La canapa potrebbe aiutarci a fare a meno del cemento

Da tempo si cercano alternative al calcestruzzo, che è tra i materiali più usati e più inquinanti al mondo, e da qualche anno si parla molto del cemento di canapa

di Francesco Morelli

(pards_30 via Pixabay)
(pards_30 via Pixabay)

Da oltre cento anni il calcestruzzo è uno dei materiali più usati nell’edilizia e si stima che sia il secondo più utilizzato dopo l’acqua: nel 2021, per esempio, ne sono state prodotte 4,4 miliardi di tonnellate, per costruire case, palazzi e infrastrutture di ogni genere. Il calcestruzzo è però anche uno dei prodotti con il maggior impatto ambientale: la sua produzione è responsabile dell’8 per cento di emissioni di CO2 nel mondo e per questo da diversi anni si stanno cercando alternative più sostenibili. Una di queste è lo Hempcrete, un materiale fatto con canapa (hemp, in inglese) e calce che può sostituire il calcestruzzo in molti suoi utilizzi con un impatto ambientale enormemente minore. Produrre lo Hempcrete su scala industriale non è tuttavia facile: per decenni in Occidente la produzione della canapa è stata limitata o proibita da leggi e politiche stringenti rispetto al suo uso come sostanza stupefacente, che anche in Italia hanno rallentato lo sviluppo del settore.

Il calcestruzzo è un materiale che viene prodotto mescolando acqua, sabbia e ghiaia al cosiddetto cemento di Portland, che fa da legante per gli altri materiali. Il cemento, a sua volta, viene prodotto a partire dal clinker, un materiale derivante da silicati di calcio cotti ad altissime temperature. Questo processo provoca circa la metà delle emissioni di CO2 complessive legate all’uso del calcestruzzo, mentre il restante 50 per cento si deve al funzionamento dei macchinari necessari alla produzione del clinker, che bruciano combustibili fossili, e in parte minore al trasporto dei prodotti finiti. Per la produzione del calcestruzzo è inoltre necessaria moltissima acqua: per farne un metro cubo ne servono tra i 120 e i 150 litri. Poi c’è un altro problema: le materie prime necessarie per produrre il calcestruzzo non sono infinite e non è detto che sarà sempre possibile reperirle.

Per ora del calcestruzzo è molto difficile fare a meno, perché i suoi costi di produzione sono competitivi e la mole dell’industria edile è enorme. Inoltre ha proprietà di resistenza e durabilità difficilmente raggiungibili impiegando altri materiali, e un eventuale materiale alternativo dovrebbe essere producibile nella stessa quantità in cui è prodotto il calcestruzzo. Kevin Paine, professore all’Università di Bath, in un’intervista a Wired ha spiegato che ci sono due ragioni per le quali è difficile abbandonare il calcestruzzo: i materiali alternativi non sono presenti in quantità necessaria e un cambio di sistemi di produzione sarebbe molto costoso e, di conseguenza, molto lento.

Nonostante questo, di alternative, seppur in misura parziale, ce ne sono. Anche non eliminando completamente l’impiego del cemento, se ne può almeno alleggerire l’impatto ambientale. Una delle soluzioni di cui si sta maggiormente parlando negli ultimi anni è lo Hempcrete, in italiano “calce-canapa” oppure “cemento di canapa”, un materiale composito che si ottiene mischiando calce, acqua e il canàpulo, la parte legnosa del gambo della canapa industriale, lavorata e triturata.

Per produrre lo Hempcrete si usa la calce “spenta”, prodotta cuocendo il calcare ad alta temperatura e raffreddando con acqua la calce “viva” (chiamata “viva” perché molto calda) che deriva dal processo di calcinazione. A questo punto la calce funziona come legante e nella produzione di Hempcrete prende il posto che ha il cemento nella produzione di calcestruzzo, mentre il canapulo sostituisce la ghiaia.

Giovanni Dotelli, professore ordinario di scienza e tecnologia dei materiali al Politecnico di Milano, spiega che, come per il cemento, il processo di calcinazione del calcare comporta elevate emissioni di CO2 – comunque più basse rispetto a quelle emesse dai forni in cui si fa il cemento – ma con una differenza fondamentale: la calce, a differenza del cemento di Portland, nel tempo riesce a riassorbire le emissioni di anidride carbonica di cui è responsabile, diventando, di fatto, carbon neutral. Ciò vuol dire che tutta l’anidride carbonica rilasciata durante la produzione del materiale viene poi compensata. Anche la canapa è importante per ridurre l’impatto dello Hempcrete: perché la CO2 viene assorbita tramite la fotosintesi clorofilliana durante la coltura e viene poi intrappolata nei mattoni quando la canapa viene mescolata con la calce. Questo in alcuni casi permette ai mattoni in Hempcrete di essere carbon negative: cioè di assorbire più anidride carbonica di quella necessaria per la sua produzione.

In più, spiega Dotelli, c’è la questione della riusabilità: a differenza del calcestruzzo lo Hempcrete è completamente riutilizzabile, al 100%. Per esempio, una volta demolita una struttura in Hempcrete, tutto il materiale può essere nuovamente impiegato nella costruzione di nuovi mattoni. Poi, nel riutilizzarlo, vanno aggiunti ulteriori materiali vergini, ma non c’è comunque nessuno spreco o rifiuto.

Le applicazioni edili della canapa sono diverse. In particolare, con lo Hempcrete si possono fare mattoni e murature. Oppure, lo Hempcrete si può usare come termoisolante, per esempio nei cappotti interni ai muri e ai soffitti delle abitazioni. Qui, con la fibra di canapa industriale si costruiscono pannelli in grado di mantenere temperature medie più alte, soprattutto nei mesi invernali, permettendo a chi li installa di ottenere un effettivo risparmio sul riscaldamento nel lungo termine. Con questi pannelli – ma anche con i mattoni in Hempcrete – poi, ci sono anche miglioramenti in termini di isolamento acustico e deumidificazione: nel primo caso, la composizione del materiale attutisce in maniera considerevole i suoni, mentre nel secondo, le sue proprietà di assorbimento o rilascio idrico a seconda della temperatura permettono di mantenere temperature moderate all’interno di un locale, oltretutto senza rischio di formazione di muffa. Controintuitivamente, lo Hempcrete è anche poco infiammabile.

Questo, però, non significa che si possano costruire palazzi fatti interamente di Hempcrete, non reggerebbero: il materiale non è abbastanza solido per potersi definire portante. La struttura che sostiene un edificio con murature in Hempcrete, quindi, dev’essere per forza di un materiale a forte resistenza, come il calcestruzzo armato, l’acciaio o il legno. Recentemente si è molto parlato di un hotel di dodici piani costruito a Città Del Capo, in Sudafrica, facendo ampio ricorso al cemento di canapa: quando sarà inaugurato sarà il palazzo più alto del mondo fatto con canapa industriale, sempre escludendo la struttura portante, comunque in calcestruzzo.

Se gli edifici in Hempcrete non si vedono in ogni strada, ci sono varie ragioni, soprattutto di stampo politico e culturale. Una legge statunitense del 1970, il Controlled Substance Act, criminalizzò la produzione di qualsiasi tipo di canapa senza una licenza federale. Eliana Ferrulli, ricercatrice in gestione, produzione e design al Politecnico di Torino, spiega che negli anni seguenti diversi paesi europei introdussero leggi simili, generando, nella cultura popolare un pregiudizio verso la coltivazione. «Poiché la canapa è stata erroneamente collegata solamente a una sostanza stupefacente, l’innovazione tecnologica si è interrotta negli anni ’70. Con la proibizione della coltura della canapa in sé e per sé, c’è stato un declino nella coltivazione». La canapa in uso edile è infatti industriale. La varietà di pianta usata per fare lo Hempcrete è diversa da quella da cui si ricava la sostanza cannabinoide ad uso ricreativo, che ha un valore molto più alto di Tetraidrocannabinolo, comunemente conosciuto come THC, il principio attivo responsabile degli effetti stupefacenti della cannabis.

Ora, dice Ferrulli, con il rinnovato interesse, soprattutto a livello europeo, verso materiali sostenibili e una maggiore comprensione a livello comune della risorsa, si è tornati a parlare anche della canapa, la cui produzione è tuttavia oggi molto limitata. Visti i decenni di divieto di coltivazione, spiega ancora Ferrulli, non vi è mai stato interesse nel migliorare i macchinari di lavorazione della canapa. Questo discorso non vale solo per l’edilizia, ma per tutte le applicazioni pratiche industriali, dal tessile alla cosmetica. Senza macchinari in grado di sostenere una produzione scalabile ed efficiente, quindi, non si può contribuire alla diffusione dei prodotti basati sulla canapa. Inoltre, macchinari obsoleti non garantiscono una lavorazione di qualità, compromettendo a loro volta la riuscita del prodotto e rendendolo più difficile da lavorare. Da tutto questo derivano costi alti, o più alti di quelli richiesti per altri materiali da costruzione o isolamento.

Anche in Italia ci sono stati molti ostacoli che hanno limitato la crescita dell’industria della canapa e oggi le aziende che offrono servizi di coltura e lavorazione sono molto poche. Nel 2016 tuttavia a Bisceglie, in Puglia, è stato ultimato un complesso di 42 appartamenti in Hempcrete.

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.