Nei mari della Calabria sono stati avvistati due pesci scorpione

Sono riconoscibili dai lunghi aculei velenosi: si stanno diffondendo nel Mediterraneo a causa dell'aumento delle temperature

Un pesce scorpione fotografato il 25 giugno 2023 nel mar Ionio (Ernesto Azzurro via ISPRA)
Un pesce scorpione fotografato il 25 giugno 2023 nel mar Ionio (Ernesto Azzurro via ISPRA)
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Negli ultimi giorni nel mare della Calabria sono stati visti due pesci scorpione, cioè due pesci maculati e con lunghi aculei che appartengono a una specie che nel mar Mediterraneo non dovrebbe esserci. Il loro nome scientifico è Pterois miles: sono pesci tropicali originari del mar Rosso, molto appariscenti e per questo apprezzati dagli appassionati di acquari, e però potenzialmente dannosi per altre specie animali se inseriti in ecosistemi diversi da quello in cui si sono evoluti. Negli ultimi anni i pesci scorpione si sono diffusi in gran parte del Mediterraneo orientale, anche grazie all’aumento della temperatura delle acque marine, e la loro comparsa intorno all’Italia è seguita con attenzione e preoccupazione dalle autorità scientifiche che si occupano di ambiente.

«È una tra le specie più invasive al mondo, nota per aver invaso gran parte delle coste atlantiche occidentali con imponenti impatti ecologici», ha spiegato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l’ente pubblico che fa ricerca e monitoraggio sulle questioni ambientali e dà assistenza tecnico-scientifica allo stato, dando la notizia dei due avvistamenti di giugno.

Fino al 1869, quando fu aperto il Canale di Suez, il Mediterraneo e il mar Rosso non erano collegati: gli animali che vivevano nei due mari non potevano quindi spostarsi dall’uno all’altro. Da allora però è stato osservato un sempre maggiore spostamento di specie, animali e vegetali, dovuto in parte alle correnti e in parte al fatto che certi animali hanno trovato condizioni favorevoli alla propria vita anche al di là del canale. Questo fenomeno è stato chiamato “migrazione lessepsiana” dal nome di Ferdinand de Lesseps, il diplomatico francese che promosse la costruzione del Canale di Suez – provò anche a costruire quello di Panama, ma il suo progetto fallì.

È una migrazione che ha quasi un unico verso, dal mar Rosso al mar Mediterraneo, e non viceversa, per via della direzione delle correnti e perché le specie del mar Rosso si trovano bene in più ampi intervalli di salinità e temperatura dell’acqua, cioè in ambienti diversi.

Dal 1869 al 2008 sono state 63 le specie che sono arrivate nel Mediterraneo dal mar Rosso: sono state definite “lessepsiane” dalla comunità scientifica. Negli ultimi anni il loro numero è aumentato in modo particolare, probabilmente per due ragioni: l’ampliamento del canale di Suez completato nel 2015 e l’aumento della temperatura media delle acque del Mediterraneo, a sua volta dovuto al riscaldamento globale causato dalle attività umane. Non è infatti solo l’atmosfera che si sta scaldando, ma anche gli oceani, e il Mediterraneo è tra i bacini del pianeta che lo stanno facendo più velocemente. Le specie del mar Rosso sono abituate alle temperature più alte del loro mare tropicale, e per questo si trovano bene in un Mediterraneo più caldo.

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Il pesce scorpione era stato avvistato per la prima volta nel Mediterraneo orientale, vicino a Tel Aviv, in Israele, nel 1991. Ha però cominciato a essere osservato con una certa frequenza nella regione solo nel 2012, per poi espandersi verso ovest. Oggi si parla di “invasione”, un’espressione che in biologia viene usata per indicare quando la popolazione di una specie alloctona, cioè originaria di altre aree geografiche, aumenta velocemente di numero con conseguenze negative per le specie autoctone.

Il pesce scorpione è una specie che si presta alle invasioni perché è molto feconda e flessibile, ha una dieta generalista e quindi può mangiare cose molto diverse e si difende bene da potenziali nuovi predatori perché i suoi aculei sono velenosi. A partire dagli anni Novanta una specie di pesci scorpione molto simile a quella che ora si trova nel Mediterraneo, e che nella classificazione scientifica si chiama Pterois volitans, ha invaso il mare dei Caraibi e parte dell’oceano Atlantico occidentale, con gravi danni per gli animali locali e il settore della pesca. In quel caso l’invasione è avvenuta a causa del rilascio di pesci scorpione che erano stati acquistati per vivere negli acquari.

La prima volta che un pesce scorpione era stato visto nei mari italiani era stata nell’ottobre del 2016: nel corso di una collaborazione scientifica tra l’ISPRA, il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e l’American University di Beirut, in Libano, era stato osservato nelle acque della Riserva naturale di Vendicari, a sud-est della Sicilia.

I due avvistamenti recenti sono avvenuti nello Ionio, cioè a sud della Calabria: il primo al largo di Le Castella, una località della provincia di Crotone, dove un gruppo di pescatori ha catturato un pesce scorpione a una profondità di circa 24 metri. Il secondo avvistamento è stato vicino alla costa di Marina di Gioiosa Ionica, in provincia di Reggio Calabria, durante un’immersione subacquea ricreativa a circa 12 metri di profondità. In questo caso il pesce è stato fotografato.

L’ISPRA è venuta a sapere degli avvistamenti perché le persone coinvolte li hanno segnalati. Chiunque veda presunti pesci scorpione e pesci di altre tre specie arrivate dal mar Rosso – il pesce palla maculato e i pesci coniglio – è invitato a farlo sapere mandando fotografie o video via WhatsApp al numero dedicato 3204365210, o attraverso il gruppo Facebook Oddfish con l’hashtag #Attenti4. Esiste una campagna di comunicazione apposita per fare informazione su queste specie realizzata dal governo insieme al Comando generale delle capitanerie di Porto, all’ISPRA, al CNR e al progetto AlienFish dell’associazione Ente fauna marina mediterranea (EFMM).

I pesci scorpione sono commestibili e apprezzati per il gusto delle loro carni, ma devono essere maneggiati con cautela perché il loro veleno è pericoloso anche per gli umani. In rari casi può essere letale. Vale anche nel caso in cui se ne trovi uno morto, perché come ha spiegato l’ISPRA il veleno «si mantiene attivo dalle 24 alle 48 ore dopo la morte del pesce».

– Ascolta anche: Vicini e lontani, il podcast sulle specie alloctone e invasive prodotto dal Post in collaborazione con Oikos