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  • Giovedì 15 giugno 2023

In Polonia si manifesta ancora per il diritto all’aborto 

Dopo la morte in ospedale di una donna che avrebbe potuto salvarsi con un aborto, ma che non era stata informata al riguardo 

(AP Photo/Czarek Sokolowski)
(AP Photo/Czarek Sokolowski)
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Mercoledì migliaia di persone hanno manifestato in diverse città della Polonia contro le rigidissime norme sull’aborto introdotte dal governo, di destra e guidato da Mateusz Morawiecki. Le proteste sono state provocate dalla morte in ospedale di una donna che secondo una recente indagine si sarebbe potuta salvare proprio con un aborto, che i medici non solo non hanno praticato, ma su cui non le hanno dato le informazioni a cui aveva diritto per poter scegliere e tutelare la propria vita.

La donna, Dorota Lalik, aveva 33 anni ed era incinta di cinque mesi: è morta a causa di una setticemia, un’infezione, lo scorso 24 maggio in un ospedale di Nowy Targ, nel sud del paese, tre giorni dopo il suo ricovero e dopo che il feto era già morto. Lo scorso lunedì Bartłomiej Chmielowiec, difensore civico polacco per i diritti dei pazienti, ha stabilito che l’ospedale in cui era ricoverata Lalik, il Giovanni Paolo II, avrebbe dovuto dirle che poteva salvarsi con un aborto. Secondo Chmielowiec, l’ospedale ha violato i diritti della donna negandole le informazioni di cui aveva bisogno per scegliere come procedere, anche se con ogni probabilità avrebbe avuto diritto all’interruzione volontaria della gravidanza.

Suo marito ha detto alla stampa che i medici dell’ospedale non li avevano mai informati né sui rischi che correva la moglie né sulle condizioni del feto: «Per tutto il tempo ci hanno dato la falsa speranza che tutto sarebbe andato bene» e che nel peggiore dei casi «il bambino sarebbe nato prematuro», ha detto il marito di Lalik, che ha aggiunto, riferendosi alla possibilità di interrompere la gravidanza: «Nessuno ci ha dato la possibilità di scegliere e di salvare Dorota, perché nessuno ci ha detto che la sua vita era a rischio».

In Polonia, con le leggi attuali, abortire è praticamente impossibile: una gravidanza può essere interrotta solo in caso di stupro o incesto, oppure se la vita della donna è in pericolo a causa di problemi di salute che riguardano il feto, ma non in caso di malformazioni. Ci sono pochissime eccezioni e spesso, anche nei casi che in teoria sono garantiti dalla legge, il diritto a interrompere la gravidanza non è tutelato.

Secondo diverse organizzazioni e attiviste per la libertà di scelta, moltissimi medici non praticano l’aborto anche quando necessario per paura di venirne successivamente ritenuti penalmente responsabili: «Se il medico effettua un aborto e le procure lo perseguono perché ritengono che la vita della donna non fosse realmente in pericolo rischia fino a tre anni di carcere», ha detto al Guardian Jolanta Budzowska, avvocata della famiglia di Lalik e altre donne morte in Polonia in circostanze simili.

Il caso di Lalik non è isolato. Nel 2021 una donna era morta in un ospedale della città meridionale di Pszczyna, in circostanze simili: non le era stata data la possibilità di abortire e la sua morte aveva scatenato estese proteste. L’anno successivo era successa una cosa simile a Czestochowa, sempre nel sud della Polonia.

Mercoledì in oltre 50 città e piccoli comuni polacchi moltissime persone hanno protestato, in molti casi con cartelli con su scritto «Smettetela di ucciderci». Oltre alle proteste, che proseguono da anni, i movimenti femministi hanno organizzato azioni per sostenere le donne che vogliono abortire, con organizzazioni di viaggi all’estero o gestione dell’aborto a casa tramite invio di pillole abortive. Per questo, lo scorso marzo, Justyna Wydrzyńska, attivista di un movimento polacco che si occupa di dare informazioni e assistenza alle donne che vogliono abortire, è stata condannata da un tribunale di Varsavia a dieci mesi di lavori socialmente utili per aver aiutato una donna a interrompere una gravidanza indesiderata.

Un momento della protesta a Varsavia, in Polonia (AP Photo/Czarek Sokolowski)

Il primo ministro Mateusz Morawiecki, del partito di destra Diritto e Giustizia (PiS), molto vicino alle gerarchie cattoliche e tra i promotori più convinti delle attuali leggi sull’aborto, ha commentato le proteste invitando a non «politicizzare» il caso di Lalik.

L’attuale legge sull’aborto è entrata in vigore all’inizio del 2021, insieme a una serie di altre norme che hanno contribuito a una progressiva erosione dello stato di diritto nel paese. Diritto e Giustizia governa dal 2015, ha raccolto molti consensi grazie alle proprie posizioni conservatrici e vicine alla Chiesa cattolica, molto influente in Polonia, e a una serie di politiche sociali e fiscali, sulla cui trasparenza e sostenibilità ci sono comunque molti dubbi. Nel frattempo il governo ha adottato posizioni piuttosto illiberali, con provvedimenti molto severi ed estremamente criticati anche contro le cosiddette minoranze, soprattutto la comunità LGBTQ+, e riducendo in modo molto significativo l’indipendenza dei tribunali e della magistratura.

Marta Lempart, fondatrice dello Sciopero delle donne di tutta la Polonia, movimento che ha organizzato diverse proteste, ha detto al Guardian che «se sei incinta e vai in un ospedale polacco potresti non uscirne viva. Bisogna andare preparate, avere pronto il numero di un avvocato e i contatti con i giornali, continuare a lottare, a discutere e non credere a una sola parola di quello che viene detto, perché si rischia di non sopravvivere».