazione delle amministrazioni dei piccoli comuni a gestire tutte le attività collegate all’investimento previsto dal piano. Anche se la realizzazione dei progetti è affidata a consulenti esterni, i comuni devono produrre tutta la documentazione e i rendiconti, ma si trovano senza un personale adeguato sia in termini di competenze sia in termini di numero.

Ne è un esempio Livemmo, frazione di Pertica Alta, un comune della Valsabbia in provincia di Brescia: qui c’è un solo dipendente comunale dedicato alla frazione, che nelle sue giornate apre l’ufficio, guida lo scuolabus, sbriga le incombenze e in più deve pensare a come spendere parte dei 20 milioni.

 

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Per agevolare la gestione dell’investimento, il comune di Pertica Alta ha aperto tre nuove posizioni lavorative a tempo determinato: una part-time da ingegnere, una da geometra e una da impiegato. La vicesindaca Brunella Brognoli ha detto però che il bando è andato deserto: al primo tentativo, durato più di tre mesi, nessuna posizione è stata riempita. Oggi il comune è riuscito a trovare almeno una ragioniera che si occuperà della documentazione relativa al piano. Brognoli ha commentato così il ripopolamento del borgo: «Chiamarlo sogno è forse riduttivo o troppo grande, ma questo è qualcosa che noi pensavamo irrealizzabile: sicuramente è una sfida complicata con tanti ostacoli, ma le nostre difficoltà sono condivise anche dagli altri comuni vincitori».

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.