È morto Arnaldo Forlani

Fu presidente del Consiglio, più volte ministro e due volte segretario della Democrazia Cristiana: aveva 97 anni

Forlani nel 2013 (ANSA/ANGELO CARCONI)
Forlani nel 2013 (ANSA/ANGELO CARCONI)
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È morto a Roma Arnaldo Forlani, ex segretario della Democrazia Cristiana che fu presidente del Consiglio e più volte ministro: aveva 97 anni.

Forlani era nato a Pesaro, nelle Marche, nel 1925. Fu uno dei più importanti esponenti della Democrazia Cristiana, di cui fu due volte segretario: la prima dal 1969 al 1973, la seconda dal 1989 al 1992. Divenne presidente del Consiglio il 18 ottobre del 1980 e restò in carica meno di un anno, fino al 28 giugno 1981, quando lasciò il posto a Giovanni Spadolini.

Era il capo della corrente “moderata” della Democrazia Cristiana, quella che per anni si è opposta ai compromessi con il Partito Comunista e il Partito Socialista (PSI). Nel corso degli anni Ottanta però Forlani si avvicinò molto all’allora capo del PSI Bettino Craxi, fino a diventare vicepresidente del Consiglio in uno dei suoi governi fra il 1983 e il 1987.

Nel 1992 andò molto vicino a diventare presidente della Repubblica: era stato indicato come candidato dalla Democrazia Cristiana, di cui all’epoca era segretario e che era il partito con più seggi in parlamento, che poteva inoltre contare sul sostegno di altri tre partiti che facevano parte della stessa coalizione di governo (Partito Socialista, Partito Socialista Democratico e Partito Liberale).

Non raggiunse il numero di voti necessario al quinto e al sesto scrutinio prima per 39 e poi 29 voti, a causa di un gruppo di franchi tiratori provenienti soprattutto dal suo partito, e perlopiù dalla corrente che faceva capo a Giulio Andreotti. A quel punto Forlani ritirò informalmente la sua disponibilità a una candidatura, e venne poi eletto Oscar Luigi Scalfaro. Pochi mesi dopo, con l’inizio dell’inchiesta nota come Mani Pulite e il calo di consensi della Democrazia Cristiana Forlani diede le dimissioni da segretario della DC e non si ricandidò più.

L’inchiesta Mani Pulite, anche conosciuta come Tangentopoli, riguardò l’esteso sistema di corruzione e concussione che coinvolgeva quasi tutti i principali partiti di allora e un pezzo dell’imprenditoria italiana. Forlani fu coinvolto in uno dei filoni più importanti dell’inchiesta, il processo Enimont, in cui il gruppo Ferruzzi era accusato dai magistrati di aver pagato una tangente da 150 miliardi di lire (circa 75 milioni di euro) agli esponenti di quasi tutti i partiti per favorire la fusione tra i gruppi petrolchimici Eni e Montedison. Fu condannato a due anni e quattro mesi per finanziamento illecito: la condanna fu confermata sia in appello che in Cassazione, e Forlani scontò la pena con l’affidamento ai servizi sociali.