Che cosa sono le case dell’acqua

Nonostante siano un’opportunità per incentivare il consumo di acqua pubblica sono ancora poco sfruttate e conosciute

di Giovanni Brescacin

(Giovanni Brescacin)
(Giovanni Brescacin)
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L’Italia è uno dei più grandi consumatori di acqua in bottiglia al mondo: ogni italiano consuma circa 200 litri di acqua minerale all’anno, quasi il doppio rispetto alla media europea. La diffidenza che gli italiani hanno nei confronti dell’acqua del rubinetto di casa è tale da spingerli a spendere molto di più per l’acqua minerale in bottiglia rispetto a quella domestica.

Un consumo così elevato di acqua in bottiglia non è sostenibile nel lungo periodo soprattutto dal punto di vista ambientale, perché comporta una maggiore produzione di rifiuti di plastica o di vetro. Anche per questo motivo da una decina di anni i comuni italiani hanno iniziato a installare nei propri territori delle “case dell’acqua” per promuovere il consumo della loro acqua potabile.

Le case, o casette, sono distributori automatici di acqua pubblica: si trovano in un gran numero di città in Italia e stanno cambiando il modo in cui una parte della popolazione si rifornisce di acqua da tavola. Non sono gestite da un’unica società o ente: infatti sono i comuni e alcune aziende private a farsi carico della loro costruzione e gestione.

Tutte erogano acqua sia liscia sia frizzante, che dev’essere imbottigliata in contenitori che i cittadini portano con sé. In alcune città l’erogazione è gratuita mentre in altre è a pagamento: i costi sono comunque molto inferiori rispetto alle bottiglie di acqua confezionata. Mediamente alle casette si spendono 2 o 3 centesimi al litro per l’acqua naturale e 5 o 6 centesimi per quella frizzante, prezzi molto diversi da quelli delle acque minerali in bottiglia, che in media hanno un prezzo intorno ai 15 centesimi al litro.

La diffidenza degli italiani nei confronti dell’acqua di rubinetto è dovuta ad alcune credenze errate e a questioni di gusto. Il mito secondo cui l’acqua del rubinetto farebbe venire i calcoli è già stato smentito più volte dalle istituzioni sanitarie, come l’Istituto superiore di sanità. Per quanto riguarda invece il gusto, all’interno degli acquedotti comunali l’acqua viene generalmente trattata con il cloro, una sostanza che consente di potabilizzarla, rendendola però meno piacevole da bere per alcuni. A differenza di quella domestica, l’acqua erogata dalle casette riceve un ulteriore trattamento, ad esempio attraverso l’impiego di di lampade UV battericide e di filtri particolari, che eliminano il sapore del cloro rendendo più gradevole il gusto dell’acqua distribuita.

I numeri delle casette dell’acqua
Alberto Sebastiani, direttore di Adriatica Acque, una società che gestisce oltre 400 distributori sul territorio nazionale, ha spiegato che le casette dell’acqua vengono costruite nei comuni privilegiando strade, parcheggi e altre aree urbane bene illuminate, facili da identificare e facilmente accessibili con le automobili. La scelta ricade più di rado sui parchi cittadini, ritenuti una soluzione meno pratica e funzionale per gli utenti che dovrebbero trasportare le bottiglie a piedi fino ai loro veicoli.

Sebastiani ha inoltre ricordato che le casette devono rimanere continuamente in funzione, erogando grandi quantità d’acqua: «La casetta, anche dal punto di vista microbiologico e di qualità dell’acqua erogata, più lavora e meglio è; più l’acqua scorre, più l’acqua risulta sicura e controllata» perché si evitano ristagni di acqua ormai filtrata e priva del cloro che la farebbe conservare più a lungo.

In Italia non c’è una singola istituzione che si occupa di fare il censimento delle case dell’acqua, ma Utilitalia – la Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici, nei quali è compresa la gestione dell’acqua – nel 2017 aveva pubblicato un report che segnalava 2021 unità installate in tutto il territorio italiano, sebbene con una maggior concentrazione nel Nord Italia. La quantità è aumentata sensibilmente considerato che sette anni prima in tutta Italia c’erano circa 200 casette.

(Elaborazione grafica tratta dal “Manuale operativo dei chioschi d’acqua”, AA.VV., 2017)

Anche a causa della pandemia da coronavirus, Utilitalia ha smesso di aggiornare annualmente i propri report e non sono quindi disponibili dati più recenti. Sulla base degli andamenti degli anni scorsi e delle esperienze in alcuni comuni, è probabile che il numero complessivo di casette sia aumentato ulteriormente.

A Milano, per esempio, nel 2013 c’erano solamente 6 casette dell’acqua: nove anni più tardi erano diventate 52, secondo i dati forniti da MM, la società municipalizzata che gestisce l’acquedotto cittadino. Nel 2022 sono stati erogati circa circa 10,1 milioni di litri di acqua, che hanno permesso un risparmio teorico di 6,75 milioni di bottiglie da un litro e mezzo, oltre a 313 tonnellate di anidride carbonica non emesse.

Non è però un fenomeno legato unicamente alle grandi città: in Romagna, infatti, prendendo ad esempio una realtà molto più piccola come il Comune di Santarcangelo, che ha circa 22 mila abitanti, nel 2022 l’unico distributore in città ha erogato oltre 400mila litri, facendo risparmiare circa 270 mila bottiglie in plastica da un litro e mezzo e 355 tonnellate di anidride carbonica.

In generale, i vantaggi che derivano dall’utilizzo delle casette invece delle bottiglie di acqua minerale sono la riduzione della produzione di rifiuti di imballaggio e delle emissioni di anidride carbonica legate ai processi di produzione e trasporto delle bottiglie, nonché al loro smaltimento.

Ci sono anche ulteriori vantaggi per le amministrazioni comunali, di carattere sociale: gli spazi urbani interessati dall’installazione delle casette dell’acqua sono sottoposti a una riqualificazione urbanistica e ambientale, anche per renderli maggiormente attraenti per la cittadinanza con l’obiettivo di renderli luoghi di aggregazione sociale.

Acqua del rubinetto vs minerale
Un’indagine di Altroconsumo pubblicata nel 2013 (quindi pochi mesi dopo l’inizio dell’aumento del numero di casette in molte città) aveva analizzato l’acqua dei distributori in dieci comuni nel Centro-Nord Italia, segnalando che questa subisce solamente «blandi trattamenti di affinamento», cioè come abbiamo visto un leggero addolcimento o una riduzione del cloro residuo. Lo studio confermava quindi che l’acqua proveniente dai distributori comunali è in sostanza identica a quella dei rubinetti di casa, tranne per il processo di raffreddamento, una lieve modifica del sapore e di eventuale aggiunta di anidride carbonica per renderla frizzante.

Nel 2021 sempre Altroconsumo aveva analizzato l’acqua degli acquedotti comunali di 35 città: il report aveva dato a 31 su 35 un giudizio “buono o ottimo”, poiché le sostanze pericolose per la salute erano assenti, o comunque nei limiti di legge. Nonostante gli sforzi delle amministrazioni comunali, e nonostante le indagini come quelli di Altroconsumo chiariscano che siano minime le differenze tra l’acqua minerale, quella domestica e quella delle casette, l’Italia rimane uno dei paesi dove si beve maggiormente dalle bottiglie di plastica. Questa circostanza ha cause molto complesse legate sia alle abitudini sia a motivi commerciali. In Italia c’è una massiccia presenza di marchi di acque minerali diverse, legata anche alla promozione pubblicitaria, soprattutto televisiva, che presenta il consumo di acqua minerale come legato ad uno stile di vita più salutare.

Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.