Cosa c’è nel disegno di legge sulla giustizia

Deve ancora arrivare in Parlamento ma sta già facendo discutere, visto che abolirebbe il reato di abuso d'ufficio e limiterebbe la pubblicazione delle intercettazioni

Nordio durante la conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri (ANSA/FABIO FRUSTACI)
Nordio durante la conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Giovedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge elaborato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che propone alcune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale: poiché è un disegno di legge, il testo dovrà passare al parlamento ed essere approvato articolo per articolo da ognuna delle due camere. Con ogni probabilità, quindi, subirà alcune modifiche prima dell’approvazione definitiva, che in ogni caso potrebbe arrivare tra mesi.

Al termine del Consiglio dei ministri si è tenuta una conferenza stampa aperta dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha parlato di Silvio Berlusconi dicendo che «se potesse essere qui» sarebbe «soddisfatto» della proposta di riforma penale. Dopodiché Nordio ha riassunto alcuni punti del testo: l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, una trasformazione del sistema delle intercettazioni e di quello delle custodie cautelari per trasferirne la competenza «a un organo collegiale».

Nordio ha spiegato che l’abolizione del reato di abuso d’ufficio non provocherà alcun «vuoto di tutela» perché «il nostro arsenale per combattere gli amministratori infedeli è tra i più agguerriti d’Europa»; a proposito delle intercettazioni ha detto che il sistema «ha raggiunto livelli quasi di imbarbarimento» e dunque va limitato; sulle custodie cautelari ha detto che il «carcere deve essere l’eccezione dell’eccezione». Nordio ha infine spiegato di voler «aumentare l’organico della magistratura di 250 unità» e di voler accelerare i concorsi.

La bozza del testo che Nordio ha presentato al Consiglio dei ministri aveva però già iniziato a circolare tra politici, giornalisti e addetti ai lavori del settore della giustizia, suscitando molte critiche soprattutto da parte dei maggiori partiti di opposizione e della magistratura, il cui lavoro potrebbe in parte cambiare se la legge dovesse entrare in vigore.

Tra le norme contenute nel testo su cui si è discusso maggiormente c’è appunto l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, cioè quello di chi commette atti illeciti nell’esercizio delle proprie funzioni di pubblico ufficiale, e che riguarda funzionari pubblici ma spesso anche sindaci e amministratori locali: negli ultimi anni proprio sindaci e amministratori si sono lamentati più volte di questo reato, perché li spingerebbe spesso a evitare di assumersi responsabilità decisionali anche su provvedimenti banali per paura di incorrere in procedimenti penali. Secondo Nordio l’abolizione sarebbe in parte giustificata dal fatto che, a fronte di molti processi avviati per abuso d’ufficio, i casi in cui si arriva a condanna sono molto limitati.

Parlando con Repubblica, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (ANM) Giuseppe Santalucia ha definito «ingiustificabile» la scelta di cancellare l’abuso d’ufficio, spiegando come secondo lui proprio il basso numero di condanne significa che l’area di applicazione del reato «era già ristretta». Secondo Santalucia il reato di abuso d’ufficio è utile perché induce a indagare maggiormente e scoprire casi di reati più gravi, come quelli di corruzione. Secondo la responsabile della Giustizia del Partito Democratico, Debora Serracchiani, «a tutti appare chiaro» che questa abolizione «viola gli obblighi internazionali sulla corruzione».

La riforma di Nordio vuole limitare fortemente anche il reato di “traffico di influenze illecite”,  che fu molto criticato fin da quando fu introdotto nel 2012 con la cosiddetta “legge Severino” e poi ancora quando venne modificato in senso estensivo dalla cosiddetta “legge Spazzacorrotti”, promossa nel 2019 soprattutto dal Movimento 5 Stelle. È piuttosto complicato sia da capire che da dimostrare, e la nuova riforma vorrebbe modificarlo per sanzionare solo le condotte più gravi, alzando però il minimo della pena prevista da un anno a un anno e mezzo. Il deputato del Movimento 5 Stelle ed ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ha detto a Repubblica che abolirlo «significa dare un duro colpo al contrasto alla corruzione e violare importanti accordi internazionali».

Un’altra parte molto discussa è quella che intende introdurre limitazioni alla divulgazione delle intercettazioni: se ne parla molto sui giornali anche perché li riguarda direttamente, dal momento che sono il mezzo attraverso il quale avviene solitamente la pubblicazione di intercettazioni. La nuova riforma consentirebbe la pubblicazione di intercettazioni solo quando sono citate negli atti dei giudici, per esempio nelle motivazioni di un provvedimento, o quando vengono usate nel corso di un dibattimento. In questo modo si vorrebbe evitare che vengano pubblicate informazioni che riguardano persone non coinvolte nel processo o che non siano in generale penalmente rilevanti. Anche questo aspetto è stato molto criticato, oltre che dalle opposizioni e dall’ANM, anche dalla Federazione nazionale stampa italiana, il principale sindacato dei giornalisti.

Nella bozza del disegno di legge ci sono poi una serie di modifiche al codice di procedura penale, che riguardano soprattutto la fase delle indagini preliminari: verrebbe introdotto l’obbligo di un contraddittorio preventivo per la persona per cui il pubblico ministero ha chiesto una misura cautelare, comunicandoglielo cinque giorni prima, se non è necessario che la misura cautelare venga adottata a sorpresa (cioè nei casi in cui si ritiene ragionevole che la persona in questione non fugga o che non possa inquinare le prove). Il pubblico ministero dovrebbe inoltre depositare tutti gli atti insieme alla richiesta di misura cautelare in modo che l’indagato possa vederli da subito.

Sulla richiesta di misura cautelare, inoltre, in base alla riforma non sarebbe più il solo giudice per le indagini preliminari (gip) a decidere, ma un collegio di tre giudici: questa misura è stata criticata perché richiederebbe l’assunzione di alcune centinaia di magistrati, e infatti nella riforma è previsto che entri in vigore tra due anni per avere il tempo di farlo.

L’ultima grossa modifica al codice di procedura penale riguarderebbe invece il divieto per il pubblico ministero di fare appello contro le sentenze di assoluzione decise dal giudice, ma solo in alcuni casi di minore gravità: è una norma di cui si discusse a lungo già in passato, perché si provò a introdurla nel 2006 con la cosiddetta “legge Pecorella”, ma fu giudicata incostituzionale dalla Corte costituzionale. La legge Pecorella però prevedeva il divieto di appello per il pubblico ministero in tutti i casi, e non solo in quelli di minore gravità. In questa fase comunque non è ancora chiaro cosa si intenda con “minore gravità”.

Non tutte le opposizioni sono contrarie alla riforma: il testo redatto da Nordio è stato accolto con una certa benevolenza dai parlamentari di Azione e Italia Viva, che ne hanno lodato la tendenza “garantista”, cioè rispettosa delle garanzie di imputati e indagati.