Cosa succede nelle molte caserme dismesse in Italia

Cosa diventeranno nei prossimi anni e perché è così difficile trasformarle in qualcosa di nuovo

di Nicoletta Conforti

(Google Street View)
(Google Street View)

In Italia ci sono circa 1.500 caserme non più utilizzate o abbandonate, secondo i dati più recenti dell’Agenzia del Demanio che risalgono al 2015. Molte di queste occupano spazi nei centri cittadini e sono spesso grandi edifici vuoti e fatiscenti difficili da destinare a nuovi utilizzi. Provvedere al futuro di queste strutture però è importante per dare nuove opportunità all’aspetto e alla vita che nei prossimi anni avranno diversi quartieri o gli stessi centri di alcune città.

Rispetto a venti o trent’anni fa le caserme sono diventate molto meno necessarie per vari motivi: dall’abolizione della leva militare obbligatoria nel 2004 alla smilitarizzazione, soprattutto del Nordest, avvenuta al termine della Guerra Fredda. Da tempo c’è quindi il problema di demolire o trovare nuovi usi per questi edifici, ma ristrutturare e organizzare diversamente gli spazi urbani è costoso e non sempre le amministrazioni hanno i fondi necessari per farlo. Inoltre i diversi passaggi burocratici e di proprietà, che hanno avuto luogo e che hanno coinvolto l’Agenzia del Demanio, Cassa Depositi e Prestiti, Comuni e privati, hanno contribuito a complicare il processo.

Nonostante le difficoltà, da molti anni ci sono proposte per il possibile recupero e nuovo utilizzo delle ex caserme. Per esempio nelle città in cui lo spazio scarseggia, specialmente nei centri storici e in cui si parla di emergenza abitativa, è stato proposto di trasformare questi edifici in residenze per studenti, di farne strutture di accoglienza per migranti, scuole, centri diurni per disabili, e carceri per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Per alcuni comuni i fondi del PNRR rappresentano un’opportunità per rimettere in uso questi edifici, ma avere la disponibilità economica non elimina del tutto le difficoltà nella gestione dei passaggi di proprietà.

Non tutte le ex caserme, però, sono fatiscenti. Alcune sono state effettivamente destinate a nuovi scopi, anche se in molti casi gli edifici che le ospitavano sono rimasti sottoutilizzati, quando non in stato di abbandono vero e proprio. In alcuni casi, dove le amministrazioni e i vari soggetti coinvolti non sono riusciti a provvedere, ci hanno pensato i cittadini attraverso iniziative spontanee.

L’ex Caserma Masini, nel quartiere Santo Stefano al centro di Bologna, è un complesso di circa 8 mila metri quadrati, con un grande cortile alberato. La struttura, di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, è stata occupata tra il 2012 e il 2017 e ha ospitato in quegli anni il centro sociale Làbas. L’occupazione ha permesso di realizzare nella Masini diverse attività di interesse sociale: ci hanno abitato alcuni migranti, attivisti e lavoratori in difficoltà economica, è stata un centro di aggregazione per gli studenti, ha ospitato un orto, un mercato di frutta e verdura, un doposcuola piuttosto popolare per i bambini del quartiere.

Dopo uno sgombero effettuato nel 2017, la caserma era rimasta vuota e in stato di abbandono, fino a nuova occupazione avviata da alcuni attivisti lo scorso aprile. Pur avendo proposto diversi progetti per questo spazio – un albergo, un parcheggio, case private – pare che Cassa Depositi e Prestiti non abbia ancora trovato gli investitori necessari per realizzarli. In questo caso, a differenza di altre caserme bolognesi, racconta Detjon Begaj, consigliere comunale ed ex occupante della Masini, il Comune di Bologna non ha raggiunto un’ intesa con Cassa Depositi e Prestiti per utilizzare la caserma per propri progetti, nemmeno in via temporanea.

In sostanza l’uso temporaneo della caserma non è stato affidato né a privati né al centro sociale. Un attivista di Làbas ha spiegato che gli occupanti cercano da tempo un’intesa per ottenere l’uso temporaneo della Masini: «Noi siamo favorevoli alla restituzione della Masini alla città, ma Cassa Depositi e Prestiti non sembra interessata a mettere a frutto la caserma secondo la nostra idea di spazio pubblico». Da quando è ripresa l’occupazione della Masini, al suo interno sono andati ad abitare di nuovo migranti e attivisti, che intendono iniziare nuovi progetti per valorizzarne lo spazio verde e realizzare nuovi progetti sociali, anche se al momento la caserma è aperta al pubblico solo qualche giorno a settimana.

Per l’ex caserma di Via Guido Reni, nel quartiere Flaminio, a Roma, invece, sono nati diversi progetti, grazie proprio al confronto tra il Comune e Cassa Depositi e Prestiti. La caserma è destinata per una parte alla demolizione, che dovrebbe partire a inizio 2024. Nell’area che occupa oggi saranno costruite case private, una biblioteca e un albergo. Parte della vecchia caserma, invece, non sarà demolita e diventerà una Città della Scienza.

Il progetto ha lo scopo di trasformare quest’area della città, nella quale si trovano anche il Museo MAXXI di arte contemporanea e l’Auditorium, in un distretto culturale. Per questo spazio, dunque, sembra più concreta la possibilità di un recupero di lungo periodo e la realizzazione di un progetto utile per la città. Inoltre già negli anni passati il Comune e Cassa Depositi e Prestiti avevano concesso a privati l’uso temporaneo della caserma e al suo interno erano state realizzate varie attività, come festival musicali e mostre.

Lo spazio dell’ex Caserma Amione di Torino, invece, non è stato abbandonato dopo la dismissione, ma finora è stato poco sfruttato. L’edificio infatti è un deposito museale aperto al pubblico solo occasionalmente, all’interno del quale sono conservati antichi pezzi di artiglieria. Anche per la Amione, però, esiste un progetto di riqualificazione, messo a punto dal Comune con il contributo dell’Agenzia del Demanio, che investirà 210 milioni di euro.

Secondo il progetto nell’area in cui si trova l’edificio sarà costruito un complesso di uffici della pubblica amministrazione. Inoltre più della metà della vecchia Amione sarà trasformata in un parco, che contribuirà a rendere più verde la zona di Torino in cui si trova. Questo progetto fa parte di un piano di rigenerazione più ampio della città, che ha lo scopo di valorizzare gli spazi esistenti per realizzare nuovi progetti, invece che consumare nuovo suolo.

Se nei prossimi anni i comuni e gli altri soggetti coinvolti riusciranno a cogliere l’opportunità data dalla disponibilità di questi spazi la qualità della vita potrebbe migliorare significativamente in molti posti in Italia, risparmiando suolo e potendo contare su nuovi centri di aggregazione, aree verdi o luoghi di accoglienza.

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.