Gli Stati Uniti stanno distruggendo le loro ultime armi chimiche
Almeno quelle dichiarate pubblicamente: lo fanno con operazioni complesse che hanno richiesto decenni e miliardi di dollari
Gli Stati Uniti hanno annunciato che nei prossimi giorni completeranno le ultime operazioni per distruggere e smaltire tutte le armi chimiche presenti nell’arsenale statunitense (o almeno quelle dichiarate dal governo). L’ultima operazione di smaltimento prevede la distruzione di circa 50mila razzi riempiti di sarin, un particolare tipo di gas nervino. La distruzione di queste armi, oggetto di dibattiti da decenni negli Stati Uniti e non solo, è prevista dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1997, a cui hanno aderito 193 paesi compresi appunto gli Stati Uniti.
Le armi chimiche distrutte o in via di distruzione sono varie: proiettili, bombe a grappolo e mine riempite di gas nervino, serbatoi pieni di sostanze tossiche che possono essere caricati un su mezzi aerei e poi spruzzate su obiettivi sottostanti. Generalmente si parla comunque di armi riempite con un agente chimico e dotate di una carica esplosiva che permette di spargerlo sotto forma di un vapore in grado di causare infiammazioni anche letali una volta entrato in contatto con la pelle, gli occhi e le vie respiratorie.
Negli Stati Uniti armi di questo tipo sono state conservate per decenni in una serie di bunker sotterranei di cemento armato, spesso vicino a terreni agricoli.
Le ultime due operazioni di distruzione delle armi chimiche si sono svolte una a Pueblo, in Colorado, con lo smantellamento di un ultimo deposito che conteneva circa 2.600 tonnellate di iprite, sostanza chimica nota anche come “gas mostarda”. L’ultima operazione si sta concludendo in un deposito del Kentucky, dove i razzi carichi di sarin che verranno distrutti sono conservati dagli anni Quaranta. Terminata quell’operazione, tutte le armi chimiche dichiarate sul territorio statunitense saranno state eliminate: secondo il New York Times potrebbe avvenire già venerdì, o comunque nei prossimi giorni.
Concretamente le operazioni di distruzione consistono in un complesso procedimento in cui una serie di macchinari simili a robot smontano e disassemblano le armi, privandole del contenuto chimico e distruggendone gli involucri dopo averli lavati ad alte temperature. Il contenuto chimico estratto viene invece distrutto con un processo chiamato neutralizzazione, in cui viene mescolato con acqua calda e idrossido di sodio, verificando poi che l’agente chimico sia stato effettivamente distrutto.
Associated Press ha raccontato per esempio la distruzione dei proiettili carichi di iprite, che insieme ai mortai componevano l’8,5 per cento della scorta di armi chimiche in dotazione agli Stati Uniti alla fine della Guerra fredda, pari a 30.610 tonnellate totali. Nel deposito in Colorado i proiettili sono stati perforati e svuotati del loro contenuto con un sistema di aspirazione: l’involucro è stato successivamente lavato e scaldato a oltre 600 gradi, producendo rottami metallici che alcuni nastri trasportatori conducevano in un grosso cassonetto, e il contenuto chimico è stato distrutto con la neutralizzazione.
Sono tutte operazioni che richiedono operai e operaie specializzate, che lavorano indossando tute e guanti protettivi e che prima di procedere alla distruzione delle armi le passano sotto i raggi X per verificare che non siano danneggiate e che non abbiano perdite. Se così fosse è previsto un ulteriore e diverso procedimento di distruzione, con una detonazione all’interno di una camera blindata.
Secondo le informazioni disponibili, gli Stati Uniti hanno utilizzato per l’ultima volta armi chimiche in battaglia durante la Prima guerra mondiale, dal 1915 al 1918. Ma durante la guerra in Vietnam, tra il 1955 e il 1975, hanno fatto uso dell’Agente Arancio, un potente diserbante molto dannoso per l’uomo.
L’utilizzo delle armi chimiche in guerra fu vietato proprio dopo la Prima guerra mondiale, dal protocollo di Ginevra del 1925: il protocollo ne vietava però solo l’utilizzo, e non lo sviluppo, la produzione e il possesso, e agenti nervini come il sarin furono sviluppati in un momento successivo.
Nel corso dei decenni gli Stati Uniti continuarono ad accumulare impianti di produzione e stoccaggio di armi chimiche in diversi stati, sostenendo che avessero una funzione prevalentemente deterrente, cioè di dissuasione degli altri stati a utilizzarle, mostrando di essere pronti a usarle in risposta.
La discussione sull’opportunità di distruggere le armi chimiche è iniziata soprattutto negli anni Sessanta: nel 1968, in particolare, nello Utah morirono circa 5mila pecore in un terreno adiacente a un sito in cui l’esercito statunitense stava testando un gas nervino. Iniziarono le pressioni di gruppi di attivisti e partiti politici contrari alla produzione e allo stoccaggio di armi di questo tipo, e si cominciò a discutere di quale fosse il modo migliore per liberarsene.
Inizialmente l’esercito propose di caricarle su alcune navi e di distruggerle in mare, come fatto con altre armi chimiche in passato, ma incontrò un’opposizione durissima soprattutto da parte di gruppi ambientalisti. Un altro piano prevedeva di distruggere le armi in inceneritori, ma anche in questo caso ci furono molte opposizioni da parte di chi temeva il potenziale inquinamento tossico derivante dalla combustione degli agenti chimici. Alcune armi furono comunque bruciate in stabilimenti di diversi stati, tra cui l’Alabama, l’Arkansas, l’Oregon, lo Utah, e uno sull’atollo di Johnston nel Pacifico.
Più recentemente sono state sviluppate nuove tecniche per distruggere le armi chimiche senza bruciarle, quelle che stanno venendo utilizzate nelle operazioni in corso.
La Convezione sulle armi chimiche del 1997 fu il primo accordo multilaterale di disarmo al mondo che prevedeva l’eliminazione di un’intera categoria di armi di distruzione di massa entro un periodo di tempo prestabilito. Stando a quanto originariamente previsto dall’accordo, la distruzione delle armi chimiche avrebbe dovuto concludersi nel giro di pochi anni e costare circa 1 miliardo e mezzo di dollari: si sta concludendo ora, con decenni di ritardo, e con un costo che secondo stime citate dal New York Times si aggira intorno ai 42 miliardi di dollari.
Secondo dati citati sul sito della Convenzione, a oggi il 99 per cento delle armi chimiche dichiarate dagli stati che le possedevano e che hanno ratificato l’accordo è stato distrutto. Il Regno Unito ha concluso le operazioni di distruzione nel 2007, l’India nel 2009 e la Russia nel 2017. Ci sono però stati che non hanno firmato la Convenzione, come l’Egitto o la Corea del Nord, stati che non l’hanno ratificata, come Israele, e stati che anche se l’hanno ratificata potrebbero aver mantenuto alcune scorte di armi chimiche non dichiarate, come si ritiene sia il caso della Russia.
Risultano poi in possesso di armi chimiche alcuni gruppi terroristici: secondo IHS Conflict Monitor, un servizio di raccolta e analisi di intelligence con base a Londra, lo Stato Islamico ha utilizzato armi chimiche rudimentali almeno 52 volte in Iraq e Siria dal 2014 al 2016.